Civil War fuori dagli Oscar è l'ennesimo segnale della pavidità di Hollywood

Gli Academy lasciano fuori il film di Alex Garland, dimostrando ancora una volta quanto la loro ottica progressista sia solo di facciata. E intanto l'establishment hollywoodiano evita sempre più spesso di rispondere a domande politiche da parte della stampa.

Kirsten Dunst in Civil War

E alla fine delle Nomination, scandite velocemente da Bowen Yang and Rachel Sennott, ci ritroviamo là, attoniti, sorpresi e, pure, un filo arrabbiati. Perché se è vero che le mancanze, ogni anno, fanno più rumore delle presenze, l'Academy, quest'anno, ha (volutamente?) preso uno dei più grandi abbagli della sua storia. E no, non ci riferiamo alla mancata nomination di Vermiglio (che pure ci sarebbe stata, al posto del fin troppo compiaciuto The Girl with the Needle), bensì alla totale esclusione di uno dei migliori film del 2024: Civil War di Alex Garland.

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La bandiera di Civil War

Lo ripetiamo, a scanso di equivoci, gli Oscar non tolgono né aggiungono nulla ad un film. Tuttavia essendo i premi più importanti misurano il termometro artistico, sociale e politico del momento. Per questo, nella logica fintamente progressista di Hollywood, risulta paradossale e svilente tagliare fuori il film più politico dell'anno.

Civil War fuori dagli Oscar è una scelta imbarazzante

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Civil War: Cailee Spaeny in una foto

Tecnicamente superlativo, narrativamente potente, Civil War è, essenzialmente, lo sguardo aperto verso un futuro vicino che immagina gli Stati Uniti d'America schiacciati da una guerra civile. Da una parte gli stati federali, legati al Presidente, in attesa della "decapitazione", e dall'altra gli stati secessionisti. Al centro, il viaggio di un gruppo di giornalisti e foto-report, intenzionati ad intervistare - prima che sia troppo tardi - il distopico POTUS. Ora, è chiaro che Alex Garland, per Civil War, sia partito dai tumulti di Capitol Hill, appena "perdonati" dal ritorno di Trump alla Casa Bianca. Ed è chiara la sua lettura politicizzata, nonché legata ad una struttura capace di esaltare la figura del giornalista indipendente e, di conseguenza, capace di esaltare il valore della verità e della testimonianza.

Un film urgente, e di impellente valore, tagliato di netto dall'Academy che lo ha ignorato anche in quelle categorie che sembravano scontate: il montaggio di Jake Roberts, la fotografia di Rob Hardy (non candidare un film basato sull'idea stessa di fotografia è imbarazzate), la stessa sceneggiatura originale di Garland e, mettendo da parte l'assenza tra i dieci migliori film (troviamo una scelte di comodo come Dune - Parte Due), la regia di Alex Garland, "sostituito" in cinquina da James Mangold, non propriamente un regista dall'estro pindarico (anche se chi scrive ha apprezzato A Complete Unknown).

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Ad Hollywood hanno paura del cinema (davvero) politico

Comprendiamo (ma fino ad un certo punto) quanto il futuro visto da Garland in Civil War possa oggettivamente spaventare, soprattutto quella fetta privilegiata legata ad interessi che esulano la propria visione o i propri valori. Ciononostante il cinema rilevante, capace di andare oltre i premi stessi, è proprio quello in grado di scuotere le emozioni, anche quelle meno confortanti. La scelta dell'Academy, tra l'altro, appare sballata proprio nel contesto liberale e progressista che ha deciso di avallare negli ultimi dieci anni.

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Wagner Moura in Civil War

Una sacrosanta apertura verso la differenziazione di genere ed etnia che, però, si scontra con l'ipocrisia di non aver nominato un'opera che va a capo delle "pericolose divisioni politiche". Le stesse divisioni che poi infiammano e alimentano odio e intolleranza. Fin dall'uscita, tra l'altro, Garland è stato preso di mira per le sue "posizioni", rispondendo prontamente sul fatto che Civil War non cavalchi le divisioni, utilizzandole invece per creare un dibattito costruttivo. Se "abbiamo perso fiducia nei media e nei politici", spiegava il regista, "Perché impediamo la conversazione?". Ecco, forse dovremmo chiederlo all'Academy.

"Niente domande politiche, grazie"

Per giunta, l'esclusione di Civil War dagli Oscar 2025 è un altro sintomo di quanto gran parte di Hollywood - la parte legata alle major, almeno, ma senza generalizzare - sia sempre più restia nel prendere posizione rispetto a determinati argomenti di matrice politica. È ormai consuetudine infatti che attori e registi, in sede di interviste e conferenze stampa, soppesino le proprie dichiarazioni, evitando agilmente di rispondere, aggirando o perfino respingendo determinate domande o allusioni (ma allora i giornalisti che servono a fare?).

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Kirsten Dunst in scena

Ostracizzare Civil War, dunque, è un altro segnale (allarmante) di quanto la tacita omologazione dell'establishment hollywoodiano sia rintracciabile in una facciata retorica (magari con post social prima delle elezioni), e impegnata politicamente ma solo nella misura in cui l'impegno non metta a rischio la propria "rilevanza industriale". Eppure, mai come adesso, ci sarebbe bisogno di far rumore, di prendere posizione, di far sentire la propria voce. E mai come adesso, ci sarebbe bisogno di film come Civil War.