"Vedi cosa hai scatenato, non ho ancora finito il caffè!", scherza James Cameron, quando gli chiedono se Avatar: Fuoco e Cenere sia effettivamente il capitolo più emozionante di una saga lunga due decenni. Durante l'incontro stampa - decisamente ristretto, tutto il contrario del caffè che sorseggia tra una domanda e l'altra - il regista ha spaziato in lungo i temi del franchise, dalla biologia all'epica, dal mercato cinematografico all'intelligenza artificiale. Se Avatar, uscito nel 2009, è il film che ha incassato di più nella storia, il regista non ama l'idea che il successo sia dato per scontato. "Non ha ancora avuto successo, a mio avviso. Abbiamo venduto dei biglietti online, ma il pubblico non è ancora arrivato", dice subito.
Avatar: Fuoco e Cenere, incontro con James Cameron
Ma Fuoco e Cenere - in sala dal 17 dicembre - è, per sua stessa ammissione, il film più "complesso della saga". Dopo aver introdotto i personaggi nel primo film e le popolazioni marine nel secondo, Cameron porta ora il pubblico a incontrare il popolo delle Ceneri e a esplorare le cicatrici emotive lasciate dalla morte del figlio maggiore della famiglia Sully. "Volevo radicare questo universo fantastico in reazioni umane autentiche: trauma, perdita, dolore. Il cinema commerciale tende a sorvolare su queste cose". L'arco di Neytiri, in particolare, diventa più cupo. "È spezzata. Vive nell'odio. E questo la rende razzista. Deve imparare a vedere oltre il colore della pelle - o del pigmento - per riscoprire l'umanità negli altri".
Una conferenza fiume, quella di Cameron, che si è poi concentrato sul cast, facendo il punto dopo tre film. "Quella che facciamo non è animazione. È recitazione pura. Zoe Saldana, Kate Winslet, Sigourney Weaver... te lo diranno: è tra le migliori performance che abbiano mai affrontato". E confessa di avere un rimorso: "Per anni ho nascosto il processo di performance capture perché temevo che svelare la 'tuta nera con casco' togliesse magia ai personaggi. Poi mi sono reso conto che stavo facendo un disservizio agli attori". Un esempio? "Leggo ancora che Sigourney Weaver 'ha doppiato' Kiri. No. Ha interpretato Kiri per 18 mesi".
L'ecosistema di Pandora
Parlando della biologia dei Na'vi e dell'ecosistema di Pandora, Cameron spiega che dietro quelle foreste, oceani e creature c'è una logica precisa. L'idea iniziale era rendere l'ambiente alieno, ma plausibile. La verità è che il pubblico vuole sentirsi a casa. "Il verde per noi significa vita. Abbiamo provato a tingere tutto di ciano per far mimetizzare i Na'vi, ma sembrava soltanto un filtro. Alla fine abbiamo deciso: la foresta sarà verde, anche se i Na'vi sono blu. È fantasia allegorica. Come per Arrival, il bellissimo film di Villeneuve". Per Cameron, il contesto di Pandora funziona perché parla della Terra. "Parliamo di odio, mancanza di empatia, isolamento. Temi che stanno avvelenando il nostro mondo. Metterli su un altro pianeta permette agli spettatori di vederli con più chiarezza".
Il concetto di identità
Uno dei fili conduttori di Avatar: Fuoco e Cenere è l'identità. "I Sully sono sfollati. Jake se ne va per proteggere il suo popolo, ma l'impatto emotivo è devastante. Neytiri dice: 'Non ho la mia foresta'. È una straniera in terra straniera". Anche Spider, l'umano cresciuto tra i Na'vi, incarna il tema dell'identità. "È un ragazzo che vuole disperatamente appartenere a quel mondo. Si dipinge di blu. Cerca di essere accettato". Cameron spiega come la nuova generazione, nei film come nella vita, sia quella capace di interrompere cicli di odio. Per questo doveva esserci un nuovo punto di contatto, ossia Lo'ak (Britain Dalton): "Jake non può raccontare la storia di Lo'ak. Non lo capisce. Lo'ak invece può raccontare quella di suo padre, l'uomo che ai suoi occhi è una leggenda... e un'ombra enorme in cui vivere".
Tutt'altro che soffuso il parallelo tra Avatar e il nostro mondo, segnato da odio e divisioni. "Vediamo il mondo precipitare verso un livello di odio, isolamento e violenza mai visto prima nella mia vita", dice il regista. "Questo lo collochiamo su un altro pianeta. Non ci coinvolge in termini di governi o religioni, o lingua. Pertanto, può diventare qualcosa che gioca con questo messaggio di ricongiungimento, speranza, empatia, amore, tutte cose che riguardano la famiglia".
I costi astronomici? "3.800 posti di lavoro. Questo è il dato che conta"
Parlando del budget, James Cameron non fa mistero della portata titanica del progetto. "È semplice: più spendiamo, più posti di lavoro creiamo. Ci sono 3.800 nomi nei titoli di coda. Alcuni hanno lavorato per cinque anni". Il regista ribadisce la sua fede incrollabile nella sala cinematografica. "Se vai al cinema oggi, vuoi un'esperienza. Non solo un film. Avatar deve giustificare il biglietto", e poi, "Ci troviamo in un mercato cinematografico in contrazione. Realizziamo questi film per il mercato cinematografico. Naturalmente, a cascata si passa allo streaming, all'home video. Certo, una buona storia è una buona storia. La apprezzerete anche sul piccolo schermo. E la tv non è poi così piccola. La maggior parte delle persone ha televisori piuttosto grandi e impianti audio piuttosto buoni. Forse sono un dinosauro, ma credo ancora nell'esperienza cinematografica. È qualcosa che amo fin da quando ero bambino". E sul lancio natalizio: è una strategia che già con Titanic ha pagato. "Film lunghi hanno bisogno di tempo per essere scoperti. Il periodo delle feste li sostiene. E poi Avatar parla di famiglia: ha senso che arrivi a Natale".
Cameron e l'IA: "Non voglio un cinema generato dalla mediocrità"
La conversazione si sposta sull'uso dell'intelligenza artificiale. James Cameron distingue tra AI e una superintelligenza stile Skynet di Terminator, oggi al centro del dibattito. "L'IA generativa funziona. Ma prendere tutto quello che l'umanità ha creato, metterlo in un frullatore e sintetizzarlo... come può non essere medio? Io voglio storie scritte da persone che hanno vissuto qualcosa". E difende gli attori: "Il nostro processo celebra l'attore. Potrebbe esserci una generazione di registi che dice: 'Non ho bisogno di attori'. È una prospettiva che mi spaventa".
Tuttavia, non è un integralista, essendo entrato nel board di Stability AI per esplorare la tecnologia. "Se potesse ridurre i costi del 35%, potremmo compensare il calo del botteghino post-pandemia. Potrebbe essere l'unico modo per permettere alle nuove generazioni di girare grandi film di fantascienza. Potrebbe esserci un valore economico che migliora effettivamente la nostra produzione cinematografica e migliora effettivamente i dati finanziari del mercato cinematografico. Ma non posso garantirlo oggi, seduto qui. È solo una mia sensazione. E dico: "Ho 71 anni. Quanti altri film con avatar potrò realizzare se mi ci vogliono otto anni per farne due, o dieci? Se potessi accorciare i tempi, sarebbe fantastico".