Assolto per aver commesso il fatto
È certo un documentario atipico, questo The People vs. George Lucas, un'opera che già dal titolo rivela in qualche modo il tono e gli intenti che la caratterizzano. È atipico innanzitutto il modo in cui il regista Alexandre O. Philippe ha raccolto il materiale che è stato poi montato e ha contribuito, in maniera decisiva, a dar vita al risultato finale: un appello lanciato nel 2007 tramite un sito web, l'invito alle centinaia di migliaia di fans sparsi nel mondo a contribuire a un'opera che ha lo scopo di sviscerare il rapporto di amore/odio che da ormai un trentennio lega il regista-demiurgo George Lucas al suo pubblico, e specie a quello della sua saga più famosa. Un appello che, prevedibilmente, ha portato ai realizzatori una quantità sterminata di materiale audiovisivo (circa 600 ore in tutto, stando a quanto ha dichiarato il regista), tra filmini fatti in casa, animazioni con pupazzi in stop-motion, simil-spot più o meno ironici, cortometraggi di animazione in digitale, e tantissimo altro. La facilità di produzione di un materiale del genere, dovuta ai moderni programmi di grafica digitale ormai alla portata di tutti, e la facilità di distribuzione generata dalla Rete, ha portato alla realizzazione di quello che può essere definito, forse, il primo documentario collettivo della storia del cinema. Già questo aspetto, che proietta un fenomeno di massa che nasce alla fine del secolo scorso direttamente, e pienamente, in quello attuale, basta a rendere il film importante.
Un altro motivo di interesse di quest'opera, tuttavia, è il modo in cui porta avanti una riflessione più generale sulla cultura di massa, attraverso lo sguardo ravvicinato su uno dei suoi prodotti più rappresentativi. Nelle tante interviste a fan, amici, colleghi di Lucas, e personaggi che a vario titolo hanno avuto a che fare con l'universo di Star Wars, una domanda ricorre spesso (la cui risposta è tutt'altro che banale): un'opera che ha segnato così a fondo l'immaginario collettivo, che ha creato una mitologia, che è letteralmente straripata fuori dal suo medium di riferimento invadendone altri (libri, fumetti, tv, videogiochi) può essere ancora considerata a pieno titolo proprietà del suo autore? Dal 1977, anno di uscita dell'originale Guerre Stellari, fino ad oggi, l'universo creato da Lucas è stato, come mai era successo prima, letteralmente preso e fatto proprio dai fans di ogni latitudine. Non solo questi ultimi hanno atteso spasmodicamente ogni nuovo capitolo cinematografico (a dispetto dei giudizi spesso negativi sulla seconda trilogia), non solo hanno comprato e ricomprato ogni singola edizione homevideo dei tre film storici, non solo si sono fatti consapevolmente irretire da tutto il merchandising che è proliferato intorno alla saga: hanno soprattutto scritto fan fiction, realizzato prodotti amatoriali, spezzoni dei quali vengono mostrati nel documentario, si sono accaniti su forum web e, prima dell'epoca della rete, tramite fan-club sparsi in tutto il mondo, a scambiarsi idee su sviluppi possibili della storia, immaginare intrecci alternativi, scrivere libri che li raccontavano (perché, è bene ricordarlo, gli autori delle tante opere di narrativa nate dalla saga sono innanzitutto dei fan). L'universo di Star Wars è stato quindi, in larga misura, sottratto a Lucas e reso collettivo, creato e ricreato continuamente dai fans. Fino a che punto quindi il suo autore originale può ancora considerarlo una sua proprietà?La domanda, considerato ciò che lo stesso Lucas ha fatto nel corso degli anni dei suoi film, è tutt'altro che peregrina. La prima metà del documentario, infatti, è incentrata sulle perplessità (per usare un eufemismo) dei fans nei confronti dei due restyling operati dal regista sulla trilogia storica, rispettivamente nel 1997 e 2001. Le modifiche, a volte di semplice look, altre volte più sostanziali (come il famoso colpo di pistola sparato da Han Solo nel film del 1977) hanno scatenato una ridda di opinioni negative e proteste, rafforzate dalla decisione di Lucas di non rieditare le versioni originali dei tre film, perché a suo dire non corrispondevano alla sua reale concezione dell'opera. Questa ben nota polemica dà qui modo a Philippe di mostrare l'anima più intransigente dei fan di Star Wars, dando vita con le sue interviste a un ritratto del fandom per certi versi caricaturale, ma in fondo affettuoso: nonostante i suoi sforzi per mantenere le distanze come ogni documentarista dovrebbe fare, il regista, insieme a tutto lo staff realizzativo del film, è innanzitutto lui stesso un fan. Il ritratto simpaticamente sopra le righe continua con la parte dedicata all'uscita di Star Wars ep. I - La minaccia fantasma, con filmati di repertorio e interviste che mostrano dapprima l'hype ai limiti del maniacale, l'attesa caricata di aspettative quasi fideistiche ("it can't suck!" sentiamo ripetere a più riprese a un prossimo spettatore) e poi la delusione colma di rabbia per ciò che è stato il risultato.
Tutto questo, con uno stile che rappresenta l'essenza stessa di quella cultura pop di cui la saga di Lucas è uno dei prodotti più significativi: un montaggio rapidissimo di scene di repertorio, interviste, spezzoni di film, e soprattutto quei filmati realizzati dai fans e ispirati direttamente ai film della saga, che sono il cuore di questo documentario. Così, tra un Episode IV con personaggi in plastilina e un delirante remake di Misery non deve morire con Lucas al posto di James Caan costretto a riscrivere il copione di Episode I, il film getta uno sguardo divertito e ironico su un universo e su coloro che hanno deciso di viverci dentro, e sul singolare rapporto che li lega al suo creatore. Senza dimenticare un aspetto, forse troppo spesso trascurato, e affidato alle parole di Francis Ford Coppola (tra i tanti nomi eccellenti presenti nel film; tra gli altri troviamo Neil Gaiman e David Prowse, ovvero il Darth Vader originale): Lucas, prima di essere l'abile imprenditore che è diventato con Star Wars, era (ed è) innanzitutto un autore cinematografico, uno di quei registi che, per un breve periodo, rinnovarono profondamente il cinema americano sottraendolo agli studios per consegnarlo agli autori. C'è il rimpianto, nelle parole di Coppola, per un autore che abbiamo potuto appena conoscere (con film che comunque si fanno ricordare come L'uomo che fuggì dal futuro e American Graffiti) prima che la sua stessa creatura lo fagocitasse, forse suo malgrado. Ma si sa, per fare ciò che ha fatto Lucas, per plasmare dal nulla un mondo come quello da lui plasmato, un prezzo da pagare c'è. E siamo pronti a scommettere che ben pochi fan, compresi quelli che contro il regista hanno emesso una condanna senza appello, sarebbero disposti a fare a cambio, rinunciando al mondo per riavere l'autore. E la bilancia tra amore e odio, com'è evidente nella parte finale del documentario, malgrado tutto non può che pendere verso il primo.Movieplayer.it
4.0/5