Recensione All or Nothing: Manchester City – Dietro le quinte del calcio teatrale di Guardiola

La recensione di All or Nothing - Manchester City: la stagione 2017-2018 del celebre inglese raccontata da Ben Kingsley e vissuta nello spogliatoio. Dal 17 agosto su Amazon Prime Video.

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C'è una rivoluzione inglese che non risale al 1600. Una rivoluzione inglese che non tocca tre grandi regni ma riguarda soltanto due squadre. Perché poco più a Nord del cuore della Gran Bretagna ci sono due squadre che si contendono la gloria di una città intera. Manchester è rossonera o biancoceleste, è demoniaca o celestiale. È Manchester United contro Manchester City. I Red Devils contro gli Sky Blues. Niente vie di mezzo. Questione di fede, devozione e testardaggine. Una rivalità sopravvissuta anche quando lo scontro era impari, con il glorioso United a imporre il suo vittorioso dominio e le sue iconiche leggende (gente come George Best e David Beckham) e il City a leccarsi le ferite nell'oblio della Terza Divisione.

Ma se una squadra si riconosce nel motto latino Superbia in proelio (Orgoglio in battaglia) è abituata a lottare con le unghie sporche di fango. Lo sport insegna spesso a tifare per gli sfavoriti, ad innamorarsi di storie al profumo di sacrificio, delusioni e voglia di rivalsa. Chi tifa Manchester City conosce la sensazione. Chi tifa Manchester City ha sognato quella rivoluzione da oltre cent'anni. Così quando lo sceicco Manṣūr bin Zāyed Āl Nahyān ha deciso di investire nella sponda celeste di Manchester quel colpo di stato è diventato possibile. Spezzare l'egemonia dei diavoli rossi, ridare lustro a un duello calcistico che fosse finalmente vero. Dal 2010 a oggi, il City ha finalmente spezzato la dittatura delle Big Four (Arsenal, Chelsea, Liverpool e Manchester United, ovviamente) vincendo tre volte la Premier League.
Un'impresa sportiva impregnata di rabbia e sacrificio raccontata a tutto campo dal docufilm All or Nothing: Manchester City. Un' impresa possibile anche dall'arrivo di uno degli allenatori più influenti, stimati e carismatici del calcio moderno: Pep Guardiola, il condottiero romantico. L'artefice di quella rivoluzione gentile nel cuore biancoceleste di una Manchester meno infernale e più paradisiaca.

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Manchester City Premier League Trophy Parade

Oltre a ridare equilibrio a un braccio di ferro calcistico, Pep Guardiola è stato chiamato a un'altra impresa, ovvero esportare la sua idea di calcio all'interno di un campionato ostile ai suoi principi di gioco. In una Premier da sempre sinonimo di fisicità, contrasti vigorosi, scivolate e pochi fronzoli, il celeberrimo tiki-taka dell'ex allenatore di Barcellona e Bayern Monaco, tutto possesso palla, tocchi raffinati e maniacalità tattica, sembrava pura blasfemia, utopia sportiva. Non a caso la prima stagione di Guardiola alla guida dei citizen è stata un mezzo fallimento. Però il condottiero romantico non è persona arrendevole, ma un uomo carismatico che si nutre di tensione, aspettative e pressioni per tramutarle in vittorie ancora più agognate. In questo senso il docufilm All or Nothing: Manchester City, prima escursione calcistica della serie Amazon dedicata a grandi imprese sportive, riesce subito a mettere in chiaro il ruolo predominante e fondamentale di un allenatore affamato e ambizioso, conscio del suo impatto mediatico e delle sue capacità sia professionali che umane.

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Potremmo definire Pep Guardiola il Paolo Sorrentino degli allenatori: talentuoso, con un'idea registica ben definita, calamita di amore o di odio a causa di una personalità ingombrante. A emergere è un allenatore istrionico, capace di essere padre severo o fratello complice con ognuno dei suoi giocatori, abile nel pretendere e comprensivo nel riconoscere i meriti. Un vero e proprio stratega che, poco prima di ogni partita, non solo viviseziona la lavagna tattica alla ricerca del punto debole degli avversari, ma incita i suoi con capacità attoriali appassionate e appassionanti. Nasce così il ruolo inedito dell'allenattore, ovvero un regista invadente, che ha bisogno di entrare nel cuore dello spogliatoio per far germogliare la sua ambiziosa idea di bel calcio.

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Visione a tutto campo: nel cuore del Manchester City

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Ogni serie contemporanea ha un grande spauracchio: lo spoiler. Preoccupazione che non sfiora nemmeno All or Nothing: Manchester City, visto che l'esito della stagione narrata dallo show (composto da otto episodi) è ben nota: la vittoria della Premiere League. Il docufilm, quindi, è minuzioso nel raccontare come si è arrivati a portare il City sul tetto d'Inghilterra. Narrata dalla voce vellutata e sapiente di Ben Kingsley, la storia penetra dentro e fuori lo spogliatoio, passa attraverso il campo e le stanze dirigenziali per poi sfociare tra gli spalti, dando voce anche ai tifosi (alcuni anche d'eccezione, come il cantante Noel Gallagher). Attraverso immagini accurate di ogni partita e retroscena succulenti, All or Nothing: Manchester City è puro godimento per ogni amante del calcio (o meglio, di soccer). Un piacere che nasce da una narrazione tesa e variegata, dove seguiamo un terzino sinistro in sala operatoria e spiamo le confessioni di un centrocampista ripudiato da Mourinho e rivitalizzato da Guardiola. E soprattutto da uno stile lontano dalla moda odierna dello storytelling sportivo troppo romanzato, spesso forzatamente alla ricerca di poesia e significati altri laddove forse non ce ne sono. All or Nothing è calcio puro. È delusione e esultanza, è cuore e testa, erba sui pantaloncini e maglie impregnate di sudore. La storia di una rivoluzione gentile. Una rivoluzione di una bellezza esportabile, che può abitare anche qui, nel freddo grigio di Manchester. La città dove l'inferno conobbe sprazzi di celeste.

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4.0/5