Tratto da una storia vera, recitano i titoli di testa. Prima di addentrarci nella recensione di Ancora un giorno è necessario ricostruire il contesto storico dei fatti raccontati dal film, un viaggio ai limiti della sperimentazione tra animazione e documentario. È il 1975, la guerra in Vietnam è appena finita, siamo in piena guerra fredda. Dopo la Dichiarazione di Indipendenza l'Angola è sull'orlo di una guerra civile, una lotta a tutto campo tra le diverse forze del territorio che si contendono il potere. In un misto di disperazione e rabbia, i portoghesi terrorizzati dalla possibilità di un attentato raccolgono tutto ciò che hanno e scappano abbandonando le città: quello che vogliono è solo salvare le proprie ricchezze.
Si lasceranno dietro devastazione, caos e povertà e il paese diventerà ben presto il campo di battaglia di una guerra su procura tra le due super potenze: Usa e Unione Sovietica.
È la situazione che il reporter Ryszard Kapuscinski, autore del romanzo omonimo da cui è tratto il film, si ritroverà davanti nel settembre del 1975 quando arrivò per la prima volta nella capitale, Luanda, unico corrispondente estero in quell'inferno sceso in terra. Il racconto che ne viene fuori è un monito a non dimenticare, un manifesto sull'etica di una professione, quella giornalistica, sempre più bistrattata, strattonata e umiliata da un esercito di scribacchini. La forma scelta dai due registi per raccontare il viaggio di Kapuscinski in Angola, è quanto di più illuminante e coraggioso sia stato fatto fino a oggi nell'ambito di due generi che qui si sposano alla perfezione.
Una trama tra racconto di guerra e viaggio interiore
La trama di Ancora un giorno procede come un racconto di guerra, che ben presto assume però i contorni di un personalissimo viaggio interiore, un cammino di rinascita tra senso di incertezza e solitudine, alienazione e paura, fino a diventare riflessione sul ruolo del reporter di guerra quando Kapushinski si ritroverà tra le mani una notizia che se diffusa potrebbe provocare la morte di migliaia di persone. Mentre fuori infuria la guerra civile, nell'animo di questo antieroe gli interrogativi si moltiplicano: quali sono i limiti di un giornalismo imparziale? Dove finisce il dovere di cronaca? Si chiede Kapushinski, che non si accontenta di essere un semplice osservatore esterno: durante la permanenza al fronte stabilirà con la gente del posto un rapporto basato sull'empatia e la compassione. Giornalista e combattente allo stesso tempo, consapevole di aver infranto il codice deontologico, si lascerà attraversare dagli eventi.
Attorno disordine, caos, scompiglio, anarchia e un'insopportabile senso di impotenza: in una sola parola confusao, termine che in Angola definisce questo perenne stato di smarrimento e confusione altrimenti intraducibile.
"Qui non ci sono fatti, solo confusao", racconterà; chilometri di strade sterrate, disseminate di cadaveri di madri e figli, dove Kapushinski perderà per sempre la pace.
Lo spettatore rivive le emozioni e il senso di turbamento che scuotono il protagonista attraverso alcune sequenze animate surreali: a loro spetta il compito di rappresentare le visioni e gli incubi che abitano la mente del reporter, trascinando il pubblico in un mondo dominato dall'assenza di regole.
Un equilibrato mix di animazione e documentario
La vera forza del film consiste nella combinazione di linguaggi diversi: lo stile della graphic novel e la poesia dell'animazione incontrano quello del documentario quando irrompe il realismo delle immagini di repertorio, di vecchie foto in bianco e nero, o la potenza delle testimonianze, quarant'anni dopo, di alcuni dei protagonisti di quei fatti in carne e ossa.
Non asettica cronaca di guerra, ma racconto intimo e spesso tormentato, una narrazione che assume le fattezze delle persone incontrate, o dei ricordi dei sopravvissuti.
Due i personaggi che nella memoria di Kapushinski rimarranno a lungo il simbolo e il volto di quel conflitto: Carlota, "il sorriso dell'Angola", una fiera guerrigliera di appena vent'anni e il riluttante comandante Farrusco, ex soldato dell'esercito portoghese che anziché arruolarsi scelse di stare dalla parte dei più deboli e svantaggiati, ovvero il popolo angolano.
Lo stesso a cui il maestro del giornalismo moderno, come da molti è stato definito, volle a tutti i costi rendere giustizia obbedendo a un imperativo che in quei tragici risuonava da ogni angolo: "Fai in modo che non ci dimentichino".
"Volevano essere tutti fotografati per lasciare una traccia, per rimanere", racconta la voce fuori campo del protagonista. E così fece: scrisse pensando a loro, perché tutti potessero sapere. Perché la memoria ci salva, perché l'oblio ci rende più vulnerabili e ignoranti e il compito di un buon giornalista è aiutare a non dimenticare fatti, volti, persone, storie.
Conclusioni
Concludendo la recensione di Ancora un giorno non possiamo non riconoscere la portata di un esperimento coraggioso e rivoluzionario. I registi riescono a evitare i rischi di un'operazione che poteva risultare un'accozzaglia di linguaggi e generi diversi. Intimismo e racconto di guerra procedono su binari paralleli amalgamandosi alla perfezione in una narrazione che commuove e scuote le coscienze.
Perché ci piace
- Il film mescola sequenze in animazione a live action sfruttando la varietà per rendere lo spettatore partecipe dell'incredibile viaggio di Ryszard Kapuściński.
- Ogni sequenza comunica la passione degli autori per i reportage del grande giornalista polacco.
- Il ritmo vivace veicola una narrazione rapida, costellata da colpi di scena.
- Nel corso del film non possiamo non appassionarci ai personaggi che Kapuściński incontra sul suo cammino.
- Lo stile del reportage di guerra incontra l'intimità del viaggio interiore, di rinascita.
Cosa non va
- Il contesto storico viene accennato a grandi linee nei dialoghi, ma per comprendere appieno il destino dell'Angola e gli schieramenti in campo servirebbe maggior preparazione.
- Alcune ricostruzioni live action degli eventi nel presente risultano un po' forzate.