L'inizio del nuovo millennio è stato un crocevia storico fondamentale. Momento topico dello scontro generazionale che viviamo ancora oggi, dovuto soprattutto a cambiamenti sociali epocali rappresentati dall'avvento e la consacrazione di internet, cavallo di battaglia della globalizzazione e motivo del passaggio da un mondo analogico ad uno digitale. Il cinema più volte è stato testimone di questa fase, pensate all'uscita di Matrix, pellicola manifesto di una nuova concezione della realtà, arricchitasi di un piano esistenziale in cui tutti siamo potenzialmente connessi a livello planetario.
La filmografia orientale non ha fatto eccezione, divenendo tra le sostenitrici più violente di questo nuovo assetto, come rappresentanti di una necessità istantanea di cambiamento avvertita più dalle loro parti che in altri lidi. Molti registi sono stati conosciuti in Occidente per la prima volta proprio grazie a pellicole dal forte sottotesto emancipatorio uscite in quel periodo. Non è un caso che salirono alla ribalta nomi come quello di Kinji Fukasaku con Battle Royale (2000) e di Takashi Miike con Audition (1999), anche se in patria erano forti di una militanza già decennale. Quest'ultimo in particolare, con la pellicola sopracitata, presentata al Festival del Cinema di Rotterdam, da sempre palcoscenico stimolante da un punto di vista esplorativo, ha dato una svolta ad una carriera che da autore specializzato in V-Cinema, pellicole di genere concepite per essere direttamente distribuite nel mercato home video, l'ha visto improvvisamente diventare oggetto di acclamazione mondiale.
Oggi il titolo è ancora perfetto esempio di quel passaggio culturale, data la sua incredibile capacità di mischiare linguaggi diversi (commedia, dramma, romance, horror, thriller, onirico, gore) e di farsi portavoce di un sentore giovanile che esigeva la demolizione del cinema classico, volto di una società vecchia e fallocentrica, ostinata a reggersi su meccanismi di potere ormai privi di significato.
Audition, a 23 anni da quella presentazione in Olanda, torna in versione restaurata in sala per un evento speciale il 23, 24 e 25 gennaio con Wanted Cinema per ricordare a tutti di essere il simbolo di ribellione per eccellenza del cinema contemporaneo.
Un uomo mite in cerca d'amore
Tratto dal romanzo omonimo di Ryū Murakami, scrittore celebrato, invischiatissimo nella questione della sovversione generazionale, Audition (Ōdishon) narra la storia di Shigeharu Aoyama (Ryō Ishibashi), un uomo di mezza età che, rimasto vedovo dopo la morte per malattia della moglie, deve occuparsi da solo del figlioletto Shigeiko, nel pieno della crescita.
Il rapporto tra i due è segnato da una grande complicità, sentimento che li porta a divenire presto una perfetta famiglia borghese ristretta, con tanto di dolce cagnolino al seguito e di domestica brontolona ad occuparsi di una casa ordinata e benestante. Aoyama, nonostante il suo carattere mite e la sua natura sensibile, ricopre infatti un ruolo di un certo spessore all'interno della società giapponese in veste di dirigente di una casa di produzione. Status che comunque non gli impedisce di continuare ad essere schivo nei confronti del genere femminile, ostinato a rimanere chiuso nel suo devoto lutto per la sua compagna di vita.
Sarà proprio il figlio a spingerlo a cercare nuovamente l'amore, desideroso di vedere il padre di nuovo felice. Aoyama è ad un primo momento restio all'ipotesi, salvo poi cambiare improvvisamente idea quando un suo caro amico, nonché collega, gli paventa la prospettiva di organizzare un'audizione per un film che potrebbe anche non venire mai realizzato, solo con lo scopo di fargli incontrare delle ragazze, tra le quali potrà scegliere la sua nuova sposa.
All'audizione si presentano varie aspiranti, ma Aoyama già sa chi vuole tra di loro, avendo scelto durante lo spoglio delle schede inviate durante la preselezione. La ragazza in questione è una certa Asami (Eihi Shiina), una giovane dalla bellezza e dalla dolcezza fuori dal comune, che però ha colpito l'uomo per il suo passato, segnato dall'aver toccato con mano l'ingiustizia della vita e la durezza della solitudine.
