Era l'Italia che scopriva la propria giovinezza, il tempo libero, la città, la fabbrica e il ritmo scanzonato e liberatorio del boogie woogie. L'Italia dai volti scavati, quella della Gioventù perduta di Pietro Germi o dei ragazzi Poveri ma belli di Dino Risi, era il paese che stava imparando a vivere dopo i flagelli della guerra e della dittatura, che assaporava il fascino del cinematografo e iniziava ad appassionarsi ai primi film di avventura che arrivavano dall'America. È un vero e proprio "viaggio sentimentale" negli anni '50 quello messo in scena da Steve Della Casa e Chiara Ronchini in Bulli e Pupe, storia sentimentale degli anni'50, così come dichiarato sin dal sottotitolo del film, frutto di quasi un anno di ricerca, selezione e minuzioso assemblamento di immagini di archivio (con la collaborazione di Titanus, Centro Sperimentale di Cinematografia e Istituto Luce) e interviste radiofoniche. Secondo capitolo di una ideale trilogia iniziata con Nessuno ci può giudicare, e che potrebbe proseguire, chissà, con un terzo episodio dedicato agli anni '70, il film ci restituisce il racconto inedito dell'Italia di quegli anni attraverso spezzoni di film simbolo contrappuntati dalle analisi degli intellettuali dell'epoca da Parise a Bianciardi, Ortese, Flaiano, Pasolini, Calvino.
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Il lavoro sull'archivio
"Abbiamo ascoltato trasmissioni radiofoniche dell'epoca e visionato una quantità spropositata di materiale d'archivio, perlopiù inedito o poco noto, prima di riuscire a condensare tutto nei settantacinque minuti del documentario finale" - ci racconta l'autore, insieme a Chiara Ronchini, Steve Della Casa al 36esimo Torino Film Festival 2018 dove il documentario è stato presentato fuori concorso nella sezione Festa Mobile. "Abbiamo scelto di non usare voci fuori campo, né di inserire commenti ulteriori perché credevamo fermamente che le immagini d'archivio, le pagine degli intellettuali e i documenti radiofonici bastassero e avanzassero".
Bulli e pupe si sviluppa definendo un suo ritmo preciso tra balli, canzoni e scene di cinema diventate iconiche : "L'idea era che le immagini fossero un contrappunto sensato agli interventi degli intellettuali, a volte sono arrivate prima del testo e a volte dopo. Ogni intervento ha avuto una sua storia".
Un lavoro certosino che smonta la visione classica dell'Italia del dopoguerra e la rilegge combinando mezzi differenti: "L'idea di usare diversi media, come la radio, le inchieste sociologiche rilette e riraccontate" - spiega la Ronchini, autrice e montatrice del documentario - "viene dall'urgenza di ricostruire un linguaggio più complesso e inesistente negli archivi di quel tempo, che privilegiava una visione molto codificata e istituzionale. Siamo partiti dalla rottura di quell'immagine in modo da porre nuove domande, senza dare però delle risposte. L'obiettivo era ridare all'archivio un senso molto legato al contemporaneo".
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Una nuova categoria sociale: gli anni '50 scoprono i giovani
Non c'è in Bulli e pupe, storia sentimentale degli anni '50 la rappresentazione stereotipata a cui la narrazione documentaristica più istituzionale ci aveva abituato: America contro Russia, Gagarin contro la Nasa, democristiani contro comunisti. Non un saggio politico o sociologico, ma un ritratto calato nella quotidianità dei tempi: "La situazione era molto più complessa" - ci racconta Steve Della Casa - "c'era un conflitto generazionale, un entusiasmo, delle speranze e dei modi di vivere nuovi. C'era un paese in ginocchio che aveva una voglia bestiale di risalire e lo ha fatto attraverso i giovani; da lì è venuto fuori il boom economico".
La gioventù descritta nel documentario è timida e ingessata, eppure con dentro il germe della ribellione in un momento in cui si faceva strada una nuova categoria sociale a cui nessuno si era interessato prima: "Abbiamo usato le interviste di una trasmissione realizzata per presentare la prima inchiesta sociologica sui giovani, 'Gioventù di metà secolo'" - ci rivela la montatrice. "Era una gioventù seria e appesantita dal passato, da strutture familiari molto forti che necessitavano di un cambiamento, per il quale però non c'era ancora abbastanza forza. Il materiale dei film di Risi costituisce in questo senso un vero punto di rottura".
Il pensiero va ai ragazzi di oggi, a quale potrebbe essere la loro reazione alla visione del documentario: "Nel 1967 mio padre mi dava del qualunquista, che vedeva solo film. All'epoca ci accusavano di non capire chi aveva fatto la resistenza, l'idea che i giovani siano una massa informe che se ne strafrega di tutto è storicamente ricorrente. Vedendo Bulli e pupe forse capirebbero che fare un po' di casino potrebbe essere salutare per il paese". "Mentre montavamo abbiamo usato come appoggio le voci di alcuni miei nipoti tra i sedici e i diciotto anni. Sono rimasti stupiti dal linguaggio di quei ragazzi, dal loro modo di parlare ed esprimere concetti profondi in un italiano complesso, che ormai è andato perso", aggiunge Chiara Ronchini.
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Le donne, gli operai e le fabbriche
Altri grandi protagoniste di questo racconto con infiniti riflessi sul contemporaneo, sono le donne e raccontarle non è stato facile: "Il materiale d'archivio rispecchia il sessismo della nostra società, le immagini di ragazze sono pochissime e anche quando si parla di donne lo si fa al maschile", continua l'autrice: "Ricostruire un racconto del femminile in quegli anni è stato difficile per la scarsità di materiale a disposizione, non c'è traccia di alcun tipo di riflessione di questo genere e anche quando se ne parlava la voce delle donne non c'era mai, era assente".
Pochissimo anche il materiale sull'interno delle fabbrica: "La fabbrica spaventava, Ottieri spiega ad esempio, in un intervento che abbiamo dovuto tagliare, che chi era dentro non la raccontava e chi era fuori non sapeva ancora come avvicinarsi. Bisognerà aspettare gli anni '60 per poter trovare un po' più di testimonianze audiovisive su quel mondo lì".