Il fascino e l'eleganza di Claudia Cardinale sono ancora intatte nonostante lo scorrere del tempo. La più esotica tra le dive italiane, nata e cresciuta in Tunisia, più a suo agio col francese che con l'italiano, ha attraversato con disinvoltura cinquant'anni di cinema lavorando con maestri come Visconti, Germi, Bolognini, Fellini, Zurlini. In C'era una volta il WestSergio Leone le ha offerto l'unico ruolo femminile di rilievo della sua filmografia, quello della prostituta Jill McBain. Hollywood l'ha chiamata alla sua corte permettendole di condividere il set con Blake Edwards, Jack Palance, Burt Lancaster, che aveva già affiancato ne Il gattopardo, e col mitico John Wayne con cui ha instaurato un ottimo rapporto grazie al suo carattere volitivo.
Dietro una carriera luminosa e invidiabile si nasconde una vita segnata da amori sbagliati e sofferti, privata della spensieratezza a causa di un precoce esordio cinematografico. La Cardinale non ha mai amato fino in fondo l'ambiente lavorativo, preferendo la vita al cinema, ma ha superato ogni prova grazie alla forza d'animo di cui va molto fiera. Dopo aver trovato la serenità al fianco del compagno Pasquale Squitieri, per l'attrice si è aperta una seconda fase della carriera che l'ha portata a scoprire il teatro e a sperimentare il contatto diretto col pubblico che la ama. E non è il solo. Nell'introdurre l'attrice alla stampa, il direttore Olivier Pere arrossisce improvvisamente tradendo l'emozione di trovarsi a ospitare una diva del suo calibro, la cui bellezza appartiene da decenni all'immaginario collettivo dei cinefili.
In una carriera sterminata come la sua ha affrontato ruoli molteplici e lavorato con tutti i più grandi registi. Le piace ancora fare cinema? Non la preoccupa il passare del tempo?
Claudia Cardinale: Il cinema non mi ha stancato, provo sempre una grande soddisfazione a lavorare e questa è la mia ricetta contro il tempo che passa. Il tempo non si può fermare. Io detesto i lifting e non li ho mai fatti. La cosa importante è essere attivi e non fermarsi mai, così lavoro molto. Guardo già al mio prossimo film, diretto da Fernando Trueba, che girerò a settembre.
Nel 1963 lei ha lavorato con i due più grandi registi italiani, Fellini e Visconti, A quanto pare Fellini ha voluto rubarla a Visconti per averla nel suo Otto e mezzo. Può dirci com'è andata?
Ho girato Il gattopardo e Otto e mezzo quasi in contemporanea. Fellini e Visconti si odiavano e mi contendendevano. Uno mi voleva bionda e uno mora così dovevo tingermi i capelli di continuo, ma quella è stata la svolta più importante della mia carriera. I metodi di Federico e Luchino erano l'uno l'opposto dell'altro. Con Visconti era come lavorare a teatro, non potevi sorridere, parlare né sederti. Il set era immerso nel silenzio e potevano entrare sogli gli attori, mentre ai produttori non era permesso. Invece Federico se c'era silenzio non riusciva a lavorare. Tutti si muovevano, urlavano, parlavano la telefono, ma lui aveva un dono. Trasformava la banalità in qualcosa di misterioso.Invece sul set di C'era una volta il West si è trovata a essere l'unica donna in un cast tutto maschile. Come si è trovata?
Era stupendo lavorare circondata da uomini. Sergio è l'unico regista che registrava la musica prima del film. Lui metteva la musica sul set, poi la fermava e batteva il ciak.
Il suo primo film hollywoodiano è stato La pantera rosa di Blake Edwards. Come si è trovata a lavorare con lui?
Blake era un pazzo, un genio folle. Quando girava a volte si metteva a piedi in su e testa in giù per concentrarsi. Sul suo set ho incontrato David Niven che mi ha fatto uno dei complimenti più belli dicendomi che, insieme agli spaghetti, ero la più bella invenzione italiana.
Tra tutti gli artisti americani con cui ha recitato quale è stato quello con cui si è creato maggior feeling?
