Il tempo che passa non lascia polvere. Il tempo che passa ne rispolvera il mito. Nella memoria collettiva è saldo come un indiano che galoppa fiero verso l'orizzonte. E non è un caso se negli occhi della gente appaia una scintilla di approvazione appena ne pronunci il titolo: Balla coi lupi. L'appassionato esordio alla regia di Kevin Costner compie trent'anni, eppure il ricordo delle sue praterie sconfinate, di John Dunbar che cerca l'America e trova sé stesso e della sua conversione tra le braccia dei pellerossa dipinti con nuovi colori non conosce tramonto. Balla coi lupi splende ancora di luce propria, danza tra i grandi classici, gira attorno al suo fuoco sacro impossibile da spegnere, corre ancora libero nelle praterie che conducono verso l'Olimpo del cinema. Se è vero che il western è la mitologia degli Stati Uniti d'America, Balla coi lupi sull'Olimpo a stelle e strisce ci è salito e ci è rimasto nonostante la sua voglia di cambiare le cose. Perché il grande disegno epico di Costner avrebbe ridipinto i toni del western. Il film non celebrava il solito eroismo del cowboy contrapposto alla minaccia dei nativi, ma l'apertura verso l'altro, il nuovo, il diverso. Tutte cose possibili soltanto allontanandosi da tutto quello che il vecchio western americano aveva spesso celebrato: violenza, conflitto, prevaricazione. Balla coi lupi spoglia il genere dei suoi cliché ormai ammuffiti per vestirlo con abiti nuovi. La scelta di Costner premia e paga.
Lo confermano 7 premi Oscar (tra cui Miglior Film e Miglior Regia), il primato come western più premiato dall'Academy nella storia del cinema e il merito di aver ridato lustro a un genere disperso nella vecchia gloria. Senza dimenticare un incasso di oltre 400 milioni di dollari a fronte di un budget di 22. Balla coi lupi conferma che quando un film diventa un classico non potrà mai diventare vecchio, stantio, superato. Perché dentro di lui c'è qualcosa di talmente profondo da essersi radicato nell'immaginario collettivo come un grande albero inamovibile. In occasione dei trent'anno del film, arrivato nella sale americane il 21 novembre 1990, riscopriamo cosa ha reso Balla coi lupi un cult fuori dal branco.
Voglio vedere la frontiera. La frontiera? Sì, prima che scompaia.
Allargare gli orizzonti
Le cose migliori nascono dalle esigenze. E Balla coi lupi è nato così. Da un attore non ancora regista che voleva raccontare una storia a tutti costi. Una storia in cui all'inizio non credeva nessuno. Nessuno tranne due signori. Sarà per il sangue cherokee che scorre nelle sue vene, ma Kevin Costner fu folgorato dalla sceneggiatura scritta da Michael Blake. Uno script rifiutato da più studi, che sembrava destinato all'oblio. Costner diede a Blake un consiglio lungimirante: trasformare il copione in un romanzo per dare dignità letteraria al racconto. La strategia funziona: Costner compra i diritti del libro, la Orion Pictures decide di produrre la pellicola e l'epopea di Balla coi lupi comincia a compiersi. Il film viene ricordato ancora oggi per lo stesso merito che fece scalpore allora: aver raccontato la frontiera americana da una prospettiva insolita (più che inedita), rappresentando i nativi americani con un tatto, un'attenzione e una ricercatezza rari nel cinema americano. Il cambio di punto di vista non è certo un primato di Balla coi lupi, visto che in passato altri film western avevano adottato il punto di vista degli indiani (pensiamo a Il piccolo grande uomo e Soldato blu), ma nessuno lo aveva mai fatto con la portata popolare e l'appeal commerciale di Balla coi lupi. Un film che ha distrutto per sempre lo stereotipo dell'indiano malefico contrapposto al valoroso cowboy di turno. Costner ha avuto il grande merito di adagiarsi con grande semplicità sull'archetipo dell'incontro/scontro tra culture, e lo ha fatto attraverso una distinzione tra Bene e del Male visibile lampante e un approccio intimo alla conversione del protagonista.
