Recensione Redbelt (2008)

L'intrigo in cui il valente ma ingenuo Mike resta intrappolato in nome dell'avidità e dell'iniquità altrui è ben costruito cinematograficamente e la sceneggiatura si fonda su alcune buone idee che rendono il plot in buona parte ingegnoso, terso e coeso.

Chiwetel contro tutti

Il magnifico Chiwetel Ejiofor è un tipico caso di typecasting in positivo. L'intelligenza e la gentilezza del suo sguardo, la franchezza del suo sorriso, la qualità rassicurante del suo fascino hanno indotto a una sua utilizzazione in ruoli di una certa statura morale e umana. Sopra ogni cosa, ovviamente, c'è la sua indimenticabile performance in Piccoli affari sporchi; ma Chiwetel ha dato il meglio di sé anche in ruoli positivi più inconsueti, come quello dell'adorabile travestito Lola nella commedia Kinky Boots - Decisamente diversi. Ridley Scott in American Gangster ha sottolineato quanto poco gli si attagliasse il ruolo di criminale, mentre persino i suoi villain (pochi), come quello di Serenity, hanno qualcosa di assolutamente ammirevole.
David Mamet, navigato sceneggiatore occasionalmente anche regista, aveva probabilmente l'intenzione di sfruttare tali caratteristiche dell'attore londinese, chiamandolo per il suo sports-movie moraleggiante Redbelt; e in questo, bisogna riconoscerlo, è riuscito perfettamente.
In Redbelt, Chiwetel è un umile istruttore di ju jitsu e un eroe nel senso più puro e altolocato del termine, e riesce a rendere efficace una sceneggiatura che ha più di un passaggio sconcertante.

Mike Terry (Ejiofor, appunto) gestisce una palestra frequentata principalmente poliziotti che istruisce al ju jitsu, un'arte marziale indirizzata alla difesa personale e all'astuta utilizzazione della forza dell'avversario/ aggressore contro di lui. Una sera, praticamente all'ora di chiusura, una giovane donna chiaramente in stato confusionale piomba nei locali, e quando il migliore allievo di Make, l'agente Joe Ryan, cerca di bloccarla, lei afferra la pistola carica che apperantemente staziona di norma sul bancone (avevamo parlato di passaggi sconcertanti, no? Beh, iniziano subito e questa scena non è nemmeno la più surreale, aspettate di vedere il finale) e fa partire un colpo mandando in frantumi la vetrina che dà sulla strada. Invece di denunciarla, Mike e sua moglie la soccorrono e la tranquillizzano. Quella stessa sera, Mike, che ha gravi difficoltà economiche, si reca nel bar del poco raccomandabile cognato per chiedere un prestito e salva l'attore Chet Frank da un pestaggio. Il suo sangue freddo e il suo coraggio gli valgono l'amicizia delle due persone al servizio dei quali li mette, e la sua vita sembra aver imboccato la svolta giusta... in realtà è finito nel guaio peggiore della sua esistenza.

L'intrigo in cui il valente ma ingenuo Mike resta intrappolato in nome dell'avidità e dell'iniquità altrui è ben costruito cinematograficamente e la sceneggiatura si fonda su alcune buone idee che rendono il plot in buona parte ingegnoso, terso e coeso. La bravura del protagonista, comunque supportato da buone performance di secondo piano, su tutte quelle di una deliziosamente fragile Emily Mortimer, e da dialoghi curati e intelligenti, assicura che la visione sia sempre intensa e coinvolgente. Peccato per quegli elementi dello script, spesso anche di un certo rilievo, che sorprendono davvero per inverosimiglianza e trascuratezza in un autore con tanta esperienza (nonché pluripremiato drammaturgo), e la cui presenza può trovare giustificazione solo in una forzata e ricercata stilizzazione.

Perché è evidente che il proposito di Mamet non era costruire uno script a prova di bomba, ma ritrarre un moderno cavaliere senza macchia e senza paura, provando a dimostrare che persistere nella fedeltà ai propri nobili principi può condurre ad un trionfo inaspettato. Una sorta di fiaba morale, dunque, per proporre un'idea che al mondo di oggi appare decisamente anacronistica e sventata, ma anche sincera e potente, almeno in questa sua incarnazione nel magnifico Chiwetel Ejiofor.

Movieplayer.it

3.0/5