Sempre pericoloso scomodare vecchie glorie del cinema horror. Lo sa bene David Gordon Green, che dopo essersi attirato gli strali dei fan di Michael Myers per la sua trilogia midquel sul franchise di Halloween ha tentato nuovamente la fortuna con il recente, e assai discusso, sequel L'esorcista - Il credente (2023), diretta prosecuzione del cult di William Friedkin. Vi era perciò molta curiosità attorno ad un personaggio iconico quale Candyman, una sorta di corrispettivo di Freddy Krueger ad uso e consumo del pubblico afroamericano (ma ovviamente non solo) creato dalla geniale mano di Clive Barker. Un'operazione rischiosa, questa di Candyman, ma che ha destato molta curiosità fin dalle premesse, soprattutto per la presenza in fase di sceneggiatura e produzione di Jordan Peele, proprio colui che ha dato nuova linfa ed energia alla new wave del black horror.
A quasi trent'anni dal film originale, uscito nel 1992, è arrivato nelle sale - con tanto di rinvii dovuti alla pandemia e via dicendo - questo sequel del primo capitolo (tralasciando quindi gli episodi due e tre realizzati successivamente) che riprende il babau di Tony Todd per adattarlo ad un racconto dal taglio moderno, in grado di riflettere con lucidità sulla questione razziale e sui fenomeni di gentrificazione che ancor oggi scuotono il cuore dell'America.
Specchio, specchio delle mie brame
La storia vede per protagonista Anthony McCoy, un pittore che vive a Chicago in compagnia della sua fidanzata. In cerca di ispirazione per un nuovo dipinto commissionatogli, che sarà presentato in un importante mostra cittadina, resta affascinato da una storia dell'orrore raccontatagli dal cognato e incentrata su un tragico fatto di sangue che sarebbe avvenuto anni prima nel sobborgo di Cabrini Green. Determinato a scoprirne di più, Anthony visita il quartiere e incontra William Burke, proprietario di una lavanderia che entra in ulteriori dettagli, insegnandogli anche la presunta evocazione di questo spirito in cerca di vendetta: se verrà pronunciato per cinque volte il nome Candyman davanti a uno specchio, questi comparirà con intenzioni tutt'altro che benevole. Pensando ad una semplice urban legend, Anthony compie il rituale e da quel momento ritrova la vena creativa, diffondendo poi più o meno volontariamente la maledizione ai visitatori della mostra, che cominciano a morire in circostanze misteriose e sanguinose uno dopo l'altro. E quando Anthony si accorgerà di aver risvegliato il male, rischierà di essere troppo tardi...
Jordan Peele e Donald Glover: orrore e commedia per raccontare l'America black oggi
Riflesso contemporaneo
Fin dall'inizio con i titoli di testa che scorrono su una metropoli sbilenca immersa in una perenne nebbia, tra sogno e realtà, emerge la valenza politica e sociale di un film che prima ancora dell'horror nelle sue contaminazioni di genere cerca di raccontare altro, al fine di sfruttarne l'impianto ludico per lanciare un messaggio. Esplicativo l'epilogo, dove per porre fine ai mali di una società corrotta, il solo modo per rispondere alle ingiustizie sembra quello di scendere a patti con il diavolo stesso, in una sorta di metaforica accentuazione delle istanze dietro al movimento Black Lives Matter e dei controversi caso che coinvolgono la polizia d'Oltreoceano. Tra richiami alle leggende urbane e citazionismo al prototipo, con un orrore che si lega ai secoli passati nel dramma imperituro vissuto dalla popolazione afroamericana, Candyman si rivela tagliente al punto giusto senza scomodare eccessi di retorica, arrivando anzi dritto al sodo con una carica prorompente e primigenia che non risparmia ad ogni modo un tocco visionario presente qua e là in diverse occasioni.
Le vie del terrore
Violenza che spesso viene saggiamente lasciata fuori campo perché a far paura e prendersi la ribalta dev'essere il contenuto e non la messa in scena, con il sangue che sgorga o in lontananza o riflesso in superfici specchiate, proprio quegli specchi che diventano tramite tra le due realtà, portali mortiferi dove le ignare vittime si addentrano pur consapevolmente, all'insegna di "chi è causa del proprio mal, pianga se stesso".
Lo stesso cast è perlopiù accessorio al racconto, con il ruolo "ponte" di Yahya Abdul-Mateen II ad accentrare su di sé il resto dei personaggi e alcuni ritorni dal capitolo originale come Vanessa Williams e Virginia Madsen, mentre dietro la macchina da presa troviamo Nia DaCosta: la regista del prossimo cinecomic The Marvels, si dimostra a suo agio sia nelle fasi più introspettive e atmosferiche che nei momenti più brutali e tipicamente orrorifici, con i jump-scare ridotti ai minimi termini in favore di un approccio atto a costruire una suspense crescente.
Conclusioni
Un pittore in cerca di ispirazione si imbatte nella urban legend legata alla figura di Candyman e inavvertitamente risveglia la maledizione legata a questo vendicativo babau della comunità afroamericana, che si pensava ormai morto e sepolto da tempo. Come vi abbiamo raccontato nella recensione di Candyman ci troviamo davanti ad un sequel diretto dell'originale del 1992 - seguendo una pratica ormai comune a tante saghe horror - scritto e prodotto da un "certo" Jordan Peele, che ne omaggia toni e atmosfere riproponendo tematiche legate alla questione razziale e alla gentrificazione, in un Paese ancora incapace di far pace con i propri demoni. Un film tosto che vive su un'inquietudine costante e crescente, tra graditi ritorni e suggestioni inedite che aprono a ipotetici sequel chiudendo comunque il racconto con spietata sagacia.
Perché ci piace
- Atmosfera e tensione che omaggiano l'originale con personalità.
- Il ritorno di Tony Todd nei panni dell'iconico personaggio.
- L'horror viene sfruttato per raccontare altro.
Cosa non va
- Un paio di forzature qua e là per scatenare gli eventi.