La scelta di raccontare tutto attraverso il diario di Dunbar non sarà stata la più originale di sempre, ma si è rivelata fondamentale per avvertire sulla nostra pelle di spettatori ogni sensazione provata da un personaggio che stava imparando a guardare le cose con occhi nuovi. Quella corsa a cavallo a braccia aperte che apre Balla coi lupi è solo il preludio di un percorso liberatorio esistenziale, che avvicina al film a una riflessione antropologica scrupolosa. Non più uomo bianco contro pellerossa, ma uomo bianco e pellerossa, messi davanti allo specchio nei loro pregi e nei loro limiti (non dimentichiamo che il pregiudizio è mostrato anche nella comunità Sioux). Se gli orizzonti del western americano si sono arricchiti di nuove sfumature e hanno distrutto vecchie barriere il merito è anche di John Dunbar e Uccello Scalciante. Due calzini ci perdonerà.
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L'utopia del bene
Rivedere Balla coi lupi oggi ti mette alla prova come spettatore. Perché oggi siamo diventati tutti più smaliziati, prevenuti, con una sospensione dell'incredulità sempre più inibita da freni mentali (ed emotivi) di ogni tipo. E allora ecco che il revisionismo di Costner viene accusato di buonismo, retorica, persino furbizia. Per quanto Balla coi lupi sia amato dalle persone, un certo tipo di critica negli anni ha tentato di sminuirne il valore dipingendolo come poco sincero. Noi, invece, crediamo l'esatto opposto. Crediamo che Balla coi lupi abbia avuto il coraggio di essere sin troppo sincero nell'esaltare il candore con cui Dunbar guarda il mondo attorno a lui. La sua è una meraviglia figlia del dubbio, alimentata da interrogativi che spingono ad andare oltre il proprio recinto di convinzioni (lezione oggi più attuale che mai). Basta riascoltare le parole delle sue confessioni per accorgerci che quella di Costner non è furbizia ma ingenuità. Balla coi lupi è pura utopia del Bene, che esalta l'altruismo, la messa in discussione di se stessi e soprattutto la curiosità come senso dell'esistere.
Laddove il confederato americano vedeva minacce nello straniero, Dunbar e i Sioux aprono gli occhi, bocche e orecchie davanti a quello che non conoscono. Così imparano ad ascoltarsi pur non capendosi, ad abbracciare la vertigine dell'ignoto sacrificando le proprie presunte certezze. Dunbar brama le praterie incontaminate prima che scompaiano, distrutte dalla presunta civiltà che avanzava inesorabile), cerca il confronto per uscirne arricchito. Un personaggio che diventa eroico per meriti intellettuali, la cui grande impresa è semplicemente una predisposizione d'animo insolita per i suoi tempi. Senza bisogno di grandi battaglie e grandi gesta, il Balla coi lupi di Costner segna mito della frontiera grazie al suo cuore puro, che soffre davanti ad animali ammazzati per diletto e al sadismo di chi uccide per hobby. Forse Balla coi lupi non smette di sorprenderci proprio per questa sua visione utopistica così vicina ai nostri desideri e così lontana dalla nostra realtà.
L'epica del paesaggio
Il contenuto di Balla coi lupi è talmente ricco e denso di significati da distrarci dalla sua forma impeccabile. Nel suo esordio alla regia Costner stupisce tutti dimostrando una cura formale nella messa in scena da veterano consumato. Se la scena della caccia ai bufali è da antologia per ritmo e credibilità dell'azione (Costner qui non volle controfigure, e si fece anche male cadendo da cavallo), tutto il film celebra con estrema maestria la bellezza incontenibile della natura. Costner contempla e ammira una Natura allo stato brado, che colpisce i nostri occhi tra bellezze e orrori. Dalle praterie sconfinate alle carcasse in stato di decomposizione, dalle ossa e ai panorami illuminati dalla luce intensa del tramonto, dalle silhouette degli uomini che si stagliano dentro meravigliosi campi lunghi alla paura degli animali selvaggi.
In Balla coi lupi il paesaggio è l'unico vero protagonista esaltato con convinzione. Merito di una regia abile nel mostrare l'essere umano come minuscola parte di un tutto che lo domina in maniera abbagliante. La grandezza di Balla coi lupi è soprattutto visiva, capace di restituirci una sensazione di sublime inferiorità nei confronti di un paesaggio dominato solo e soltanto dall'imbattibile epica della Natura. Una forza imponente e meravigliosa che schiaccia tutto e tutti. Americani e indiani. Senza alcuna distinzione.