Recensione Il gusto dell'ossessione (2005)

Poca originalità, qualche incoerenza, sprazzi di noia, ma soprattutto niente horror: sicuramente migliore come regista che come sceneggiatore, Garris cerca inutilmente di imprimere vivacità a un prodotto che, più che aromatico come il cioccolato, sembra avere il sapore inconsistente dell'acqua.

Che sapore ha il sangue?

La vita di Jamie, mite divorziato che lavora in una ditta di aromi artificiali, viene sconvolta da strane percezioni sensoriali che lo assalgono all'improvviso: allucinazioni visive e auditive che si rivelano appartenere a una donna misteriosa. Jamie diviene partecipe delle sensazioni, delle paure e dei dolori della sconosciuta tanto da innamorarsi perdutamente di lei e recarsi in Canada per conoscerla personalmente. L'incontro, però, non andrà come sperato.

A Mick Garris va tutto il merito di aver concepito i Masters of Horror, ideando l'intero progetto, elencando un personale "dogma" di regole da far seguire rigorosamente ai colleghi per dare omogeneità all'operazione e favorendo le condizioni pratiche per permettere la realizzazione dei tredici mediometraggi che raccolgono l'elite registica dell'horror internazionale. Nonostante non sfoggi una filmografia particolarmente blasonata (qualche film per ragazzi e gli adattamenti per il piccolo schermo dei kinghiani L'ombra dello scorpione, Shining e Riding the bullet), Garris non si è fatto intimorire dal confronto con mostri sacri come John Carpenter, John Landis e Takashi Miike e si è ritagliato il proprio spazio creativo con questo Chocolate.

Per dare il buon esempio ai colleghi, l'episodio contiene tutti gli ingredienti stabiliti dal dogma in questione: sexy fanciulle seminude, sesso, gore, heavy metal, un bel po' di sangue versato, nonché un esplicito omaggio al mentore Stephen King col primissimo piano del romanzo che il protagonista tiene sul comodino e sfoglia prima di addormentarsi. Tutto come da copione...forse troppo. Il raccontino, di cui Garris è anche autore, scorre liscio come l'olio senza provocare il minimo sussulto. Narrazione scorrevole, atmosfera piacevole (si passa dal revival dei rocker di periferia nostalgici degli anni '80 alla sophisticated elite degli artisti tutti sesso e sregolatezza della Vancouver bene), fotografia patinata e notevole cura nella costruzione delle immagini, ma l'orrore non abita più qui. Chocolate non provoca il benché minimo sussulto e dopo qualche curiosità iniziale, suscitata per lo più dalla condotta dimessa del povero Jamie (che si ostina a sbandierare un'inspiegabile dieta vegetariana, oltre alle varie sfighe sentimentali), il racconto corre veloce verso il finale, telefonatissimo fin dalle prime inquadrature che inaugurano il lungo flashback narrato dallo stesso protagonista con tanto di camicia zuppa di sangue e sguardo perso nel vuoto.

Discreta la prova degli attori, in particolare di Henry Thomas (ex amichetto terrestre di E.T. L'Extraterrestre) che, suo malgrado, viene costretto da una sceneggiatura piatta e banalotta ad interpretare scene che non hanno niente di erotico, ma in compenso arricchiscono di umorismo involontario il film: si pensi (o forse è meglio non pensarci) all'interposto amplesso di Jamie con un maschione muscoloso davanti agli occhi inorriditi di ex moglie, figlio e amante incontrata al supermercato, o all'autoerotismo nella doccia. Poca originalità, qualche incoerenza, sprazzi di noia, ma soprattutto niente horror: sicuramente migliore come regista che come sceneggiatore, Garris cerca inutilmente di imprimere vivacità a un prodotto che, più che aromatico come il cioccolato, sembra avere il sapore inconsistente dell'acqua.

Movieplayer.it

2.0/5