L'attore americano a cui sono stata più legata era Burt Lancaster perché abbiamo lavorato insieme più volte e ci conoscevamo bene, ma adoravo anche Jason Robards. Io ero amante dell'avventura e non ho mai avuto problemi a fare cose pericolose, ma lui in Fitzcarraldo ha avuto una crisi di panico per via della natura selviaggia in cui lavoravamo. Jason è salito su un alber, invocando la sua New York, e abbiamo dovuto farlo scendere con l'aiuto di uno psicanalista. Abbiamo proseguito con un altro matto, Klaus Kinski, che passava tutto il tempo a guardarsi allo specchio. Alla fine non lo sopportavo più e mi sono rinchiusa in una torre, finché Herzog non mi ha assicurato che avrebbe smesso. Un altro attore con cui avevo un buon rapporto era John Wayne. Lui mi diceva che ero un uomo perché andavo a cavallo e affrontavo le scene più pericolose anche se non sapevo cavalcare. Da giovane ero un maschiaccio, picchiavo i ragazzi perché volevodimostrare di essere più forte e prendevo i treni in corsa. Ero una pazza, ma volevo dimostrare che se vuoi qualcosa lo puoi ottenere.
Dopo tante esperienze con uomini ha girato un western al femminile, Le pistolere, insieme a Brigitte Bardot.Mi sono divertita molto a girare quel film. I paparazzi erano convinti che ci saremmo ammazzate, ma sono rimasti molto delusi.
In Italia, invece, ha collaborato ripetutamente con Marcello Mastroianni. Si è trattato di un incontro tra due miti. Cosa ci può dire di Marcello?
Ho conosciuto Marcello sul set de I soliti ignoti. A quell'epoca non parlavo italiano e non capivo nulla. Successivamente abbiamo girato insieme Il bell'Antonio, un film che ha fatto scandalo perché narra la storia di un siciliano impotente, una cosa che a qual tempo non era concepibile. Poi sono venuti Otto e mezzo, La pelle e altri lavori. Marcello era considerato un latin lover, non c'è molto altro da dire.
Cosa pensa del cinema italiano contemporaneo. C'è qualche regista in particolare con cui vorrebbe lavorare?
Il problema del cinema contemporaneo è che ci sono pochissimi finanziamenti. In Francia, senza le coproduzioni, i film italiani circolano poco perciò non saprei fare il nome di un regista con cui vorrei lavorare. Devo prima leggere la sceneggiatura. Ultimamente all'estero lavoro spesso con registi esordienti e in piccole produzioni. Anche se circolano pochi soldi mi sono trovata molto bene. Quando devo decidere se fare o no un film leggo prima la sceneggiatura e se mi piace incontro il regista. E' dal contatto con gli autori che capisco se farò un film o meno.
Lei è nata in Tunisia da genitori siciliani. Cosa pensa delle rivolte del Nord Africa degli ultimi mesi?
La Tunisia era un paese molto accogliente, c'era grande rispetto tra le varie etnie ed era pieno di immigrati, non solo italiani, ma provenienti da tutto il mondo. Ora c'è stata la rivoluzione del gelsomino perché i giovani non trovano lavoro e la crisi ha prostrato duramente il paese. Gli immigrati continuano a sbarcare in Sicilia che però non ce la fa ad accoglierli tutti. Spero che le cose si sistemino presto.
La sua forza di carattere e la sua riservatezza sono noti. Provengono dalle esperienze vissute nel passato?
Non voglio essere giudicata per la mia vita perché il privato è mio, voglio essere giudicata solo per mio lavoro. Per questo mi sono trasferita in Francia, perché non ci sono paparazzi. Se sei debole non puoi fare cinema, rischi di perdere la tua identità. Io non mi sono mai sposata perché ho sempre voluto essere indipendente. I miei figli sono molto importanti per me e anche il mio compagno, ma non mi piace parlarne in pubblico.Di recente ha deciso di doppiare un documentario naturalistico intitolato African Cats. Una scelta inedita.
Effettivamente per me fare la doppiatrice è molto strano, visto che per molti anni io stessa sono stata doppiata. Dicevano che avevo una voce da uomo. E' stato Fellini a restituirmi la mia voce in Otto e mezzo. In African Cats c'è una leonessa che si chiamava Mara, come il personaggio che avevo interpretato ne La ragazza di Bube così ho accettato.