C'è qualcosa di ombroso che si nasconde nella stretta di mano tra corpi da ammirare e sguardi che li possiedono. È uno scambio poco equo, di chi si lascia illuminare dalla luce della ribalta - fino a bruciare - e chi mostra, prende, deruba imprigionando pensieri e parole. Lontano dai set e dagli spazi intrisi di talento, il mondo delle starlet di Hollywood si sveste di quei riflessi cangianti di sogni e speranze, per vivere all'ombra degli incubi e della delusione. Vendere la propria anima al commerciante di illusioni che è il successo facile, è tanto semplice quanto deleterio: ogni sfumatura di innocenza scivola via, bagnandosi di lacrime e annegando nell'oceano dell'auto-sabotaggio.
Come sottolineeremo in questa recensione di Anna Nicole Smith: la vera storia, il documentario diretto da Ursula Macfarlane (e disponibile su Netflix) trova nell'ex playmate statunitense il modello esplicativo di una caduta agli inferi di chi troppo sogna, finendo per bruciarsi le ali. Simbolo di un decennio come quello a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila, Anna Nicole Smith era un angelo decaduto, dove la bellezza si riduce a sinonimo di scandali e trash. Ha volato troppo vicino al sole del successo, Anna Nicole: ha tentato di colmare vuoti con oggetti e lusso, regalando agli altri il proprio corpo e, con esso, le proprie fragilità. Flash dopo flash, alla modella veniva succhiata la propria essenza.
La sua caduta è così simile a quella di tante altre donne bellissime, risucchiate nel vortice del successo e del divismo: un successo però effimero, basato sulla superficie estetica di corpi da ammirare come statue in una gipsoteca, e poi ben presto occultate sotto strati di lenzuola. Quell'aspetto angelico, immerso tra le fiamme di una società mediatica e capitalistica che tutto consuma e sputa, senza digerire, vive delle copie di mille esistenze prima vissute: un labirinto intricato, fatto di non detti e segreti, sorrisi e sguardi cupi, che Ursula Macfarlane non ha paura di prendere e restituire senza filtri censori, o ricami edulcoranti. Il risultato che ne consegue è un vaso di Pandora aperto con cura e gestito con attenzione, dove ogni informazione trova il proprio posto in un mondo dissestato, rovinoso, di promesse non mantenute, e pillole ingoiate per calmare dolori dell'anima.
I cry when angels deserve to die
"Era adorata da tanti, ma amata da pochi". Una frase lapidaria, modellata con scalpelli battuti dalla luce della ribalta e dal consumismo dei mass-media. Già, perché dietro quell'asserzione non si nasconde un caso isolato, un unicum o un'esclusività di riferimento alla sola Anna Nicole Smith. Dietro quella frase si snoda, con fare inquietante, una verità pronta a sconfinare dai parametri dell'unicità per abbracciare un intero mondo come quello abitato dai divi hollywoodiani, una galleria umana di corpi da ammirare, volti da adorare, esistenze da depredare. Tra quegli sguardi presi e imprigionati in un limbo di successo e privazioni, c'era anche quello di Anna Nicole Smith, all'anagrafe Vickie Lynn Hogan.
Una vita, la sua, costantemente vissuta sull'orlo del precipizio emotivo, tra verità celate e segreti inventati. 39 anni, i suoi, vissuti a scappare: scappare dal proprio paese di infanzia; scappare da una vita che le andava stretta; scappare dalle responsabilità e dall'anonimato per diventare grande, amata, celebrata. Ursula Macfarlane capisce con intelligenza che ogni azione compiuta, e scelta ponderata, nasce da un desiderio intrinseco di un'anima fuggiasca: ed è per questo che la regista scava a fondo nel sostrato profondo di un'infanzia che stride tra i racconti personali, e quelli famigliari. Per tracciare il presente bisogna indagare il passato, e la Macfarlaine non teme di prendersi il tempo necessario per scandagliare ogni fantasma tenuto libero, o spettri di una vita immaginata. Solo così il puzzle finale di chi fosse veramente Anna Nicole Smith potrà essere completato, e ogni risposta fornita.
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L'incubo a Hollywood preferisce le bionde
Sembra nata dalle ceneri di Marilyn Monroe, Anna Nicole Smith, e da quella stessa polvere pare destinata a ritornare l'ex modella e attrice morta a soli 39 anni. Un mondo, il suo, da riscoprire con attenta e obiettiva analisi, e per questo lontano da un filtro ammaliante, romanzato ed edulcorante come quello del cinema. Non c'è nessun Blonde per la Smith: il suo è un universo che deve essere riscoperto con oggettività. Il fatto che non vi sia alcuna possibilità per l'ex modella di far avvalorare la propria versione della storia arroga un ulteriore senso di onestà al racconto e che distanzia tale prodotto da quello dedicato (e prodotto) a (e da) Pamela Anderson. Ciò che vive e si evince in Anna Nicole Smith: la vera storia, è la decisione di mantenere quella promessa lasciata scorrere nella lettura del titolo stesso. L'intero documentario si fa ricerca della verità perduta e di un'esistenza accecata dal successo, avvalorata dall'inserimento in fase di montaggio di video sia amatoriali, che di repertorio, capaci di confermare ogni ricordo confessato, o verità proferita.
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Raccontare con obiettività
È un'opera, quella diretta da Ursula Macfarlane, capace di accarezzare l'oggetto delle sue indagini, per poi svelarlo nelle sue stesse vesti. Nessuno slancio elegiaco; nessun apologia. Ancorandosi alla natura stessa del genere di appartenenza, il documentario intende fare luce su ogni ombra e dubbio, enfatizzando le linee oscure ed esacerbando di luce intensa la bellezza di una donna incapace di far fronte ai propri sogni e ai propri istinti. Una dualità fotografica perennemente in equilibrio e rispondente ai dettami di una narrazione onesta, disinteressata a simpatizzare con il proprio pubblico, preferendo la sincerità di racconto. Anna Nicole Smith è stata vittima della sua ambizione e della sua bellezza: non vi è nessuna intenzione di ribaltare la sua immagine o la portata delle sue azioni, così come non sussiste alcun tentativo di rivendicare un'esistenza che ha partecipato attivamente alla propria decaduta. Ogni testimonianza rilasciata da parenti e amici, dottori e reporter, si fa patchwork intimo di ricordi che non collidono mai, ma vanno a braccetto verso il cammino di una verità rivelata.
Nessun disprezzo; nessun accogliente abbraccio consolatorio: Anna Nicole Smith: la vera storia è un esempio di come i documentari dedicati ai personaggi famosi debbano essere realizzati, amalgamando una durata accessibile e una mole di informazione esauriente. Un equilibrio che mancava nella vita dell'ex diva, lasciandola vagare tra le acque del dolore e delle lacune mai colmate.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Anna Nicole Smith: la vera storia, sottolineando come il documentario disponibile su Netflix riesca con intelligenza e senza molte forzature, a rivelare segreti passati, dolori celati e pensieri inespressi dell'ex playmate e modella per Guess, Anna Nicole Smith. Ascesa e caduta vengono ampiamente indagate e nulla viene lasciato al caso.
Perché ci piace
- L'onestà di racconto e il poco interesse a sviluppare un'elegia nei confronti della Smith.
- La durata accessibile.
- La portata interessante delle informazioni e delle testimonianze rilasciate.
- Il gioco di luci e ombre offerto dalla fotografia.
Cosa non va
- Un finale forse un po' troppo sbrigativo.
- Lo spazio ridotto dedicato alla figlia Dannielynn.