Brian e Charles, la recensione: Un robot ci salverà

La recensione di Brian e Charles, il film di Jim Archer sulla storia di amicizia tra l'eccentrico inventore Brian, e un robot, Charles, costruito per combattere la solitudine.

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Brian e Charles: una scena del film

Riappropriarsi della meraviglia, assaporare l'incanto della scoperta del mondo fuori, ricordare all'umanità il sentimento perduto della tenerezza, il senso dell'amicizia e del lasciare andare. C'è tutto questo nella stramba piccola storia diretta da Jim Archer (come leggerete nella recensione di Brian e Charles in sala dal 31 agosto), ma anche molto altro: solitudine, accettazione dell'altro, viaggio di formazione. Il registro scelto dal regista e dagli sceneggiatori David Earl e Chris Hayward è quello di una commedia bizzarra che non ha paura di cavalcare quando necessario note più dolenti e malinconiche. Lo sguardo di chi racconta ha il candore dell'innocenza, l'eleganza della semplicità e l'anarchica genialità del comico.

Il mockumentary

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Brian e Charles: un momento del film

Un film stratificato che restituisce allo spettatore il ruolo che gli spetta, solleticandone la fantasia e la capacità interpretativa: Brian e Charles si consegna al pubblico sin dall'inizio, a lui il protagonista Brian si rivolgerà a più riprese nei suoi strampalati monologhi. Alla base c'è il corto del 2017 realizzato da David Earl e Chris Hayward, ma molto prima c'era il personaggio che l'interprete di After Life aveva creato e interpretato per anni nei circuiti britannici di stand up comedy portandolo persino in un programma radiofonico per il web. Sviluppato come un mockumentary racconta la vita di un inventore stralunato e solitario, Brian (David Earl), un Geppetto contemporaneo, venuto a patti con il mondo esterno grazie alla sua ossessione di "fabbricare oggetti". Brian non ha paura della solitudine, in quel malconcio e fatiscente "ripostiglio delle invenzioni" ci vive bene: è il suo modo, per quanto eccentrico e folle, di interpretare la realtà aggirandosi tra i rottami in mezzo a cinte da uova, borse di vimini, orologi a cucù volanti, manichini, reti a strascico per scarpe, vecchi arnesi e scopettoni rotanti. Si trascina dietro un lavoro da aggiustatutto per sbarcare il lunario, una vita "andata più o meno all'aria" e una vaga infatuazione per la giovane vicina Hazel, creatura altrettanto solitaria e impacciata con il mondo.

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Brian e Charles: un'immagine del film

Poi un giorno, rovistando tra i materiali di risulta che usa per costruire cose, decide di realizzare un robot, un po' per compagnia un po' perché lo aiuti nelle più banali faccende domestiche. Charles Petrescu (a cui dà corpo e voce lo sceneggiatore Hayward) nasce così: un androide ciondolante, alto due metri e con l'aspetto di un anziano malfermo, la sua pancia è una vecchia lavatrice, la testa è quella di un manichino recuperato dall'immondizia, il corpo è una scatola rivestita da abiti oversize. È solo una delle sue ennesime invenzioni, fino a quando una sera tempestosa Charles non comincia a funzionare, non solo: è anche in grado di camminare e parlare. Per Brian è il giusto antidoto alla solitudine, i due si studiano, imparano a conoscersi, diventano amici; Charles è curioso come un bambino, vuole imparare, conoscere, è ossessionato dal desiderio di esplorare il mondo ("Fin dove arriva il fuori?"), Brian sente al contrario il bisogno di proteggerlo al punto da impedirgli di andare aldilà del giardino di casa perché "non tutto è così bello", fuori c'è solo "un grande mondo pericoloso". A preoccuparlo sono i Tommington, la rude famiglia di vicini che vorrebbe rubare Charles e farne un falò.

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Amicizia, solitudine e amore per il diverso

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Brian e Charles: una sequenza del film

Novanta minuti di commedia che attraverso il tipico humour britannico offrono allo spettatore molteplici interpretazioni: le relazioni umane, il rapporto con se stessi, la diversità come arricchimento e risorsa, le conflittualità tipiche del diventare adulti, l'amore per l'apprendimento, l'incantevole incoscienza delle prime volte, ma anche l'eterno dualismo macchina-uomo che il cinema fantascientifico ha già ampiamente affrontato altrove. Qui il compito di raccontarcelo spetta all'arte del comico, che spesso cede il passo al grottesco regalando al pubblico un film sincero, misurato e divertente nonostante si sacrifichi in parte lo humour più estremo della stand up comedy. Rimane sullo sfondo la provincia rurale inglese, la stessa che nel 2016 votò per la Brexit e che nel film di Jim Archer non ha la benché minima intenzione di familiarizzare con il diverso, con quella strana e infinitamente umana entità che non vuole fare altro che andarsene in giro per il mondo ad assaporarne colori e sapori. Destinazione Honolulu.

Conclusioni

Concludiamo la recensione di Brian e Charles ribadendo quanto detto fino a ora. Jim Archer realizza un film di straordinaria grazia e levità, una commedia sulle relazioni umane, l’importanza dell’amicizia e l’eterno dualismo uomo-macchina. Un robot che prende vita, parla, cammina e cresce con la curiosità di un bambino diventa lo spunto per riflettere su alcuni concetti fondamentali dell’esistenza e si consegna alla capacità interpretativa del pubblico.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.6/5

Perché ci piace

  • Un divertente e bizzarro mockumentary sull’amicizia, la solitudine e l’accettazione delle diversità.
  • Un viaggio di formazione dolce amaro, un racconto sul diventare adulti.
  • Il film si apre a molteplici interpretazioni e chiama in causa lo spettatore sin dall’inizio.

Cosa non va

  • Una storia che abbiamo incontrato già altre volte e che potrebbe apparire non particolarmente originale.