La folla inferocita è muta. Dopo aver sparso sdegno, odio e insulti, il popolo tace. Il disprezzo ha lasciato spazio alla compassione. Succede sia sullo schermo che in platea: tante persone unite da un sacro silenzio. Il pubblico dell'esecuzione di William Wallace coincide col pubblico di Braveheart. Negli occhi della gente convivono rammarico, sorpresa e incredulità. Un uomo in punto di morte, torturato oltre ogni sopportazione, non si piega davanti ai soprusi del nemico.
Non osa pronunciare la parola "pietà" per rimanere fedele sino all'ultimo respiro ai suoi ideali. O, forse, dovremmo dire "al suo cuore impavido". Un cuore che ha ispirato persone, eserciti, una nazione intera. L'urlo trattenuto in gola dal prode William Wallace e poi rigurgitato al mondo con coraggio e disperazione echeggia ancora nei nostri timpani e nella storia del cinema. Scena cult di un film cult, in cui Mel Gibson ha riversato sudore e sangue per dare anima e corpo al leggendario mito del patriota scozzese. Arrivato nei cinema americani il 24 maggio 1995 (in Italia sarebbe uscito il 1 dicembre), Braveheart nel corso degli anni non ha fatto altro che radunare schiere di appassionati sempre più folte e nutrite. Come eserciti scozzesi sempre più numerosi, i fan dell'opera seconda di Mel Gibson ne hanno imparato a memora ogni frase, ne conservano ogni scorcio, ne hanno scolpito in mente ogni sguardo, che sia quello iniettato di furiosa vendetta di Wallace, quello innamorato di Murron o quello disgustato di un re inglese consapevole di aver perso la guerra.
Forte di 5 Premi Oscar (tra cui Miglior Film e Regia), Braveheart è stato l'ultimo, grande kolossal del cinema americano. Con la computer grafica ancora agli albori (usata con molta parsimonia), Gibson ha messo in scena un medioevo sporco, materico, vero nonostante le inevitabili inesattezze storiche di un racconto romanzato. Braveheart è ormai entrato nei cuori (impavidi o meno) delle persone. Perché tra discorsi motivazionali, ultimi sguardi tra innamorati che stanno per riabbracciarsi nell'aldilà e battaglie cruente, ogni volta che l'epico racconto di William Wallace prende forma su uno schermo (grande o piccolo che sia) è impossibile smettere di guardare. E così, un quarto di secolo dopo l'uscita di Braveheart, ecco cinque cose che ci scorrono ancora nelle vene.
Tutti muoiono, non tutti però vivono veramente.
1. Fazzoletti e spade, amore e odio
I grandi film diventano simbolici. E i film simbolici riescono a dare valore anche a semplici oggetti dentro cui si nascondono storie, vite, sentimenti. Da grande film qual è, Braveheart - cuore impavido non fa eccezione. Così Gibson, alla fine del valoroso viaggio di William Wallace, riesce a farci affezionare anche a una spada e a un fazzoletto. Emblemi perfetti della doppia natura di un film attraversato sia dall'amore che dall'odio. Quasi due totem capaci di incarnare il lato poetico e il lato violento di un film ricco di contrasti. Da una parte il ricordo puro di un amore incontaminato, nato tra le mani di due bambini innocenti. Dall'altra l'inevitabile arma insanguinata e logora che ha guidato la Scozia verso l'indipendenza dall'Inghilterra Nel grande cuore pulsante di Braveheart confluiscono sentimenti opposti. Nel suo calderone di emozioni convivono rancore e lealtà, amicizia e tradimento, bisogno di vendetta e fame d'amore.
Se Braveheart ci trascina ogni volta nella sua storia viscerale è anche grazie a questa grande capacità di toccare corde diverse eppure tutte perfettamente coerenti con la narrazione. La Storia diventa storia, i personaggi vengono trattati come persone con limiti, punti deboli e crepe. Il mito è la conseguenza di una guerra autentica, in cui ci si ammazza senza alcuna pietà, in cui si muore soffrendo ma combattendo per una causa. Giusta o sbagliata, poco importa. Non c'è dubbio che la grandezza di Braveheart risieda anche in questa sua natura altalenante. Dal candore di un amore puro alle teste mozzate. In mezzo batte forte il cuore contraddittorio del grande cinema.
