Bellaria 2011 chiude con la vittoria di This is my Land... Hebron

In serata, a seguito della cerimonia di premiazione, il festival ha commemorato il genio di Flaiano attraverso un intervento di Enrico Vaime, chiudendo con ironia e intelligenza una giornata densa di appuntamenti.

A nessuno interessa dei tuoi contenuti: questo il titolo del workshop che apre il sabato del festival di Bellaria, con l'obiettivo di approfondire le regole da seguire per una strategia di viral marketing vincente nell'era di Youtube e delle web tv. Altri due momenti collettivi, Il microfono del mondo e Il microfono e l'autore, animano invece la sezione dedicata al documentario radiofonico. Nel primo appuntamento, Annamaria Giordano ci ha portato in Messico, in Palestina e a Lampedusa per ascoltare voci che raccontano storie di vita e quotidianità lontane dagli onori della cronaca ufficiale. Marino Sinibaldi ha poi ospitato i contributi di autori di spicco, tra cui Ascanio Celestini, tesi ancora a percorrere i sentieri meno battuti del presente e della storia.

Per il concorso Italia Doc, in gara oggi L'ultima battaglia delle Alpi, di Roberto Cena e Fabio Canepa, racconto di una collaborazione inusuale, quella tra partigiani e repubblichini, resa possibile dal comune intento di difendere la Valle d'Aosta dall'invasione francese (messa in atto, peraltro, grazie a battaglioni quasi del tutto composti a loro volta da disertori italiani). Il film, fatto di alternanze tra i filmati d'epoca e le testimonianze dei protagonisti di quel concitato momento storico, è compositivamente molto classico, e trova nelle spiccate ed eterogenee personalità degli ex soldati il suo punto di maggior forza. Capire le ragioni di chi, su tre fronti contrapposti, combatteva per salvaguardare la stessa patria, è tanto più importante ora che la memoria di quei giorni e il rispetto per i valori che tutti, indistintamente, cercavano di difendere sono tenuti in così scarsa considerazione. Il gara è anche Almost Married, un'altra storia d'amore interculturale che vede protagonisti Fatma, originaria della Turchia, e Davide, e la titubanza di lei a informare il padre della propria decisione di non aderire alla tradizione del matrimonio combinato. Fatma Bucak, oltre ad essere una dei protagonisti, è anche al suo esordio registico, coadiuvata dal già esperto Sergio Fergnachino: questo fa di Almost Married un documentario fuori dagli schemi, più "costruito" di altri proprio perché è la stessa Fatma a decidere come e cosa raccontare di se stessa. Ma è proprio l'atipicità della narrazione, che ricorda lo stile di un diario segreto, a rendere tanto toccante la rappresentazione del rapporto, in bilico tra affetto e diffidenza, tra una figlia e un padre da cui ha paura di non essere accettata. Chiude il pomeriggio di Italia Doc This is my Land... Hebron, in cui Giulia Amati e Stephen Natanson, attraverso una regia di taglio cinematografico e un montaggio serratissimo, si sono fatti testimoni dei difficili rapporti di vicinato tra palestinesi e coloni ebrei, e di una guerra combattuta non solo a colpi di missili e guerriglieri, ma con connotati anche molto più domestici.
Il pomeriggio ha previsto anche altri due importanti appuntamenti: il cinquantenario di Banditi a Orgosolo è stato commemorato attraverso una proiezione del capolavoro di Vittorio De Seta, vincitore del premio per la Migliore Opera Prima al 26° Festival di Venezia, mentre Roberto Olla ha presentato Foibe, il primo documentario Rai girato in stereoscopia. Centrale nella messa in scena è il contributo dell'ultimo sopravvissuto alla tragedia delle foibe, che ha raccontato il dramma della tortura e il sentimento di terrore che dominava gli italiani d'Istria durante l'invasione dei seguaci di Tito. Il regista ha poi discusso con la platea le proprie scelte stilistiche, prima fra tutte quella relativa all'uso della stereoscopia: per Olla la preziosa eredità, in termini di memoria storica, che ci sta offrendo una generazione ormai quasi del tutto scomparsa merita di essere preservata con l'ausilio della più avanzata tecnologia disponibile.

La serata si è aperta con la cerimonia di premiazione, che ha tributato anche riconoscimenti fuori programma, a dimostrazione di come questa edizione del Bellaria Film Festival stia regalando soddisfazioni non soltanto al pubblico ma anche alle giurie. Nella categoria Radiodoc, rassegna dedicata al documentario radiofonico inaugurata quest'anno e che ha già incuriosito gli spettatori della manifestazione, il premio è andato a Il futuro visto da qui di Matteo Bellizzi, realizzato in collaborazione con i ragazzi dell'Istituto Penale Minorile di Torino. Nell'ambito di Crossmedia, spazio dedicato ai documentari dalla vocazione multimediale, la menzione speciale va alla Sarraz Pictures di Alessandro Borrelli, per il suo impegno ad innovare il panorama documentaristico italiano, mentre Welcome to Pine Point, di Paul Shoebridge e Michael Simons, dedicato al concetto contemporaneo di comunità, si aggiudica la vittoria. Il premio Casa Rossa, assegnato dagli studenti del DAMS di Bologna, va a Almost Married, mentre per la categoria principale, Italia Doc, ben due sono state le menzioni speciali: a My Marlboro City (in programma nell'ultima giornata del festival) e a L'altra rivoluzione, Gorkij e Lenin a Capri. Proclamato vincitore della kermesse, in ragione della potenza del messaggio e dell'originalità della messa in scena, è This is my Land... Hebron.

A chiudere la giornata è stato l'evento speciale dedicato a uno degli intellettuali italiani più amati: Ennio Flaiano. Il regista Giancarlo Rolandi ha presentato il documentario Flaiano: il meglio è passato, già salutato con entusiasmo dalla platea internazionale, realizzato con Steve della Casa e con la partecipazione di Elio Germano. A commentare la carriera eclettica e la personalità non facile dello scrittore, autore cinematografico e teatrale, giornalista è stato poi Enrico Vaime, che di Flaiano era amico e collaboratore. Criticando l'eccessiva enfasi posta sul suo contributo di aforista, Vaime ci ha descritto un Flaiano insaziabile, sempre in cerca di nuove esperienze e che proprio per questo non ha voluto perseguire una sola carriera, ma allo stesso tempo di una pigrizia fuori scala, capace di escogitare ogni sorta di espediente per svicolare dal lavoro. Il suo, però, era quello che lo scrittore ha definito un "perder tempo" utile, una volontà di lasciare spazio alla vita vera, che è poi quello di cui un artista si deve nutrire e con cui deve nutrire le proprie opere.