Brigitte Bardot Forever, recensione: lo sguardo di Lech Majewski per un film che esalta il pop

La recensione di Brigitte Bardot Forever: nella Polonia di Władysław Gomulka, tra controllo politico e culturale, una storia colorata e divertita, in cui l'immaginazione diventa trampolino di crescita e libertà.

Brigitte Bardot Forever, recensione: lo sguardo di Lech Majewski per un film che esalta il pop

Vedendo Brigitte Bardot Forever di Lech Majewski sale forte la sensazione che il film sia una sorta di riflesso condizionato in risposta ad ogni negazione della libertà. Lo si capisce dal tono, dai colori, dall'arguzia mista all'intemperanza. Un moto cinematografico che si distacca di netto dalla sua filmografia - non troppo nutrita, ma di forte interesse autoriale - modellandosi attorno agli stilemi del coming-of-age, nonché legandosi ad un tributo verso alla cultura popolare (e Occidentale) con cui lo stesso Majewski è idealmente cresciuto (ha studiato a Varsavia, ma negli Anni Ottanta emigrò negli USA). Un ibrido, dove le sfumature fiabesche altro non sono che un'altra visione verso la realtà delle cose. Una sorta di respiro allungato, o meglio ciò che immaginiamo (e che immaginava il regista?) prima di andare a dormire.

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Joanna Opozda versione Bardot!

Brigitte Bardot Forever, saturo e inaspettatamente denso (due ore, non troppo pesanti, ma chiaramente eccessive), è allora cinema mitteleuropeo post-sovietico che strizza l'occhio al calore dei miti e delle leggende. Del resto, a rilegare la storia, sono proprio i colori, e poi la musica, i volti da poster che, per magia, si tramutano in qualcosa di tangibile e, all'occhio delle restrizioni sociali e culturali, altamente sovversive. Sì, per certi versi, il film di Lech Majewski, arrivato in Italia ben quattro anni dopo la sua produzione (datata 2021), è una fiaba sovversiva che racconta la crescita da un punto di vista diverso, per mezzo di un viaggio tanto intimo quanto marcatamente politico.

Brigitte Bardot Forever, la trama: un romanzo di formazione nella Polonia socialista

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Joanna Opozda e il giovane Kacper Olszewski

In fondo, i film di Lech Majewski, che ha contribuito a far risaltare la cinematografia polacca, sono sempre pervasi da una spinta politica. E non è da meno Brigitte Bardot Forever, che ci porta in una Polonia di metà Novecento (proprio quando è nato Majewski), stretta sotto il controllo del governo Gomulka, tra censura e ossessioni socialiste, dove incontriamo Adam (Kacper Olszewski), adolescente, che vive insieme a sua madre (Magdalena Rózczka), sperando che prima o poi torni suo padre, aviatore disperso durante la Seconda Guerra Mondiale. Adam ha un'intelligenza fervida e spiccata (acuita dall'esacerbante controllo statale verso ogni moda Occidentale), e quando la polizia politica fa visita a sua madre, si rifugia nel cinema. Ammaliato da Il disprezzo di Godard, scopre la magnificenza di Brigitte Bardot che, per magia, si palesa davanti a lui in carne ed ossa (Joanna Opozda, ad interpretarla). Non solo, in un fantomatico albergo che risiede nella fantasia di Adam, ecco arrivare anche Marlon Brando, Cézanne, Liz Taylor, Marlon Brando e, addirittura, i Beatles, versione Yellow Submarine. Insieme a loro, Adam si metterà idealmente alla ricerca del suo papà scomparso.

Il pop come libertà di pensiero

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Sì, ci sono anche i Beatles!

Per questo, Brigitte Bardot Forever è una sorta di viaggio del fantastico, ma comunque ancorato ad un formato attinente al percorso emotivo del protagonista. Un romanzo di formazione nella Polonia socialista, in cui la liberazione - e se vogliamo l'accettazione - passa attraverso i miti del cinema, della musica, della letteratura, dell'arte. Lech Majewski è dunque bravo a dar colore al film, mollando il grigiore di una certa narrativa e legandosi in modo efficace alla fantasia come motore di una storia scapigliata e dai tratti ribelli. Una lettera d'amore, si potrebbe dire, ai miti e alle icone, che hanno dato filo da torcere all'egemonia di un potere politico ombelicale e reazionario.

Il percorso di Adam, alla ricerca utopica di suo padre, è allora un percorso di scoperta del mondo circostante (non a caso il papà era aviatore), in qualche modo ribelle rispetto alle imposizioni e alle leggi di uno Stato incapace di aspirare alle bellezza e, appunto, alla libertà. Anche per questo la figura di Adam, prima bambino e poi ragazzo, è sovrapponibile a quella dello stesso regista: cresciuti allo stesso modo, la proiezione cinematografica (e cinefila) di Majewski si rivela nel film una sorta di tripudio pop che, tra umorismo e brillantezza, finisce per sovvertire gli schemi di una visione socio-politica anti-libera che, tutt'ora, continua ad arrecare irrimediabili danni. Ecco, Brigitte Bardot Forever, prendendosi i suoi tempi, e sfocando la finzione dalla verità, tempera nel modo giusto la più efficace delle armi: l'immaginazione. Senza di essa, saremmo definitivamente persi.

Conclusioni

La poetica di Lech Majewski ci porta nella Polonia socialista attraverso un film che diventa un'ode al cinema e alla cultura pop, seguendo la crescita (e le speranze) di un ragazzo alla ricerca di suo padre. Colori saturi ed emotività, per un inaspettato tributo agli idoli che hanno strutturato l'immaginario collettivo, libero e progressista.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • La sguardo cinematografico di Majewski.
  • L'approccio pop.
  • La fotografia calda.
  • Il senso sovversivo.

Cosa non va

  • La durata, eccessiva.
  • I toni fiabeschi ci mettono un po' a radicarsi.