Recensione Il responsabile delle risorse umane (2010)

Contesto sociale e sfera privata si fondono in una pellicola capace di far riflettere pur mantenendo un'ironia di fondo costante, ma sommessa, che emerge quando il protagonista si imbatte in una galleria di personaggi borderline tratteggiati con sagacia dal regista Eran Riklis.

Cadaveri in viaggio

Il dramma dell'immigrazione si intreccia a quello del conflitto israelo-palestinese nel rocambolesco Il responsabile delle risorse umane, road movie diretto dal regista de La sposa siriana Eran Riklis. La forza del film, ispirato al sagace romanzo omonimo di Abraham B. Jehoshua, sta nell'abbracciare temi fondamentali come la solitudine dell'immigrato trapiantato in un paese straniero, la logica del profitto delle grandi aziende e l'impotenza dell'uomo di fronte alla morte, ponendoli come sfondo di una vicenda dai risvolti tragicomici. A toccare con mano il dramma della morte di una dipendente, un'immigrata rumena perita in un attentato suicida, è il responsabile del personale di un grande panificio di Gerusalemme il quale si trova a dover gestire una situazione potenzialmente critica. La donna, licenziata un mese prima dall'azienda di cui conservava ancora in tasca il cedolino dello stipendio, continua a risultare sul libro paga del panificio per un errore burocratico e non avendo parenti che la possano riconoscere, in quanto straniera, rischia di restare a lungo nell'obitorio senza che nessuno reclami il corpo. Quando un giornalista senza scrupoli, noto come 'il serpente', minaccia di rendere pubblica la vicenda gettando fango sul panificio, il responsabile del personale si incarica di risolvere la questione. L'uomo, afflitto da un cumulo di problemi personali (una moglie da cui ha divorziato, una figlia che non riesce a gestire la separazione dei genitori), si imbarca in un viaggio della speranza trascinandosi dietro la bara per mezza Europa.


Contesto sociale e sfera privata si fondono in una pellicola capace di far riflettere pur mantenendo un'ironia di fondo costante, ma sommessa, che emerge quando il responsabile delle risorse umane si imbatte in una galleria di personaggi borderline, tra i quali spicca il figlio della morta, un adolescente scontroso e problematico, che gli rende ancor più complicato il lungo tragitto. Eran Riklis tratteggia con equilibrio e sagacia gli eccentrici caratteri che popolano la sua pellicola. In questo è favorito dalla presenza di un grande cast capitanato da Mark Ivanir, attore di origini ucraine trapiantato da tempo a Los Angeles che prossimamente vedremo in Le avventure di Tin Tin: il segreto dell'unicorno di Spielberg. Il suo responsabile delle risorse umane, incastrato in un drammatico divorzio e in un lavoro che odia, rappresenta un vero e proprio monumento al dovere. L'uomo accantona i problemi personali che lo affliggono armandosi di sopportazione per salire su un furgone sconnesso guidato da un autista ubriaco che lo condurrà in Romania per riconsegnare la bara alla madre della defunta.

Al tema del viaggio come scoperta di sé, centrale in tutta la produzione di Abraham B. Jehoshua, si aggiunge stavolta quello di una rinascita interiore che passa attraverso la morte, quella vera, drammatica, irreversibile. Alla purificazione spirituale del personaggio interpretato da Ivanir corrisponde quella fisica. L'intossicazione alimentare che lo mette KO rappresenta la liberazione simbolica dalle sofferenze che ne inquinano il corpo e, una volta rinato, l'uomo potrà portare a termine la propria missione cristiana: dare sepoltura al cadavare reietto. Chi vuol vedere riferimenti religiosi, seppur in quantità più lieve rispetto al romanzo, è libero di farlo visto che la città di partenza - e, paradossalmente, anche di arrivo - del viaggio è proprio quella Gerusalemme culla di diverse fedi e teatro di un orribile conflitto. Finale, profondo e sentito, a sorpresa con l'aggiunta di un ulteriore viaggio, stavolta a bordo di un carroarmato sovietico. Ancora un riferimento storico-sociale - la condizione degli abitanti dei paesi dell'Est dopo il crollo dell'Unione Sovietica - ancora un mondo che si apre davanti agli occhi dello spettatore intento a seguire la stratificata pellicola concepita da Riklis. Il segreto per mantenere coesa un'opera che ci fornisce uno spaccato di mondi e contesti storici profondamente diversi? La leggerezza. Per non smentirsi il finale dolce-amaro de Il responsabile delle risorse umane, nella sua profonda saggezza, è capace di strapparci ancora un sorriso.

Movieplayer.it

3.0/5