Butterfly, la recensione: Irma Testa, caduta e riscatto

La recensione di Butterfly, il documentario sulla prima boxeur italiana ad aver conquistato nel 2016 una classificazione alle Olimpiadi.

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Butterfly: Irma Testa in una scena del film

Dentro ha sempre avuto la necessità di emergere e abbattere qualsiasi tipo di stereotipo. Lo sport le ha dato la possibilità di cambiare vita, l'ha salvata ma l'ha anche ferita, strattonata e costretta alla rinuncia: quattro anni di ritiro ad Assisi lontano dalla famiglia e dagli amici, ore e ore di allenamento dentro a un ring, a dondolare sulle corde quando la fatica ti mette all'angolo o a inseguire l'istante perfetto per sferrare il montante da ko. Lei è Irma Testa, la prima pugile donna italiana a qualificarsi alle Olimpiadi nel 2016; del suo viaggio da bozzolo a farfalla vi racconteremo in questa recensione di Butterfly, il documentario di Casey Kauffman e Alessandro Cassigoli di cui la giovane atleta è protagonista.

Presentato ad Alice nella città, durante la scorsa edizione della Festa del Cinema di Roma, il docufilm in sala dal 4 aprile si preannuncia come un piccolo caso a partire dall'originalità delle sue scelte narrative: il racconto della classica parabola sportiva che finisce per intrecciarsi inevitabilmente con il cammino esistenziale del personaggio, sfugge alle tradizioni del genere e per la prima volta si sofferma sullo spaesamento della sconfitta. Non solo storia di riscatto, ma ritratto adolescenziale e ricomposizione del dolore in bilico tra finzione, immagini di repertorio e vita reale.

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Una trama classica: storia di un riscatto

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Butterfly: una scena del film

Per i due registi "Irma era come una farfalla che svolazza alla ricerca della propria dimensione". E a guidarli è stata sempre la realtà: "Ci piaceva l'idea di poter seguire un atleta dopo un evento così grande come le Olimpiadi. Non sapevamo dove saremmo andati a finire, ma dopo l'episodio della sconfitta ci siamo adeguati: era sempre la realtà a dirigerci in un senso o nell'altro - spiega Casey Kauffman - Il primo anno è stato di osservazione e pedinamento nel senso più classico, poi è arrivata la fase di scrittura per escludere e capire su cosa ci si volesse focalizzare".
La trama di Butterfly segue il tradizionale cammino dell'atleta visto in tanti film sulla boxe, un atleta che deve confrontarsi con rinunce, ritiri e sacrifici prima di poter assaporare il piacere del riscatto finale.

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Butterfly: Irma Testi in un incontro

All'epoca Irma aveva appena 18 anni, ma era già una campionessa di boxe: il mito della ragazza di Torre Annunziata, che dalla palestra di paese finisce per assestare colpi sui ring delle Olimpiadi di Rio, conquista i media. È la storia perfetta: dal ghetto alle luci della ribalta. Arrivano le ospitate in tv, le prime pagine dei giornali, un libro sulla sua vita. Ma con l'assalto mediatico sopraggiungono anche i primi dubbi: vale davvero la pena rinunciare ai desideri di adolescente per raggiungere gli obiettivi per cui ha lavorato così duramente? E se non dovesse vincere?
Le aspettative sono altissime, ma da quelle Olimpiadi Irma tornerà senza una medaglia. La delusione è grande, le certezze crollano e Irma non sa più nemmeno se la boxe faccia davvero per lei. Accanto le rimarranno il suo primo allenatore, Lucio, 78 anni, unica sua vera figura paterna, maestro di vita prima che sul ring, e i registi di questo documentario che per lei assumerà un valore quasi salvifico.

Cadere e rialzarsi: la metafora del ring

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Butterfly: Irma Testa in una scena del documentario

Butterfly commuove e scaraventa il pubblico dentro la fragilità, le insicurezze e il dramma interiore della protagonista, è la metafora di quanto a volte sia necessario perdersi, cedere e abbandonarsi agli angoli di un ring sfiancati dalla sofferenza, solo per imparare a rialzarsi.
In un immaginario dominato dalla figura del vincente a tutti i costi, Butterfly adotta il tempo della riflessione su se stessi dopo essere andati a tappeto. È in quel momento che Irma accetta di mettere in discussione tutto, persino la boxe, e decide di tornare a Torre Annunziata dalla sua famiglia: una madre che ha dovuto farle anche da padre e un fratello appena tredicenne, che vuole ritirarsi da scuola per lavorare in una pescheria.

"Mi sono tuffata nel loro dolore per superare il mio. La pressione dei media mi aveva destabilizzato - spiega Irma - Non mi aspettavo quel boom, era tutto molto pesante, ci speravo e ci credevo, ma è andata male; il mio errore, dovuto forse alla giovanissima età, è stato credere di essere invincibile, forse avrei potuto fare qualcosa di più. Quello che non mi è pesato invece è stata la presenza dei due registi: mi ha aiutato sin dal momento in cui ho capito che sarebbero rimasti con me anche dopo la sconfitta".

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Un racconto che sfida le regole classiche del documentario

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Butterfly: un primo piano di Irma Testa

Cassigoli e Casey Kauffman fanno della discrezione la loro cifra stilistica: se in un primo momento avevano seguito Irma, quasi pedinandola, adesso nel tempo del ko fanno un passo indietro. Il documentario diventa quindi narrazione, racconto scritto e il dolore viene confessato, rivelato, urlato. I toni si fanno più intimi e malinconici, mentre la dimensione psicologica prende il sopravvento. Ad essere raccontato è il suo rapporto con la famiglia, con le proprie origini, con il rammarico di un'adolescenza rubata, con il maestro che ne ha seguito i primi passi, le vittorie e le sconfitte, l'uomo che stoicamente continua a fare della boxe uno spazio di resilienza in un territorio controverso.
Oggi la ragazza che non voleva fare la ballerina ma tirare al sacco, dice di aver trovato la sua strada e la prossima tappa sarà Tokyo 2021 perché nonostante i dubbi "tutto mi riporta sempre sul ring, in quello spazio ristretto che mi toglie il fiato ma che è ancora la mia felicità".

Conclusioni

Non possiamo chiudere la recensione di Butterfly senza ribadire la straordinaria portata innovativa di un racconto che per ottanta minuti impone una precisa cifra stilistica, in bilico tra reale e finzione. Casey Kauffman e Alessandro Cassigoli non lasciano nulla al caso, la loro bussola è la realtà ma filtrata attraverso un minuzioso lavoro di scrittura. La parabola sportiva di Irma Testa è destinata a rimanere iconica e questo documentario ne è la cronaca più intima e vera: non solo storia di riscatto, ma ritratto adolescenziale e ricomposizione del dolore dopo la sconfitta.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.6/5

Perché ci piace

  • Un documentario sportivo che sfugge alle tradizioni del genere e per la prima volta si sofferma sullo spaesamento della sconfitta.
  • Non solo storia di riscatto, ma ritratto adolescenziale e ricomposizione del dolore.

Cosa non va

  • Non aspettatevi un documentario sulla vita di Irma Testa secondo le regole classiche del genere.