Alive in France, la recensione: Abel Ferrara e i racconti di una vita

La recensione di Alive in France, il documentario in cui Abel Ferrara si racconta al seguito della sua band nella veste inedita di cantante e musicista.

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Alive in France: una scena del documentario

Da Parigi a Tolosa a inseguire il girovagare senza sosta di un piccolo tour musicale sulle note delle colonne sonore che hanno accompagnato i suoi film. Come leggerete nella recensione di Alive in France c'è tutto lo sguardo sfacciato di Abel Ferrara sul mondo e sul cinema in questo documentario presentato nel 2017 alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes e in sala per tre giorni, dal 19 al 22 maggio. Un divertissement per i suoi fan più accaniti, che rispolvera un'immagine inedita del regista newyorchese, qui cantante e musicista insieme alla compagna, la giovane Cristina Chiriac, e ai suoi storici amici e collaboratori, Paul Hipp e Joe Delia, con i quali da sempre compone le musiche dei suoi film. Ferrara dirige e ricostruisce un susseguirsi di momenti musicali e frammenti di vita quotidiana, offrendoli allo spettatore in un racconto caotico e difforme, in cui lo si vedrà cantare, scherzare, ricordare e ripercorrere alcune tappe fondamentali della sua arte.

La trama: tra ritratto personale e flusso di coscienza

Il pretesto di Alive in France sono una serie di concerti tenuti in Francia nell'ottobre 2016 dal gruppo rock di Ferrara e dei suoi amici di vecchia data, un tour promosso dalla Cinémathèque de Toulouse all'interno di una rassegna sul cinema provocatore e irriverente del regista americano. La trama di Alive in France si muove per istantanee di cui Ferrara è protagonista e artefice: al centro la sua passione per la musica, le esibizioni dal vivo, le prove, il dietro le quinte, il suo sarcasmo, la memoria di un passato segnato dalle dipendenze, l'amore ritrovato per la sua bambina e la compagna Chiriac.
In poco più di un'ora l'ex "bad boy" dagli eccessi facili, che ha fatto dell'anticonformismo la sua cifra, si offre al pubblico in un racconto che prova a metterlo a nudo, rivelando il suo lato meno ruvido, forse più "casalingo" e sentimentale, l'Abel Ferrara meno criptico e più umano.

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Alive in France: un'immagine del documentario

Difficile definire il risultato che ne viene fuori: un ibrido tra "ritratto di famiglia" e flusso di coscienza, documentario musicale e autocelebrazione. La sensazione è quella di stare sulla porta, appena dietro la soglia a spiare vite bizzarre, borderline, ribelli. Davanti agli occhi e nelle orecchie passano i titoli di una carriera improntata alla provocazione: da The Driller Killer a Il cattivo tenente, da Welcome to New York a China Girl.
Alive in France è un viaggio soprattutto sonoro, nulla di memorabile se non fosse per il graffio noir e lo sguardo anarchico con cui l'autore e "attore" principale riprende tutto quello che gli succede attorno: videocamera al seguito Ferrara registra ogni attimo di quel tour, dal backstage alle esibizioni live, ai fan che lo fermano per strada, poi li mette insieme come fossero frammenti di un film.

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Abel Ferrara al comando di una galleria di personaggi bizzarri

Protagonisti dell'insolito autoritratto sono tutti gli stravaganti personaggi, tra più e meno noti, che la macchina da presa fagociterà in questo diario di bordo per immagini, forse troppo dominato dall'autoreferenzialità. Abel Ferrara indugia su sprazzi di vita quotidiana al seguito della sua band, ricorre spesso all'improvvisazione, dentro riunisce una galleria di figure scolpite a sua immagine e somiglianza, il ritmo è quello del rock'n roll, dai Doors ai Rolling Stones.

Abel Ferrara
Alive in France: Un'immagine promozionale del regista Abel Ferrara

L'anima è profondamente blues, sullo sfondo il suo sguardo perso nel vuoto, la camminata dinoccolata, la voce roca ad accompagnare ogni singola inquadratura, gli aneddoti di una vita iniziata nel Bronx, la sua New York che "esiste nel momento preciso in cui la filmi. È una città elusiva", lo sentiremo confessare durante un'intervista.
Alive in France stordisce lo spettatore, è irruento, a volte diverte, provoca il pubblico solo per poi ributtarlo nel caos di una mente a cui "piace qualsiasi luogo dove posso respirare".

Conclusioni

Come abbiamo ribadito più volte nella recensione di Alive in France, il risultato di questa operazione è quello di un ibrido che da un lato pecca di autoreferenzialità, dall’altro non va al di là del ritratto di "famiglia". Un divertissement per pochi intimi. Con tutti i suoi limiti però, questo diario di bordo si lascia guardare piacevolmente: ottanta minuti in cui il genio di Abel Ferrara canta, scherza, si lascia andare al racconto di aneddoti e cede ai suoi fan il suo lato più personale e sentimentale, inedito. Lo spettatore si lascerà sopraffare da sprazzi di vita quotidiana, un'istantanea in cui il regista newyorchese non rinuncia ad uno sguardo provocatore, ricorre spesso all’improvvisazione, parla alla telecamera e passa in rassegna una galleria di figure scolpite a sua immagine e somiglianza. Tutto a ritmo di rock'n roll.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • Abel Ferrara non perde la sua irriverenza: qui si fa autore e attore di un documentario, che per la prima volta ne svela il lato più intimo e inedito.
  • Ottanta minuti di "cronaca familiare" che incuriosiscono le spettatore fino alla fine, a ritmo di rock’n roll.
  • Il tono ironico e la leggerezza che caratterizzano molti dei momenti del film.
  • Il tour musicale della band offre al pubblico l'opportunità di ripercorrere alcuni dei titoli cult nella carriera di Abel Ferrara.

Cosa non va

  • Il limite più evidente del documentario è l'autoreferenzialità. Un'operazione che non riesce a superare i confini del divertissement personale e autocelebrativo.