Recensione Irréversible (2002)

Si arriva stancamente verso la fine-inizio, con la sensazione che di irreversibile c'è solo la noia provocata e mentre si comincia a riflettere su quali argomentazioni utilizzare per scoraggiare altri curiosi ad evitare la visione di questo finto film-shock, giunge la morale conclusiva, racchiusa in una frase: "Il tempo distrugge tutto".

Cinema o marketing del cinema?

La cosa che più si ricorda di questo Irréversible, anche a distanza di tempo dalla sua uscita, fu la campagna mediatica che lo accompagnò. Personalmente ricordo la difficoltà enorme causata dal dover valutare un prodotto la cui valenza sembrava essere più extra-cinematografica che altro. Ma a noi il cinema piace e quindi parliamo di cinema, non senza però fare un flashback (quanto mai adatto vista la natura del film in questione) per tornare a due anni fa.

Bene bene, siamo nella fatiscente Cannès: la passerella è al suo apice voyeristico, pronta ad accogliere l'affascinante coppia di tendenza Vincent Cassel - Monica Bellucci (come si vogliono bene; sembra che il francese abbia scambiato l'inserimento della bella italiana nei borghesi salottini parigini, con lo svelamento dei segreti culinari legati al sanguinaccio marchigiano e tutto va alla perfezione). La proiezione del loro film ha creato notevoli sgomenti, il regista franco-argentino Gaspar Noé e gli attori appaiono sensibilmente irritati dalla ferocia delle critiche ricevute; il buon Cassel sembra volere continuare a menar le mani. Tutto nella norma. Il meccanismo di presentazione funziona alla perfezione: la pellicola fa parlare di sé e solleva i classici dibattiti sulla violenza, la necessità di certe rappresentazioni e il loro impatto sullo spettatore. Si parla di pugno nello stomaco, di shock visivo, di opera insulsa, di violenza gratuita. Unico risultato, quello sperato: le sale (che presentano il film in contemporanea all'uscita al festival transalpino), si riempiono di numerosi spettatori, un po' sadicamente ansiosi di vedere la Dea Bellucci vittima di uno stupro di infinita durata. Il termine più abusato del terzo millennio prolifica: voyeurismo!

Le luci si spengono e partono i titoli di coda! C'è qualcosa che non va? No, l'ora è quella di inizio proiezione quindi ci tranquillizziamo tutti. Dovrebbe trattarsi solo di una scelta estetico-narrativa. Difatti, partendo dall'epilogo, il film racconta di Alex, stuprata in un tunnel all'uscita di una festa, e di Marcus e Pierre, rispettivamente fidanzato ed ex fidanzato della suddetta, alla ricerca del colpevole. Si tratta di un viaggio a ritroso, una discesa negli inferi alla ricerca della vendetta. Una vendetta consumata seguendo i crismi di un'estetica irritante e caricaturale, densa di immagini sgranate e confusionarie, in rigoroso abuso della steadycam. La macchina da presa segue tormentatamente l'esagitato Marcus e il più ragionevole Pierre nel loro percorso verso la verità; un percorso, come dicevamo, a ritroso, di cui non si coglie il reale senso. E' chiaro che il modello narrativo di riferimento è il solito Memento, film di ben altro spessore e con ben altre necessità (ad un film sulla memoria si accorda molta più indulgenza nell'esasperazione della costruzione temporale).

Gaspar Noé, invece, confeziona un film scialbo e convenzionale, inutilmente ossessivo e disturbante. Aggrappandosi ad un esercizio di montaggio fintamente alternativo e autoriale, raggiunge come unico risultato quello di immettere lo spettatore nella seconda parte del film in una condizione di svuotamento emotivo. Questa atmosfera, di inutilità e di eccessivo compiacimento, accompagna abbondantemente anche la scena incriminata: dieci minuti di straziante e gratuita violenza, di cui si poteva decisamente fare a meno. Cassel è (in quel suo modo sgraziato) bravo, ma sembra già schiavo del suo stile "agitato" di recitazione, la Bellucci appare ancora in debito di capacità interpretativa e soprattutto risibile nel doppiaggio che rischia di affossare anche la confezione del film, per il resto piuttosto curata (ucciderà anche [FILM]Matrix Reloaded[FILM] per puro spirito di compensazione).

Si arriva stancamente verso la fine-inizio, con la sensazione che di irreversibile c'è solo la noia provocata e mentre si comincia a riflettere su quali argomentazioni utilizzare per scoraggiare altri curiosi ad evitare la visione di questo finto film-shock, giunge la morale conclusiva, racchiusa in una frase: "Il tempo distrugge tutto". E' vero, il tempo è sempre un problema, lo è sempre stato, il tempo distrugge ogni cosa, ma, in definitiva, ha un carattere sommamente rivelatore. Infatti tra qualche giorno non ricorderò molto di questa furba pellicola post-primaverile. Peccato che la memoria della sua esistenza e della sua debole sostanza mi sia stata rimpinguata da una successiva, recente, masochista visione televisiva, e che queste righe ne rappresentano la necessaria catarsi, che voi dovete assolutamente condividere con me. Sì, io sono colpevole.