Tranquilli, non vi preoccupate. Va tutto bene. Non è un sogno, non è un incubo. È solo la fine del film. Sì, capiamo cosa state provando, perché noi, prima di voi, ci siamo già passati. Comprendiamo la miscela di emozioni che vi potrebbe aver lasciato addosso il viaggio di Beau. Quelle sensazione molto simili - appunto - ad un sogno. Quante volte, nel cuore della notte, ci siamo svegliati facendo a cazzotti con quell'incubo ricorrente? Provare a correre ma restare bloccati, fermi. Senza aria. Ci sforziamo, proviamo a muoverci, ma niente da fare. Inermi, sfiniti. Pochi secondi che sembrano un'eternità. Una sensazione terribile. Non troppo lontana dal finale architettato da Ari Aster per il suo incredibile Beau ha paura.
Consci del vostro smarrimento (e pure scapigliati, dopi tre ore), come vi abbiamo accennato nella nostra recensione, abbiamo pensato che fosse utile - per voi, e anche un po' per noi - tirare le fila del film, provando (è una roba complicata, lo ammettiamo) a semplificare il criptico film. Attenzione, però: questa non è la classica spiegazione del finale, bensì una lettura soggettiva che potremmo dare alla sceneggiatura di Ari Aster, definito da Scorsese "una delle più grandi novità del cinema". Una lettura che potrebbe essere giusta o errata (e dunque propensa allo spoiler!), ma che potrebbe anche coincidere con la vostra visione. Perché, mai come per Beau ha paura, vale la regola aurea di ogni linguaggio cinematografico: non vi sforzate immediatamente a capire cosa voglia dirci lo sventurato e timoroso Joaquin Phoenix aka Beau, bensì lasciatevi crogiolare dal momento. Solo dopo, quando si prende la giusta distanza, Beau ha paura acquisisce un senso personale che risponde alle personali esigenze, mostrandosi in modo chiaro per quello che dovrebbe essere.
Il film in un vagito
L'abbiamo detto: qualora non abbiate ancora visto Beau ha paura, state alla larga da questa spiegazione. Lo spoiler può essere relativo (insomma, al cinema non c'è solo la Marvel!), ma la nostra interpretazione del finale può aiutarvi meglio dopo, e non prima di averlo visto. Considerato poi che, per raccontarvelo al meglio, dovremmo citare sia l'inizio che la fine. Il motivo? Beau ha paura può essere considerato un film circolare. Vedendolo, comprendi ciò che sta accadendo, ma non c'è mai la certezza che tutto quello che viene mostrato sia insindacabile verità. Piano piano, montano i temi, gli indizi, seguiamo le tracce, ci soffermiamo sui dettagli e sullo sfondo che cambia come se fossimo a teatro.
Tuttavia, tra le incertezze, Beau is Afraid (titolo originale), che conclude la trilogia di Ari Aster iniziata con Hereditary e proseguita con Midsommar - Il villaggio dei dannati, non è un enigma da risolvere. Bisogna lasciarsi andare, abbandonarsi ad esso e al viaggio di un'eroe stanco e livido, che partendo da un anfratto degli Stati Uniti d'America (la concezione moderna degli USA, divisi e brutali) deve arrivare in tempo per il funerale di sua mamma. Ora, in mezzo a questo viaggio, accade di tutto. Di tutto. Ma se siete in preda alla smania di rintracciare una logicità (la logica, però, non è l'ingrediente principale al cinema) all'interno di della mente umana (auguri!), ragioniamo insieme a voi su cosa vorrebbe suggerire Ari Aster, e del motivo per il quale lo consideriamo un film circolare. Beau ha paura si apre e si chiude con un vagito.
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Cosa c'è prima della vita?
All'inizio, a mente fresca, lo si percepisce immediatamente: vediamo la soggettiva sfocata di Beau, appena uscito dal ventre materno. Sono attimi concitati, sembra abbia il respiro bloccato. Non piange. "Perché non piange?", ripete la mamma. "Cosa avete fatto a mio figlio?". Beau ha paura inizia, quindi, con la nascita del protagonista stesso. Lo ritroveremo poi adulto, impaurito e sperduto in un mondo selvaggio. Antieroe triste, abita in un appartamento circondato da criminali, teppisti e depravati. Da lì, inizierà il cammino tortuoso, stracolmo di suggestioni e personaggi. Eppure, nell'economia del film, i tasselli che inscena Ari Aster sono tanto relativi quanto funzionali al concetto messo in scena. Il regista, infatti, vorrebbe trovare una spiegazione alla domanda ancestrale per eccellenza: cosa c'è prima della vita. Cosa siamo, prima di venir concepiti. Possiamo pensare? Possiamo immaginare? Siamo liberi, oppure c'è un percorso già scritto che cambia in base alle nostre scelte?
Sì, lo sappiamo: vi sta venendo il mal di testa. Un pensiero talmente sconfinato che può far uscire di testa. Ecco, secondo la nostra spiegazione, che si riallaccia nel finale, Beau ha paura, con un pizzico di egocentrismo tipico dei grandi autori, prova a rispondere al massimo quesito. In parole povere: quello che accade a Beau... accade prima che lo stesso Beau venga alla luce. Anzi, prima che venga addirittura concepito. Ci stiamo spostando troppo in là? Presumibilmente, ma la materia filmica di Ari Aster è talmente malleabile che le spiegazioni sono soggettive, personali e ipotetiche. Per di più, se affronta un argomento come l'origine stessa della vita.
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Il finale. Spiegato?
E qui, saltando in avanti, arriviamo al dibattuto finale. Il passaggio più strano e bizzarro di tutti. Troviamo Beau a bordo di un motoscafo, dopo essere uscito dalla casa di sua madre che, scoprirà, ha inscenato la morte. La navigazione lo porta al centro di un'arena gremita. Sul palco al centro dello stadio, troviamo proprio la madre e il suo avvocato che, come se fosse un processo, legge i crimini di Beau, colpevole di aver maltrattato la donna. Gli spettatori seguono il processo, appassionati e voraci. Beau, sfinito, non può difendersi. Accetta silenziosamente il suo destino: colpevole.
In quel momento, con la macchina da presa che si allarga, il motoscafo salta in aria, e il povero Beau viene risucchiato sul fondo. Il pubblico sugli spalti esce. Lo spettacolo è finito (un'aggiunta sulla natura dello spettatore, che trae piacere dal dolore altrui). Ciononostante, è qui che (ri)inizia Beau ha paura: Ari Aster in quel momento ci fa risentire il gemito iniziale. Lo stesso gemito di quando è venuto al mondo. E se Beau non fosse morto, ma invece stesse nascendo in quel momento? Ecco la circolarità, ecco che il film si stabilizza in un finale criptico ma non impossibile. Il percorso di Beau altro non è che la proiezione mentale di qualcuno che esiste ancora prima di esistere, assistendo a ciò che potrebbe vivere o non vivere nel corso dell'esistenza. Forse.