Un motivo assolutamente non scontato, che rende il nostro Aoyama un maschio alpha atipico, candidato perfetto per essere a sua volta selezionato da una predatrice, che è, guarda caso, proprio ciò che Asami è sotto la timida compostezza, gli occhi speranzosi e ingenui e le sue buone maniere.
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Il nuovo mangia il vecchio
Takashi Miike oggi ha sfondato quota 100 film tra diorama e televisione, eppure Audition è con buonissima probabilità ancora la miglior espressione del complessissimo pensiero filmico del cineasta.
La pellicola è divisa in due macroparti. La prima altro non è che un dramma romantico tipico giapponese (con dei tratti anche da commedia), rappresentante una visione cinematografica antiquata e retrograda, mentre la seconda è un horror thriller di una violenza inaudita, pensata con lo scopo di mangiarsi l'altra e far posto ad un'idea giovane, violenta, ribelle e incontrollabile. Vecchio e nuovo mondo. In mezzo l'audizione del titolo, in cui non si capisce chi sta provinando chi.
Il registro della pellicola cambia con il controcampo di una telefonata. Asami ascolta lo squillo del telefono mentre è inquadrata di spalle, accucciata come in un horror americano e in un close up sfoggia un sorriso che da gentile e riverente diventa mefistofelico, come un lupo che si è risvegliato. Il futuro che attacca. A chiudere la sequenza un sacco che si muove con dentro quello che pensa della società giapponese.
Da lì inizia un vortice orrorifico all'interno del quale prende forma una lenta discesa all'inferno tra l'onirico e il reale fino ad una detonazione di una lucidità tale da far accapponare la pelle.
Takashi Miike comincia un'opera di destrutturazione totale dell'impianto narrativo e visivo del cinema giapponese, pur conservandone la natura diretta, schietta e brutale, adoperando prima la mente e poi il corpo del suo protagonista maschile (ancora integro, a differenza di quello degli altri uomini presenti nel film) come un tavolo da lavoro su cui disegnare un nuovo modello sociale. Un totem per una comunità consapevole. La matrice narrativa è quasi di rimando cronenberghiano, ottica attraverso la quale si compie un'opera frenata solo dall'intervento del maschile della generazione futura, una speranza di un uomo nuovo, di un mondo nuovo, che deve necessariamente superare i fantasmi che il vecchio ha creato brutalizzando il femminile in ogni modo.
Trattasi di un gesto di grande maturità per una storia che si conclude con un monito, racchiuso nello sguardo di Asami e rivolto agli occhi di Aoyama, un maschio non alpha e quindi ancora in tempo per salvare ed essere salvato.
Alla scoperta del cinema giapponese contemporaneo
Lady Vendetta
Asami si rivela in modo fulmineo. Che lei sia la carnefice lo si capisce nel momento esatto in cui Miike decide di cambiare ritmo, la parte calda del film è infatti pensata in modo totalmente retroattivo. Ciò che è importante non è cosa lei sia ora, ma come è arrivata a diventarlo. Archetipo della preda di un mondo bigotto, classista e maschilista, che l'ha usata, fin da bambina, come agnello sacrificale per ogni tipo di vezzo, capriccio, frustrazione e fantasia malata. Nella parabola che la descrive c'è la costruzione del suo personaggio, la testimonianza dello status della donna e la completa disintegrazione del maschio, di cui il film decide coscientemente di mantenere il punto di vista.
La sua colpa inizia con un commento sprezzante nei riguardi di un gruppo di ragazze che stanno bevendo in un bar, etichettate come il simbolo di decadenza morale del Giappone dell'epoca, continua con l'arrogante pensiero di avere il diritto di scegliere una donna su misura per lui, vergine, amante, madre e balia, e culmina con la sua completa incapacità di vedere realmente la persona che gli sta di fronte.
La donna, mutilata nell'anima, è protagonista di una lotta intestina in cui cerca di riprendersi a suo modo il posto che si merita, lottando contro un sistema ingiusto, che l'ha costretta a ridursi a questo spettro omicida e verso il quale, in virtù di ciò, non deve avere nessuna pietà. Miike, con Audition, è il suo megafono, il megafono di una ribellione violenta, sanguinosa e spietata, deriva caustica e drammatica di cui la società patriarcale è fautrice.