"Una buona storia si chiude dove è cominciata". Sembra un San Valentino insanguinato quello appena trascorso leggendo la recensione di Castle Rock 2, serie arrivata il 13 febbraio sul servizio streaming StarzPlay e negli Usa prodotta da HULU. Una stagione apparentemente antologica ma che in realtà si incastra perfettamente nel mondo creato nella prima da Sam Shaw e Dustin Thomason prendendo spunto dalle opere letterarie di Sua Maestà Stephen King. Al centro dei nuovi 10 episodi troviamo l'infermiera protagonista di Misery non deve morire Annie Wilkes (col volto di un'azzeccatissima Lizzy Caplan reduce dall'altrettanto psico-personaggio di Truth Be Told). Lei e la figlia Joy (Elsie Fisher) sono in continuo spostamento attraverso gli Stati Uniti per qualche misterioso motivo, cambiando targa e identità, ma un incidente stradale le costringe a fermarsi proprio a Castle Rock.
Una cittadina dove nessuno vorrebbe vivere?
La tv ci ha abituato fin dai tempi di Twin Peaks a cittadine dimenticate da tutto e tutti e ricche di mistero e di elementi sovrannaturali spesso legati alle loro origini più lontane. Castle Rock non fa eccezione e, come già dimostrato nella prima stagione, è un posto in cui davvero pochi di noi vorrebbero vivere, eccetto forse per gli amanti della morte più o meno certa entro la fine della stagione. Ancora una volta il serial prende spunto dall'universo del Maestro dell'Horror, non solo da Misery ma anche da Le notti di Salem e dalla cittadina al centro di quella storia, Jerusalem's Lot, già ribattezzata Salem's Lot. Da quel racconto arriva anche Casa Marsten, una casa infestata e abbandonata alla periferia di Castle Rock, che cela nelle sue fondamenta indicibili segreti. Tantissimi sono ancora una volta gli easter egg kinghiani più o meno velati presenti nel serial.
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400 anni di orrore
Segreti che potrebbero risiedere nel nome originario della cittadina, New Jerusalem, quando sparì misteriosamente un intero nucleo di abitanti. La fotografia e la regia degli episodi rientrano negli stilemi tipici dell'horror-thriller: molti ambienti chiusi ed iconici (ad esempio l'ospedale dove lavora Annie mentre è a Castle Rock), luci soffuse, toni che insistono sul grigio e su giochi di luci ed ombre, suoni stridenti in momenti che ricordano l'Hannibal di Bryan Fuller. Proprio come nell'universo televisivo di J.J. Abrams, produttore della serie tv, del suo collega Damon Lindelof, e ovviamente in quello letterario di Stephen King, la religione è un elemento importantissimo al centro della storia. Una religione malata, in questo caso, pericolosa, che viene vissuta dai propri adepti quasi come una setta, che ricorda quella di The Sinner per alcuni aspetti. Proprio come il personaggio che diventerà in Misery non deve morire, infatti, Annie ricorda "che non ci sono più gli uomini di una volta" e "quanto il mondo sia pieno di sporcizia e vada ripulito". Per lei al mondo esistono buoni e cattivi, e i cattivi devono essere puniti, non esistono sfumature di grigio. La sua vita è legata a doppio filo all'elemento letterario e allo storytelling, anch'esso centrale nella seconda stagione, e ci permetterà di scoprire come la donna sia entrata in contatto con la Misery di Paul Sheldon.
Due nuclei familiari altamente disfunzionali
Fin da subito questa seconda stagione mette a confronto due nuclei familiari per niente funzionali: da un lato il rapporto fra Annie e Joy che, merito di un incipit perfettamente cinematografico, mostra come con la crescita e l'arrivo dell'adolescenza, la ragazza inizi a farsi domande e non accetti più come oro colato ciò che la madre le ha sempre raccontato ("un'infermiera deve spostarsi continuamente per poter mantenere la licenza"). L'altro nucleo ha come capofamiglia uno dei boss della cittadina, Reginald "Pop" Merrill - interpretato da Tim Robbins che aveva recitato tra gli altri in Le ali della libertà e il cui personaggio sembra una versione deprecabile di quello in visto in Here and Now di HBO. Pop ha quattro figli adottati, gli americani Ace e Chris da una parte, i somali Nadia e Abdi dall'altra. Ace e Abdi sono quelli più in disaccordo, e le dinamiche familiari tra i cinque non vengono presentate come le più salutari, anzi creeranno un'escalation di vendette che porterà l'intera cittadina, oltre che le due famiglie protagoniste, a dover fare i conti col proprio passato. Molti episodi sono infatti costruiti su un lungo flashback volto a svelare quanto mostrato in pillole nelle puntate precedenti. Poiché, come dirà qualcuno ad Annie ad un certo punto "una buona storia si chiude dove è cominciata".
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Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione di Castle Rock 2 sottolineando come questa seconda stagione porti con sé i pregi e i difetti del suo ciclo inaugurale. Da un lato alcune ridondanze narrative, maggiormente evidenti se si segue in binge watching un prodotto pensato per l’appuntamento settimanale, ma allo stesso tempo omaggia ancora una volta con rispetto e con coscienza Stephen King, incastrandosi perfettamente in ciò che era stato raccontato nella prima annata, chiudendo un cerchio e pronta a riaprirne un altro se verrà rinnovata.
Perché ci piace
- La serie incastra questo prequel con la storia di “Misery non deve morire” e con il resto dell’universo di Stephen King.
- Il suo relazionarsi in maniera intelligente con la prima stagione.
Cosa non va
- Qualche ripetitività nello sviluppo di alcune sequenze e negli snodi narrativi madre/figlia, maggiormente evidenti se si guarda la serie in binge watching.