Caterina Caselli – Una Vita, Cento Vite, la recensione: Storia di sogni, radici e irriverenza

La recensione di Caterina Caselli - Una Vita, Cento Vite, il documentario che ripercorre in un insolito viaggio personale la carriera del caschetto biondo di Nessuno mi può giudicare.

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Caterina Caselli - Una vita, cento vite: Caterina Caselli in una scena

È un documentario all'apparenza convenzionale, ma nell'ora e mezza di visione si rivela un viaggio molto personale attraverso le principali tappe della sua carriera. Caterina Caselli, il Casco d'Oro di Nessuno mi può giudicare, si racconta in prima persona restando in primo piano per tutto il tempo di una lunghissima intervista durante la quale ricorda aneddoti, si abbandona alle memorie più intime, si commuove, sorride e incontra vecchi amici e colleghi (come leggerete di seguito nella recensione di Caterina Caselli - Una Vita, Cento Vite in sala dal 13 al 15 dicembre). Il regista del film Renato De Maria ne restituisce un ritratto sincero dal ritmo serrato e capace di tratteggiare la figura di una donna diventata un'icona di avanguardia musicale e un simbolo delle prime istanze femministe.

Gli esordi romani, i musicarelli, la tv con Boncompagni e il ritiro dalle scene

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Caterina Caselli - Una vita, cento vite: Caterina Caselli in una sequenza

La musica è stata e continua a essere la sua vocazione: Caterina Caselli - Una vita, cento vite parte da questo assunto. Una narrazione in ordine cronologico che inizia a Modena, dove una ragazzina appena quattordicenne figlia di una magliaia e un salumiere, si diverte a inventare filastrocche e a cantare. Prima lo fa nel tragitto da casa a scuola, poi inizia a prendere lezioni di canto con l'intenzione di partecipare a delle audizioni. Convincere la famiglia per la quale "quello non era un mestiere da donna" non sarà facile, lo sarà invece con Maurizio Vandelli dell'Equipe 84 che nel 1965 la porta con sé a Roma, al Capriccio. "Mi parlavano di Roma come New York", ricorda, "vennero a convincere mia madre che mi disse: 'Non ti darò una lira'". Da lì al Piper il passo è breve "e partì la festa": la scrittura il presidente della Compagnia Generale del Disco (CGD), l'ungherese Lázló Sugár, poi arrivano il Cantagiro, Sanremo e il successo di "Nessuno mi può giudicare", che nel 1966 la consacra definitivamente.

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Caterina Caselli - Una vita, cento vite: Caterina Caselli in una foto d'archivio

Il brano era stato scritto per Celentano che però lo scarta presentandosi con "Il ragazzo della via Gluck"; doveva essere un tango, "ma cambiammo il ritmo perché mi sembrava da vecchi". Risultato? Il disco va sold out e la canzone diventa il manifesto di una generazione di giovani donne travolte da un desiderio di indipendenza e affermazione aldilà dei ruoli tradizionalmente imposti dalla società. Il documentario procede ripercorrendo un pezzo di storia della musica italiana, i fermenti degli anni '60, la voglia di cambiamento; poi arrivano i musicarelli, le trasmissioni tv con Boncompagni, Morandi e Gaber fino al matrimonio con Pietro Sugar, figlio di Ladislao, nel 1970, la maternità e la decisione di ritirarsi dalle scene e reinventarsi come talent scout, che ha saputo portare la musica italiana nel mondo da Andrea Bocelli a Elisa, e i Negramaro.

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Tra immagini di repertorio e aneddoti personali

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Caterina Caselli - Una vita, cento vite: Caterina Caselli in un'immagine d'archivio

È un racconto appassionato quello di Renato De Maria, capace di rappresentare attraverso la vita di Caterina Caselli le ambizioni di un'Italia che sognava e sperava, viveva di rock e Cantagiro. Gli aneddoti più intimi si alternano alle immagini di repertorio, molte delle quali provenienti da Teche Rai e Istituto Luce, come la carrellata di spezzoni di programmi dell'epoca o di interviste che ripropongono un'irriverente ragazzina dal caschetto biondo, che canta, balla e chiede "Perdono". Ci sono poi le chiacchierate con gli amici e colleghi, da Francesco Guccini a Paolo Conte, che per lei riscrisse "Insieme a te non ci sto più" e che la ricorda così: "Cantavi come le lavandaie con la naturalezza del popolo, senza nulla di artefatto, libera".

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Caterina Caselli - Una vita, cento vite: Caterina Caselli in una foto promozionale

Un flusso di memorie attraverso i viaggi in lungo e in largo in giro per l'Italia, nessun rimpianto, ma un solo unico ricordo che pesa come un macigno: quello del suicidio del padre. Si ammalò di depressione, iniziò a non stare bene, poi un giorno la accompagnò insolitamente a scuola e salutandola le disse: "Studia". Fu il suo ultimo saluto, quando tornò a casa trovò sua madre seduta per terra e parenti che non vedeva mai; non andò al funerale, voleva ricordarlo da vivo. È il momento che rivela il suo lato più intimo, quello in cui l'immagine della donna coraggiosa e controcorrente cede il passo alla commozione e si spezza.

Conclusioni

Concludiamo la recensione di Caterina Caselli – Una Vita, Cento Vite con la consapevolezza di trovarci davanti un ritratto appassionato di un’artista rivoluzionaria. Un carrellata di immagini di repertorio nell’Italia degli anni ’60 che scopriva il beat e sperimentava l’irriverenza, attraverso un affresco all’apparenza strutturato sull’ impianto di un documentario tradizionale, che si rivela via via un viaggio personale sul filo del ricordo.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • Un ritratto dal ritmo serrato, capace di tratteggiare la figura di una donna simbolo di avanguardia musicale e portavoce delle prime istanze femministe.
  • Un documentario all’apparenza convenzionale, ma che si rivela lentamente un viaggio personale e intimo attraverso le principali tappe della carriera di Caterina Caselli.
  • Le immagini di repertorio rivelano l’atmosfera dell’Italia degli anni ’60 investita dalla voglia di cambiamento e da spinte avanguardiste.

Cosa non va

  • L’impianto da documentario classico con la protagonista interlocutrice privilegiata e sempre in campo potrebbe alla lunga annoiare.