Collateral Beauty: se Will Smith stona il canto di Natale

Melensa e patinata, l'opera natalizia diretta da David Frankel cerca di farci affezionare ai suoi personaggi senza riuscirci. Un film indeciso tra la commedia e il dramma che, nonostante un grande cast, affronta il tema del dolore senza il giusto tatto.

Collateral Beauty: Will Smith in una scena del film
Collateral Beauty: Will Smith in una scena del film

Howard corre in bicicletta tre le vie affollate di New York, va al lavoro, ha dei colleghi che valgono come amici, eppure non vive più. Nella città caotica e iperattiva dove tutto corre, scorre e si aggiorna, Howard decide di fermarsi. Il dolore è troppo grande, il lutto sempre presente, il ricordo di una figlia morta insostenibile e lacerante. Del corpo scultoreo di Will Smith nessun segno, così come del suo sorriso sornione e del suo contagioso entusiasmo. Solo occhiaie sotto uno sguardo spento, barba incolta, un appartamento spoglio. Depresso e alienato, Howard trova rifugio solo nella scrittura, inviando lettere piene di risentimento e astio alle tre astrazioni che dominano la nostra esistenza: la Morte, l'Amore e il Tempo.

Collateral Beauty: Will Smith ed Helen Mirren in un scena del film
Collateral Beauty: Will Smith ed Helen Mirren in un scena del film

Però, per gli altri, la vita deve andare avanti, perché il lusso di fermarsi a New York non risparmia nemmeno un'affermata agenzia pubblicitaria. Così i suoi soci e colleghi Whit (Edward Norton), Claire (Kate Winslet) e Simon (Michael Peña) decidono di smuovere la pericolosa apatia dell'amico assecondando il suo malessere. Grazie ad uno strambo piano, la Morte, l'Amore e il Tempo entreranno davvero nella vita di Howard. Tutti pronti a fare da testimonial della propria, edificante morale.

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Affetto domino

Collateral Beauty: Helen Mirren e Michael Peña in una scena del film
Collateral Beauty: Helen Mirren e Michael Peña in una scena del film

Dopo aver raccontato il burrascoso dietro le quinte del mondo della moda con Il diavolo veste Prada, David Frankel abbandona ritmi frenetici, dialoghi brillanti e personaggi sopra le righe per raccontare una New York diversa: addobbata ma silente, meno festosa e più riflessiva. Composto da personaggi feriti Collateral Beauty parte da un'immagine inizialmente evocativa, ovvero centinaia di tasselli di un enorme domino che crolla poco alla volta. Quella del domino, sintesi emblematica di un lutto che fa crollare tutto e tutti, diventa man mano un'allegoria sottolineata di continuo, troppo insistita, insistente e didascalica come tutto il film. Frankel si sforza di rendere i suoi protagonisti anime bisognose di un contrappunto, tutte dipendenti da un confronto prezioso con qualcun altro, come se tutti, appunto, fossero tasselli di quel grande domino. Quello che manca a Collateral Beauty è proprio il giusto equilibrio per tenere in piedi la sua impalcatura umana.

Collateral Beauty: Kate Winslet ed Edward Norton in una scena del film
Collateral Beauty: Kate Winslet ed Edward Norton in una scena del film

Indeciso tra il tono spensierato della commedia e quello dilaniante del dramma più intimo, questa storia corale non perde mai occasione di mettere alle strette un cast sulla carta straripante. Se Helen Mirren è l'unica a dare un tocco di umanità e di empatia al suo personaggio, crediamo che Kate Winslet non sia mai stata così in difficoltà e Edward Norton mai così in affanno per tenere le redini di un film che straripa verso una valle di lacrime, un corso impetuoso di acqua salina in cui lo spettatore è gentilmente invitato ad annegare.

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Il fantasma di Will Smith

Collateral Beauty: Will Smith e Keira Knightley in una scena del film
Collateral Beauty: Will Smith e Keira Knightley in una scena del film

La materia è delicata: si parla di dolore. Una dimensione talmente personale (e universale insieme) da richiedere il giusto tatto, la necessaria introspezione, uno sguardo pieno di dignità nei confronti di questa sofferenza paterna patita da Howard. Collateral Beauty, invece, ci va giù pesante, senza guanti, ma con guantoni da pugile, pronto a colpire basso pur di guadagnarsi l'attenzione dello spettatore. Le premesse e la trovata narrativa farebbero anche ben sperare, grazie ad una moderna rivisitazione del grande classico natalizio Canto di Natale di Charles Dickens.

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Se nell'amato romanzo ottocentesco l'avaro Scrooge veniva preso per mano dai fantasmi del Natale passato, presente e futuro per guardare in faccia la sua umanità ormai perduta, qui Will Smith affronta tre entità che dovrebbero proiettarlo verso l'accettazione, la scoperta di un nuovo senso nel vivere, ma finiscono per esibirsi in sterili sketch dove ogni battuta sembra fuoriuscita da un bigliettino d'auguri natalizio. Collateral Beauty è stracolmo di buone intenzioni e di grandi attori, tutti penalizzati da una scrittura purtroppo sciatta e, soprattutto, davvero troppo didascalica. Troppe cose vengono dette e poi ripetute, mostrate e poi rimostrate, istigando chi guarda a cercare fazzolettini nelle proprie tasche. Chi ne esce peggio è proprio Will Smith. Spaesato, passivo, costretto a subire i danni di una scrittura sciatta, il gigante buono questa volta non basta a tenere su un film che collassa nelle sue stesse aspirazioni; un film che, ci dispiace dirlo (visto il cast a disposizione) ci sembra indifendibile. Forse più ruffiano che ingenuo, in Collateral Beauty la vera bellezza è solo nel titolo.

Movieplayer.it

2.0/5