Recensione Team America (2004)

Un film che non risparmia niente e nessuno, che non fa prigionieri, distruttivo al limite del nichilismo. E (per e nonostante questo) un film divertentissimo.

Burattini e burattinai

Team America è un film irriverente, maleducato, caustico, sboccato. È un film si fa beffe dell'ansia del politically correct, un film che non risparmia niente e nessuno, che non fa prigionieri, distruttivo al limite del nichilismo. E (per e nonostante questo) Team America è un film divertentissimo. Attraverso la storia di questa squadra d'élite che dovrebbe fungere da polizia mondiale e della sua lotta contro il terrorismo internazionale vengono messe alla berlina la politica internazionale delle amministrazioni Bush e lo spirito da cowboy e supereroico di una certa fetta della popolazione statunitense, la cieca follia del terrorismo e il ruolo nel mondo degli "stati-canaglia", i luoghi comuni e gli stereotipi del cinema patriottico à-la-Bruckheimer e lo sbandierato democratismo di gran parte dello star system hollywoodiano. Il tutto facendo spesso e volentieri nomi e cognomi.

Dagli stessi autori di South Park non ci poteva aspettare nulla di diverso e Parker e Stone non hanno di certo deluso le aspettative dei loro fan, arrivando persino a calcare la mano più di quanto abbiamo precedentemente fatto e a negare quasi in toto quel barlume di tenerezza (e quindi di speranza e positività) che era comunque presente nelle avventure televisive di Kyle, Stan, Cartman e Kenny.
Da questo punto di vista sono molte le sequenze esilaranti e memorabili, dal catastrofico intervento iniziale che distrugge mezza Parigi alla scena di sesso spinto di due dei protagonisti, da quella che ritrae un'interminabile, epica vomitata a tutte quelle che vedono protagonista il leader coreano Kim Jong Il.

Ma se la lettura più immediata del testo si "limita" a quanto abbiamo appena descritto, esistono in Team America livelli narrativi e tematici più nascosti, meno evidenti, ma che stimolano riflessioni di grande rilievo ed importanza; riflessioni che nascono quasi tutte dalla scelta attuata da Parker e Stone nell'affidare tutto il loro film a delle marionette. Oltre alla sua dissacrante satira, il film pone infatti gli spettatori di fronte a due grandi questioni, tra loro intrinsecamente legate dal punto di vista tematico. La prima , quella che definiremmo intermedia per il suo porsi a metà tra la superficie del film e i suoi aspetti più "profondo" riguarda il mondo di certo cinema hollywoodiano, descritto come produzione di spettacoli banali e stereotipati, cassa di risonanza dei lati più reazionari della società americana, ma soprattutto animato di attori che altro non sono che marionette, sia a livelli fisico (si veda la scelta di base del film, popolato appunto solo da pupazzi) che psicologico (si vedano invece gli "attori" presenti nel film, ingenui idealisti in realtà manovrati dal cattivo di turno).
E da qui è facile arrivare al terzo e ultimo livello di lettura del film che vogliamo proporre, quello relativo appunto all'eterodirezione: tutto il film - sia per quanto riguarda la trama che la sua forma - non fa altro che metterci di fronte a delle domande che risultano inquietantemente senza risposta: siamo tutti, senza esclusione, marionette nelle mani di qualcuno ma chi è che muove i fili? Qual è il livello superiore, e come possiamo alzare gli occhi verso di esso?
Al rimando continuo tra burattini e burattinai non sembra esserci mai fine, come testimonia un'eloquentissima scena che apre il film, dove vediamo un pupazzo che crediamo essere uno dei protagonisti del film e che si rivela essere un "vero" burattino nelle mani di... un altro.

In chiusura vorremmo ritornare rapidamente "in superficie" e invitare chi vede il film a fare grande attenzione alle canzoni originali che compongono la colonna sonora del film: hanno dei testi assolutamente in linea con lo stile del film e dei suoi realizzatori.