Recensione Tutta colpa di Giuda - Una commedia con musica (2009)

Con le musiche di Cecco Signa e dei Marlene Kuntz a fare da sostrato emotivo, il nuovo film di Davide Ferrario trasforma il carcere stesso nella scenografia di una possibile emancipazione.

Come scendere dalla croce a ritmo di musica.

Davide Ferrario non lo scopriamo certo adesso. Da anni quel suo fare cinema ondeggiando tra fiction e documentario, matrici a volte separate tra loro ma molto più di frequente soggette a efficacissime ibridazioni, ci sembra una delle risorse più valide e brillanti in dotazione alla produzione filmica di casa nostra. Eppure, nonostante questo, il buon Ferrario riesce ancora a sorprenderci.

Da invidiare in Tutta colpa di Giuda, pellicola camaleontica fino all'ennesima potenza, serpeggiante al pari delle riprese stile docu-fiction effettuate in prigione o come la tentazione appena abbozzata del musical, vi è soprattutto la libertà con la quale sono approcciate situazioni, che fanno da innesco per temi decisamente forti: l'interpretazione ecclesiastica dei vangeli, la necessità dell'istituzione carceraria, le costrizioni cui è soggetto l'individuo in seno alla società, tutto appare rimesso in gioco con apprezzabile leggerezza, grazie al tocco ironico di un regista capace di ribaltare il luogo comune senza per questo sacrificare la piacevolezza della visione. Ecco, libertà è la parola chiave. Ed in ciò si rivela l'umanesimo di fondo, laico e restio ad accettare la dilagante omologazione, cui Ferrario ci ha ormai abituato.
Gli strumenti espressivi che arricchiscono questa "commedia con musica", come è stata ribattezzata dagli stessi autori, sono in assoluto degni di nota; dai siparietti che ruotano attorno alle prove teatrali, finalizzate qui alla messa in scena di una prevedibilissima Passione di Cristo, si sprigiona infatti l'energia in grado di decostruire lo spazio tetro della prigione, restituito almeno in parte alla vitalità repressa dei detenuti, così da propiziare l'abbattimento di un altro Moloch: l'intoccabilità dei Vangeli e dell'interpretazione narcotizzante che è solita offrirne la Chiesa.

Già, perché il pretesto narrativo è di una semplicità quasi spiazzante: quando la giovane ed entusiasta Irena Mirkovic (Kasia Smutniak) accetta l'incarico di allestire in carcere una rappresentazione teatrale, non immagina ancora le pressioni che sarà costretta a subire; soprattutto da parte di don Ireneo (Gianluca Gobbi), mellifluo sostenitore di un teatro religioso dalla dichiarata impronta educativa; ed anche i rapporti col direttore del carcere Libero Tarsitano (Fabio Troiano), pieno di buone intenzioni ma sfiduciato nei confronti del proprio lavoro, seguiranno una serie di alti e bassi. L'impegno dei detenuti sarà per Irena, pur tra mille contrattempi e ripensamenti, la molla per andare avanti. Per quanto tra loro sia assai difficile trovarne uno disposto a fare la parte di Giuda!

Sostenuto energicamente dalle musiche di Cecco Signa e dei Marlene Kuntz, l'allestimento scenico studiato dalla protagonista assumerà progressivamente un taglio paradossale, sfidando apertamente la morale trita di don Ireneo e della fida Suor Bonaria (davvero irresistibile il cameo di una acidissima Luciana Littizzetto), al punto di immaginare che un Cristo non più succube dell'ossessione di salvare l'umanità si sottragga alla retorica punitiva del sacrificio, scendendo dalla croce e aggregandosi giocosamente ai suoi simili, non più gregge da redimere.

La portata del pensiero laico di Ferrario, sempre ironico è tagliente, risulta in tutta la sua forza da queste scelte, portate avanti senza che ci si abbandoni mai nei dialoghi a toni didascalici e predicatori. Anche l'anarchia stilistica delle riprese, frazionate in parti eterogenee (pellicola, mini-dv, addirittura un segmento molto riuscito di animazione) corrisponde ottimamente allo spirito dell'opera, con l'opportuno bilanciamento di un montaggio estremamente curato, come è solito fare un regista che ama stazionare davanti alla moviola per mesi interi; un'operazione atta anche a integrare nel migliore dei modi le molteplici tracce sonore, su cui spiccano per qualità i trascinanti interventi musicali degli artisti già citati e di altri ancora. Un apporto fondamentale, il loro, cosa che si può dire anche della stragrande maggioranza degli interpreti. La sostanziale sincerità di Tutta colpa di Giuda viaggia anche attraverso i volti spigolosi dei carcerati coinvolti nell'impresa, nonché nella verve genuina di Kasia Smutniak e di un istrionico Fabio Troiano, attore la cui crescita tra cinema e televisione appare costante.