Penultima giornata di anteprime per il 57esimo Festival di Berlino: anche oggi sono stati presentati tre film che concorrono per l'Orso d'Oro - il cinese Lost in Beijing, il ceco-slovacco I Served The King Of England e l'ultimo film di David Mackenzie, Hallam Foe. Domani sarà presentato l'ultimo film in concorso, ovvero Angel di François Ozon, e in serata, nel corso di una cerimonia che si terrà al Berlinale Palast, saranno premiati i film, i registi e gli attori scelti dalla giuria, che quest'anno è presieduta da Paul Schrader.
Lost in Beijing è diretto dal regista cinese Li Yu è ambientato nella metropoli cinese, che sta vivendo un vero e proprio boom economico. Questo porta molti dalla periferia a trasferirsi in città per cercare un lavoro meglio remunerato, compresa la coppia protagonista del film, Liu Ping Guo e An Kun: lei trova lavoro come massaggiatrice, lui come lavavetri nello stesso edificio. Un giorno, dopo aver alzato il gomito ad una festa tra colleghi, Ping Guo viene violentata dal suo capo sotto gli occhi di An Kun, che passato il primo momento di rabbia decide di ricattare l'altro uomo. La situazione si complica quando la ragazza scopre di essere incinta.
Il film di Li Yu si concentra molto sui personaggi, sia dal punto di vista tematico che visivo, con l'uso eccessivo della camera a mano che segue i protagonisti. Restano di difficile comprensione alcune scelte dei personaggi, almeno per un pubblico occidentale, ma al film non mancano spunti interessanti.
I Served the King of England si è rivelato uno dei film più divertenti di quest'edizione: diretto dal regista ed attore ceco Jirí Menzel, racconta la storia di Jan Díte - interpretato da uno strepitoso Ivan Barnev - un giovane e ambizioso apprendista cameriere di Praga, che nella prima metà del secolo scorso inizia un'incredibile scalata professionale che lo porterà a diventare proprietario di un prestigioso hotel per milionari.
Un film spassoso, a tratti poetico, splendidamente interpretato, ed impreziosito da una vena di follia, che ha conquistato il pubblico di giornalisti presente alla proiezione. Oltre a Barnev, fa parte del cast del film anche Julia Jentsch, che tre anni fa vinse l'Orso d'Argento per la sua interpretazione de La rosa bianca - Sophie Scholl, e nel film di Menzel invece interpreta una fervente seguace del regime nazista, di cui il povero Jan si innamorerà, fino a portarla all'altare (dopo aver sostenuto uno scrupolosissimo esame per verificare se in lui vi fosse almeno un po' di sangue ariano).
Dopo la pessima accoglienza riservata al suo Asylum nel 2005, David McKenzie torna a Berlino con la storia di Hallam Foe, un ragazzo che dalla morte di sua madre, non fa altro che chiedersi se la donna si sia gettata in acqua di sua spontanea volontà, o se sia stata spinta da qualcuno. Hallam è convinto che ad assassinare sua mamma possa essere stata Verity, la sua matrigna, e inizia a spiarla con un binocolo. Pur con dei problemi di sceneggiatura che ne limitano la riuscita, il film di McKenzie, interpretato da Jamie Bell e Sophia Myles, risulta godibile e piacevole, anche grazie al lavoro degli attori sui rispettivi personaggi.
Nella sezione Panorama oggi sono state presentati anche il documentario Invisibles e l'ungherese Happy New Life. Invisibles è un film prodotto da Javier Bardem e diviso in episodi diretti da Isabel Coixet, Fernando León de Aranoa, Mariano Barroso, Javier Corcuera e Wim Wenders è stato realizzato nel ventennale dalla fondazione della sezione spagnola di Medici senza frontiere per dare voce a quanti vivono una situazione difficile o una situazione politica inaccettabile, e il resto del mondo non ne sa nulla. Nel suo episodio la Coixet parla delle vittime della malattia del sonno, detta anche della "morte rapida", che viene trasmessa da un insetto e che colpisce circa diciotto milioni di persone in America Latina, mentre Wenders lascia che siano le donne del Congo raccontino degli spaventosi stupri di massa avvenuti durante la guerra civile. Un documentario tutto sommato interessante che però risulta troppo costruito e quindi poco incisivo.
Happy New Life invece segna il debutto del regista ungherese Árpád Bogdán, ed è ambientato in una non specificata città dei giorni nostri, in cui il protagonista, cresciuto in un orfanotrofio, nutre il profondo desiderio di scoprire qualcosa sul suo passato e sui suoi genitori, che non ha mai conosciuto. Il film si muove tra inquadrature ricercate, sequenze originali ed eteree e movimenti di camera lenti e fluidi, che lo rendono interessante.