Negli ultimi lavori, Ryan Murphy aveva lasciato le redini ad altri registi e altri autori, curando solo la parte produttiva. Ora, il prolifico showrunner torna a "metterci la faccia" firmando All's Fair. Il risultato? Lo diciamo subito: non riesce a fare centro, calcando troppo la mano sul lato estetico dello show.
Un titolo chiacchieratissimo fin dall'annuncio, grazie al cast all star composto da Kim Kardashian, Naomi Watts, Niecy Nash-Betts, Teyana Taylor, Sarah Paulson e Glenn Close. Ora che è arrivato in streaming su Disney+ con appuntamento settimanale, però, non possiamo che bocciarlo.
All's Fair: un legal drama dalle donne per le donne
Tutto è lecito, in amore e in guerra recitava un vecchio adagio. È su questo concetto che si basa il legal drama in questione: due avvocatesse Allura Grant e Liberty Ronson (Kardashian e Watts) e un'investigatrice Emerald Greene (Nash) escono da uno studio divorzista dominato dagli uomini per aprirne uno tutto al femminile. Il nuovo studio accetta solo clienti donne che vogliono rivalersi sui soprusi, fisici o psicologici, subiti dai rispettivi mariti e compagni.
Ottengono il benestare dell'unica donna socia di maggioranza Dina Standish (Close) ma si inimicano per la vita la collega Cara Lane (Paulson), che avrebbe voluto andarsene con loro. Passano dieci anni e, in con un'escamotage davvero irrealistico, non solo lo studio Grant, Ronson & Greene ha successo ma va oltre ogni aspettativa: vestiti costosi, jet privati, mai una causa persa in aula. Parallelamente, però, le protagoniste devono affrontare la propria vita privata che non è sempre altrettanto rosea e idilliaca.
Dal matrimonio al divorzio: il fil rouge della serie Disney+
Il matrimonio e il divorzio sono i due elementi che accomunano le avvocatesse protagoniste di All's Fair. Allura scopre il tradimento del marito Chase (Matthew Noszka), campione sportivo, e deve affrontare la sua richiesta di separazione; Liberty deve decidere se accettare la proposta di matrimonio del fidanzato Reggie (O-T Fagbenle), dato che nessuna delle sue clienti pensava potesse succedere proprio a lei; Emerald ha deciso volontariamente di affidarsi ad un donatore di seme e non ad un uomo per crescere i suoi tre figli; Dina deve affrontare il cancro del marito Doug (Ed O'Neill) che avanza inesorabile, mentre la loro vita di coppia ne risente sempre di più.
Tutti "drammi" condivisibili ma che rimangono sistematicamente in superficie, tra un anello di diamanti, un outfit all'ultimo grido e una sosta dal parrucchiere e dalla manicure. Vite troppo perfette - nemmeno un capello o un filo di trucco fuori posto - che tolgono realismo e la possibilità di immedesimarsi da parte del pubblico.
Una messa in scena che va oltre il trash
Gli utenti stanno tuttavia premiando la serie - è il debutto più visto degli ultimi tre anni su HULU - ma la critica ha storto il naso. Come mai? Perché si iscrive tra i prodotti targati Ryan Murphy in cui la perfezione formale la fa da padrona, a discapito di tutto il resto. Ottenendo un effetto decisamente contrario. Non solo, lo show rimane freddo e stampato sullo schermo, invece di arrivare al cuore degli spettatori; ma è anche pieno di contraddizioni. Nel terzo episodio il gruppo discute di chirurgia plastica denunciandone i pericoli ma sono le prime ad essersi date a ben più di qualche ritocchino, chiaramente visibile. Le battute al vetriolo che si lanciano continuamente - grazie anche alla "follia" del personaggio di Paulson - vanno oltre l'intrattenimento più becero.
Non è tutto: il femminismo di cui la serie si fa portavoce in realtà ha un effetto boomerang. Una rappresentazione esagerata ed esasperata finisce per parodiarne gli insegnamenti e le motivazioni, risultando forzata. In una parola: finta, proprio come le sue protagoniste. Chissà cosa ha portato le attrici ad accettare questo tipo di ruoli bidimensionali, oltre all'amicizia col prolifico showrunner, che qui si avvale della collaborazione alla scrittura di Jon Robin Baitz e Joe Baken e alla regia di Anthony Hemingway. Il concetto di trash è decisamente ridefinito con All's Fair, ma su un gradino ancora più basso.
Conclusioni
All's Fair non rientra nemmeno nella categoria dei divertissement seriali, da vedere per staccare il cervello durante un pasto, una pausa, una serata sul divano. Tutto risulta superficiale e drammaticamente finto: dalla perfezione delle protagoniste, sempre impeccabili e sempre un passo avanti a tutti, amici e nemici, al totale irrealismo e all'assenza di immedesimazione da parte dello spettatore. Ci chiediamo perché un cast di tale portata abbia scelto di parteciparvi senza vedere che il femminismo rappresentato faceva il giro e diventava parodia di se stesso.
Perché ci piace
- Il tema dell'utopia femminista in campo legal e nella vita...
- Il cast all-star...
Cosa non va
- ...che però rimane qualcosa di superficiale e controproducente.
- ...i cui personaggi però rimangono monocorde.
- La scrittura irrealistica ed elementare, infarcita di stereotipi e cliché.
- Interpretazioni davvero basiche per i nomi coinvolti.