Recensione Il maestro e la pietra magica (2009)

La Disney sbarca in Russia con un fantasy che vorrebbe unire la forza poetica dei racconti popolari e lo spettacolo puro; il risultato, però, è un ibrido di qualità non eccelsa, un racconto di semplice lettura e senza eccessivi approfondimenti che non è lontanamente paragonabile ai classici del genere.

C'era una volta (poi non c'è più)

Da quando la giovane figlia della strega Baba Jaga è rimasta ammaliata dall'incantesimo della pietra Alatyr, il regno in cui si trova la Foresta Infinita non è più lo stesso. Col passare degli anni la piccola si è trasformata nella perfida Contessa di Pietra, una donna malvagia che domina incontrastata su quelle terre grazie ai servigi degli Aldari, potenti guerrieri senza cuore guidati dall'enigmatico Yangul (Artur Smolyaninov). L'unico modo per avere in pugno il mondo intero è trovare un sommo maestro intagliatore capace di ridare vita all'Alatyr. Il predestinato è il coraggioso Vanja che accetta la terribile missione spinto dall'amore per la bella Katja (Mariya Andreeva), aiutante della Contessa e soprattutto sua prigioniera. I pericoli per il giovanotto non si nascondono soltanto tra le fronde degli alberi magici della foresta, ma anche nel villaggio natio, dove il padrone delle terre, tra una festa sfarzosa e l'altra, vive unicamente per soddisfare i capricci della figlia Klava (Olga Ergina), invaghitasi proprio di Ivan. Il compito che aspetta Vanja, dunque, è davvero improbo: riportare la pace nel suo paese, sposare Katja e soprattutto spedire Klava tra le braccia del suo migliore amico Kuzma (Nikolay Efremov).
Il maestro e la pietra magica è il primo kolossal fantasy che la Disney produce in Russia. Dopo l'esperienza in Cina con The secret of magic gourd (prodotto assieme alla China Movie Co Ltd) continua da parte della major l'esplorazione dei mercati orientali, alla ricerca di un pubblico diverso e di storie nuove da raccontare.

In questo caso a risultare particolarmente interessante è la relazione tra lo sterminato immaginario favolistico dell'Est e il linguaggio cinematografico prettamente Hollywoodiano. A rappresentare l'ideale ponte tra queste due culture agli antipodi è proprio il quarantaduenne regista Vadim Sokolovsky. Nato a Mosca quando ancora c'era l'Unione Sovietica l'autore (ormai titolare di una sua casa di produzione) si è trasferito a Los Angeles nel 1994 e nella città degli angeli è entrato in contatto con gente del calibro di Roger Corman e Steven Spielberg, con cui ha lungamente collaborato per la Survivors of the Shoa Visual History Foundation, l'organizzazione creata per la registrazione delle testimonianze dei sopravissuti dell'olocausto. Insomma l'esperienza artistica dello stesso Sokolovsky dovrebbe dimostrare che è possibile unire due realtà così lontane, la forza poetica dei racconti popolari, esempi di letteratura "bassa" che non disdegna però di farsi colta (lo stesso Puskin rielaborò alcune fiabe) e il trionfo dello spettacolo puro. In questo caso, però, il risultato è un ibrido di qualità non eccelsa. La sensazione che si prova durante la visione del film è che le immagini non siano affatto fuse con il racconto cinematografico, ma siano solo il completamento visivo delle parole lette dalla voce narrante.
E dire che non ci troviamo di fronte ad un prodotto totalmente scadente (basta guardare gli effetti speciali curati quanto basta); tuttavia l'impostazione teatrale dell'opera rende davvero difficile la fruizione. I toni enfatici attraverso cui tutti i personaggi si esprimono (con effetto sonoro corrispondente ad ogni minimo movimento del volto) possono risultare fastidiosi, ma nell'ottica di una rappresentazione grottesca della realtà non sono neanche la cosa peggiore del film. Il problema è l'ingenuità da saggio di fine anno che traspare da molte sequenze (ad un certo punto si vede chiaramente la controfigura dell'eroe durante una cavalcata). Il difetto maggiore, in ogni caso, è non aver regalato alla storia quella complessità e quella ricchezza di significati propri di ogni favola russa che si rispetti. Ogni tanto compaiono i personaggi chiave della cultura popolare orientale, come la strega Baba Jaga (Liya Akhedzhakova) o Kočej l'Immortale (Yurij Kutsenko), ma il contributo di ciascuno allo sviluppo della trama è minimo, o meglio, non valorizzato abbastanza. Il racconto così è di semplice lettura e senza eccessivi approfondimenti nell'evoluzione del personaggio principale, interpretato da Maksim Loktionov. E l'occasione viene sprecata anche nella descrizione della vicenda della cattiva di turno, la Contessa di pietra (Irina Apeksimova), una sorta di Grimilde che parla a cadenza settimanale con un ironico specchio, la cui conversione al bene viene liquidata in pochi minuti, senza che il pubblico abbia mai avuto la possibilità di intuire l'eventuale dilemma che albergava nel suo freddo cuore. L'opera di Sokolovsky non è lontanamente paragonabile né ai classici del genere, né a tutta quella folta schiera di sottoprodotti fantasy che almeno non avevano l'ambizione di essere capolavori. Se a questo uniamo anche i problemi legati ad un periodo già fiacco dal punto di vista delle uscite, è facile prevedere un futuro non proprio roseo per Il maestro e la pietra magica.

Movieplayer.it

2.0/5