Recensione The Back (2010)

Nonostante il regista cinese Liu Bingjian definisca il suo film come un thriller, 'The Back' è in realtà una riflessione autoriale sull'incancellabile eredità del maoismo, realizzata con piglio antinarrativo che privilegia uno stile pittorico delle inquadrature.

Cicatrici indelebili del passato

Spiazzante è probabilmente l'aggettivo più indicato per catturare l'essenza di The Back. Bollato come un horror nella sinossi ufficiale del Festival di Roma, definito dal suo autore, il regista cinese Liu Bingjian, più propriamente come un thriller; in realtà il film è un'elaborata riflessione autoriale sull'eredità del maoismo, che trova la sua origine nel romanzo omonimo di Jing Ge, cui però il regista attinge solo come spunto di partenza. La struttura del racconto è laconica e sfilacciata, come accade di norma nel cinema cinese d'autore, con una progressione narrativa "scarnifica" (è il caso di dirlo), che si regge per la maggior parte su suggestioni di tipo visivo. L'essenza dell'intero film è fondata su un'unica, forte, idea: la penetrazione della retorica del regime maoista durante l'epoca della Rivoluzione culturale ha lasciato cicatrici indelebili sulle vite del popolo cinese, impossibili da cancellare anche per le successive generazioni. Questo concetto viene tramutato in una metafora ricorrendo alla strana figura del padre del protagonista: un ex ritrattista ufficiale di Mao Tse-tung che, ossessionato dall'indrottinamento ideologico, perde del tutto la testa, fino a spingersi a incidere nella pelle delle persone il volto serafico del leader di partito.

Il film oscilla tra passato e presente, contrapponendo da una parte il passato della Rivoluzione culturale, contraddistinta da una follia ideologica spinta fino all'eccesso, e dall'altra il presente della Cina neocapitalista, in cui le reliquie del maoismo sono divenute un ricercato cimelio per collezionisti. La riflessione procede per coppie tematiche opposte, mettendo a confronto la voluttuosità del consumismo e la liberalizzazione dei costumi sessuali contemporanei con la sacralità dello scenario tibetano in cui è ambientata l'ultima parte del film. Tuttavia The Back non sviluppa un intreccio organico e coerente, ma preferisce piuttosto ricorrere a un'elaborazione stilistica di tipo visivo.
Liu Bingjian abbandona l'approccio registico di marca realista delle opere precedenti per adottare una composizione delle inquadrature di stampo pittorico, componendo in alcuni casi dei quadri molto suggestivi (come la sequenza in cui il protagonista si abbandona in una vasca da bagno piena di pesci rossi). L'immagine di Mao Tse-tung intarsiata nella pelle umana, venduta a una ricca collezionista, è di certo una di quelle che si imprimono maggiormente nello spettatore. Tuttavia The Back non mantiene sempre la stessa efficacia per tutta la sua durata, finendo spesso per perdersi in sequenze inconcludenti e sfilacciate, che diluiscono la portata del messaggio e la forza della simbologia.