2. Sulle note della Natura
Gli scozzesi duri e puri si saranno sentiti traditi, visto che il film è stato girato quasi completamente in Irlanda, ma è innegabile che l'ambientazione sia uno dei pregi più evidenti di Braveheart. Gibson riesce a cogliere appieno il fascino di un'epoca storica in cui la Natura dominava ancora la scena. Castelli e accampamenti erano inglobati dentro un paesaggio splendido e incontaminato, gli eserciti studiavano il terreno e la conformazione geografica del campo di battaglia, con la strategia militare vincolata per forza di cose all'ambiente circostante. Il Medioevo del film è crudele e fangoso, è vero, ma è evidente che Braveheart vada spesso alla ricerca della bellezza naturale più pura. Al limite del lirismo in diverse sequenze, Gibson abbraccia la verdeggiante Scozia per riempirci gli occhi e i polmoni con le sue vallate sconfinate e i suoi boschi rigogliosi. Spazi quasi sacri in cui celebrare un matrimonio prezioso, amarsi davvero o preparare imboscate assieme agli amici di sempre. Un legame con la terra che diventa vincolo affettivo. Una simbiosi agevolata dalla meravigliosa colonna sonora di un ispirato James Horner. Tra archi, violini e cornamuse, la soundtrack di Braveheart è evocativa come poche altre, celebrando una comunione di musica e immagini di rara e assoluta bellezza.
3. William Gibson
Puoi togliere Mel Gibson dalla Scozia, ma non potrai mai togliere William Wallace da Mel Gibson. Perché ci sono attori che prestano se stessi a molti film, e altri che si danno completamente, senza riserve o mezze misure. Un atto di pura devozione. È successo questo quando negli anni Novanta il regista statunitense viene folgorato dall'entusiasmo con cui lo sceneggiatore Randall Wallace gli racconta la storia del condottiero scozzese che osò opporsi alla tirannia di re Edorardo I d'Inghilterra. Nonostante non fosse inizialmente convinto di interpretare Wallace, perché troppo in là con gli anni, Gibson sposa il progetto con estrema convinzione e riversa nel suo personaggio tutto quello che ha. La vibrante passione di Mel Gibson per la storia e per il personaggio attraversa davvero ogni nervo e muscolo del suo Wallace. Merito di un'interpretazione davvero intensa, in cui l'attore dimostra un carisma e una sensibilità fuori dal comune. Impossibile dimenticare i suoi occhi pieni di furia poco prima di ammazzare un inglese o il suo sguardo perdutamente innamorato della sua donna angelicata Murron. E poi l'apice attoriale del film, quando Wallace scopre il tradimento di Robert Bruce e sul volto di uno sconsolato e deluso Gibson crolla un mondo intero.
4. Oltre Wallace
Sarebbe facile fermarsi a William Wallace. Sarebbe comodo accontentarsi di scolpire solo il mito di un uomo diventato un simbolo. Però Gibson non è d'accordo, e con Braveheart riesce a dipingere un affresco corale in cui anche i personaggi secondari lasciano il segno. Nel corso di questi venticinque anni abbiamo imparato a detestare la tirannia di re Edoardo I, a provare pena per suo figlio e a capire di che pasta è fatta la vera lealtà grazie all'Hamish di Brendan Gleeson. Braveheart trova il tempo per raccontarci anche due donne completamente diverse. Da una parte la semplicità disarmante di Murron, donna di umili origini, che trova il coraggio di andare contro il volere paterno (cosa non scontata del Medioevo) pur di seguire il suo cuore. Dall'altra abbiamo una donna in gabbia, la splendida principessa Isabella di Francia di Sophie Marceau, che ha la forza di svincolarsi da un destino infelice e di sbeffeggiare un tiranno in punto di morte. E poi, lui. Ovvero il personaggio secondario più bello del film. Quel Robert Bruce che incarna l'anima tragica di Braveheart. Un uomo combattuto, scisso tra l'ingombrante influenza paterna e la stima per la rivoluzionaria figura di Wallace. Bruce è un personaggio in cammino, che si rialza soltanto dopo essere caduto, dopo aver tradito ed essersi sporcato la coscienza con un peccato che è il primo a non perdonarsi. Un figura grigia, né buona, né cattiva, ma autentica nel suo dilemma shakespeariano. Un personaggio talmente affascinante da meritarsi un film tutto suo con il sequel Robert the Bruce, previsto per l'anno prossimo.
Possono toglierci anche la vita, ma non ci toglieranno mai la libertà!
5. Lezione di vita
Braveheart non vuole essere una lezione di storia, ma una lezione di vita. Questo sì. Se Gibson ha tradito l'accuratezza della ricostruzione romanzando la storia, lo ha fatto soprattutto per regalarci un'esperienza ispirante, emblematica ed epica. Quel "libertà" urlato alla fine di Braveheart ci fa venire ancora la pelle d'oca perché ha il sapore di un monito che non andrebbe mai dimenticato. Senza bisogno di essere guerrieri in lotta per l'indipendenza della propria nazione, l'esempio di Wallace ci sprona a spezzare le catene a cui tutti siamo legati: l'abitudine, l'accontentarsi, la paura di cambiare, di rischiare, di mettersi in discussione. Braveheart ci ha raccontato tante storie di coraggio, di leoni stanchi di vivere come pecore. Può essere una principessa che tradisce il suo re, può essere una donna che ha il coraggio di innamorarsi, può essere un esercito che sposa un ideale, può essere un uomo che non ha paura di guardare in faccia la morte pur di vivere una vita degna di essere chiamata tale.