Sigarette, proiettili e sangue. Il cinema di genere puro e senza compromessi ritorna tra noi con Calibro 9, il nuovo film di Toni D'Angelo presentato in anteprima nel Fuori Concorso al Torino Film Festival. Quasi mezzo secolo è passato da Milano Calibro 9, il film del 1972 di Fernando di Leo diventato un cult per tutti gli amanti del genere (è uno dei film preferiti di Quentin Tarantino), e questo film ne è un diretto proseguimento. Non solo un sequel dal punto di vista narrativo, capace di riprendere alcuni personaggi storici (è il caso di quello interpretato da Barbara Bouchet, ma anche di Michele Placido che eredita il Rocco Musco di Mario Adorf), ma anche una dichiarazione d'intenti a livello produttivo: un ritorno al cinema più popolare e capace di richiamare l'attenzione degli spettatori semplicemente con una buona storia attraverso un omaggio romantico intriso di passione col cinema del passato.
Protagonista del film è Fernando Piazza, interpretato da Marco Bocci, figlio del protagonista del film originale, che si ritrova invischiato in una truffa nei confronti della 'ndrangheta: dai conti dei mafiosi, con un solo click, spariscono cento milioni di euro. Il tutto dà il via a una serie di ricatti e conti da sistemare e il protagonista è costretto alla fuga, aiutato dalla sua ex compagna, la letale Maia Corapi, mentre due bande rivali e un commissario imperscrutabile, Valerio Di Leo (interpretato da Alessio Boni), si mettono sulle sue tracce. Calibro 9, nel raccontare una storia di criminalità e di chiaroscuri, riprende gli stilemi di quel cinema artigianale, economico e senza filtri che tanto aveva avuto successo negli anni Settanta, adattandoli però al linguaggio cinematografico contemporaneo.
Cinema di genere nel 2020
Calibro 9 si prefigge l'onere di riportare in sala il cinema di genere duro e puro, identico nei valori e nello stile del cinema del passato ma con un occhio di riguardo verso lo spettatore del 2020. Non è necessario conoscere l'originale perché basta poco per catapultarsi all'interno di quel modo di fare cinema e rimanerne appassionati. "Il cinema di genere ha un suo linguaggio, diretto, che negli anni è un po' cambiato. - afferma il produttore e sceneggiatore del film Gianluca Curti, figlio di Ermanno Curti, il produttore del film originale - oggi c'è molto cinema di genere, anche capace di contaminarsi col cinema autoriale, e il nostro obiettivo era quello di ripercorrere con grande attenzione e rispetto il cinema di genere italiano. Un lavoro minuzioso che ci ha portato anche ad aggiornarlo attraverso le nuove tecniche di ripresa o la possibilità di usare le tecnologie per la post-produzione che cinquant'anni fa non erano così precise". Rispetto, amore, ma anche un occhio al presente e al contemporaneo: sono questi gli ingredienti che permettono a Calibro 9 di risultare un tipo di cinema, considerato inizialmente di serie B ma poi capace di rendere famosa l'Italia in tutto il mondo, che riesce a fotografare l'attualità. Per il regista Toni D'Angelo il film dimostra come "_la criminalità organizzata, anche dopo decenni, non è cambiata, ma si è sviluppata. Oggi sarebbe improbabile mostrare scambi di denaro con valigette piene di soldi, ma il tutto rimane, magari solo attraverso la rete telematica, i computer".
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I modelli della tradizione
Il legame con il cinema di genere degli anni Settanta non è solo una dimostrazione dell'incredibile passione di regista e produttore verso quel tipo di film, ma anche un vero e proprio legame emotivo che unisce padri e figli, generazioni differenti unite dallo stesso amore. Il protagonista Marco Bocci ha modo di spiegare come Calibro 9 sia un film sull'eredità: "Tony D'Angelo aveva le idee molto chiare a proposito. Si può anche non usare lo stesso tono e lo stesso timbro, specie nella recitazione, ma i nuovi personaggi devono mantenere quel fascino iconografico di quel cinema." Il suo personaggio è figlio del protagonista del primo film ed è metafora dell'approccio scelto coi modelli della tradizione: "Il film rispetta la drammaturgia di quell'universo narrativo con dinamiche nuove e mette in scena un rapporto maturo tra padre e figlio. Si crea, perciò, un conflitto tra ciò che si pensa di essere con ciò che, invece, si realizza di essere". "_Cambiano le modalità, ma non la sostanza" - approfondisce Alessio Boni, interprete del commissario Di Leo - "I personaggi, compreso il mio, non sono né completamente buoni né totalmente cattivi. Stanno in una via di mezzo perché quando ci si inserisce in storie di malavita è naturale sporcarsi e uscirne diverso. Abbiamo lavorato con una passione verso quel tipo di cinema che contagiava tutta la troupe e abbiamo trovato un equilibrio tra modelli della tradizione e contemporaneità".
Un nuovo sequel in programma?
Il cinema di genere era un cinema che funzionava: attraverso le sue storie dirette, l'azione e il target popolare riusciva perfettamente ad avere successo. Lo stesso successo che regista e produttore si augurano per poter proseguire la storia. Gianluca Curti non nega che qualche conversazione in relazione a un sequel sia già avvenuta: "Ci siamo confrontati durante la realizzazione e, infatti, il film ha un nuovo finale che non era previsto inizialmente proprio per dare spazio a un possibile nuovo sviluppo della storia. L'orizzonte è aperto, forse ci potremmo spostare verso l'Est Europa per approfondire alcuni aspetti narrativi. Chissà, magari si riuscirà a creare un nuovo episodio di questa saga. Ne parleremo con calma in futuro". Tony D'Angelo, sorridendo, è più conciso: "Sarei pronto".