Quando uscì, Alice nel Paese delle Meraviglie fu accolto in modo tiepido da critica e pubblico, non permettendo a Walt Disney di rientrare neppure nelle spese iniziali.
Ci vollero anni perché tale giudizio venisse rivisto, e si trasformasse nel consenso unanime che, ad oggi, riconosce in questo film una delle opere più coraggiose, innovative e originali partorite dalla Casa di Topolino.
Il capolavoro di Lewis Carroll venne pesantemente modificato ma senza per questo snaturarne l'anima, privandolo delle sue tematiche principali.
A 70 anni dal debutto in sala è giusto riguardare a quel Classico Disney riscoprendone le qualità che per molto tempo gli furono negate, forse perché l'America non era pronta ad un'opera così radicalmente diversa dal consueto, così connessa a tematiche quali la psicanalisi e la sociologia.
Un progetto lungo trent'anni
Per Walt Disney portare sul grande schermo Alice nel paese delle meraviglie era un sogno che aveva coltivato fin dagli inizi della sua carriera, basti pensare che già nel 1923, al tempo in cui era un regista sconosciuto che lavorava presso il Laugh-O-Gram Studio a Kansas City, si era cimentato in un corto (mai distribuito) intitolato Il Paese delle Meraviglie di Alice. Disney, forte del successo ottenuto con Biancaneve e i sette nani ed altre sue opere, dopo l'esperimento con il cortometraggio Lo specchio magico, fece un primo tentativo concreto nel 1938, ma non fu affatto soddisfatto del risultato. Si rese conto che non aveva i mezzi economici e tecnici per creare qualcosa che rendesse merito ai racconti di cui si era innamorato tanti anni prima. Verso la fine degli anni '40, ragionò anche sulla possibilità di creare un live-action, contattando nientemeno che Ginger Rogers per assegnarle la parte di Alice, contando anche sulla popolarità della star per attirare il pubblico. Tuttavia alla fine abbandonò il progetto, si convinse che solo l'animazione pura poteva rispettare quel magico viaggio creato da Carroll, e si affidò al talento e all'inventiva di Mary Blair e Ken Anderson. Il loro progetto d'animazione lo conquistò per lo spirito modernista, la volontà di creare un racconto che fosse dinamico, spiazzante e vivace, molto diverso da ciò che la Disney aveva offerto fino a quel momento al suo pubblico. La giovanissima attrice londinese Kathryn Beaumont fu scelta per dare la voce ad Alice. Ma oltre a questo fu fondamentale per il design del personaggio. A Disney serviva un modello di riferimento e per ogni animazione, per ogni momento di Alice che si è fissato nella nostra memoria collettiva, dietro vi era lei, intenta sul set a mimare e riprodurre ogni scena e dialogo creato dalla corposa troupe di sceneggiatori.
10 doppiaggi memorabili nei film d'animazione Disney
La protagonista di un film antiborghese e antisistema
Si trattò di uno dei tanti espedienti mediante i quali Disney cercò in tutti i modi di avere un'Alice che fosse quanto il più possibile capace di creare un'empatia con il pubblico (soprattutto quello giovanile), per compensare a quell'iter narrativo così strano, disturbante e a volte anche inquietante che tutti conosciamo. Alice nel Paese delle Meraviglie, fu senza ombra di dubbio il film più rischioso e anche radicale uscito dalla fantasia di Disney. Il racconto di Lewis Carroll, a dispetto delle modifiche, era connesso ad una dimensione visiva molto aggressiva per l'epoca, qualcosa di molto diverso dalla norma di quel tempo, anche per i significati che portava con sé. Su tutto e tutti trionfava la totale antitesi al reale, la negazione dei pilastri logici su cui poggiava soprattutto la società di quegli anni, l'America uscita trionfante dal secondo conflitto mondiale, così borghese, perbenista e sterile nell'animo. Il fatto più sorprendente è che all'inizio era proprio lei, Alice, ad esserne simbolo, con il suo fare saccente e pettegolo, il suo ossessivo rifiuto di un'instabilità che invece la avvolgeva, la stritolava, la rendeva naufraga dentro un contenitore in cui nulla aveva più senso. In quel film, ogni elemento della vita a lei nota viene deformato, distrutto e ricostruito a mo' di burla o di trasfigurazione. Non vi erano certezze in quell'universo, né per la protagonista né per il pubblico, la dimensione spazio-temporale perdeva di significato, così come tutto ciò che conoscevamo del mondo da noi definito reale.
I 10 film di Walt Disney meno conosciuti, ma da vedere assolutamente
La rappresentazione di una società totalitarista ed intollerante
Grazie all'animazione sontuosa della Disney, alla bellissima colonna sonora di Oliver Wallace, Alice nel Paese delle Meraviglie era soprattutto un'avventura visiva e ontologica nel surrealismo, nella psichedelia, nella negazione del razionalismo in quanto sterilità dell'animo.
Certo, il viaggio è pericoloso e pieno di sofferenza per Alice, che si trova a tu per tu con creature da incubo, con un clima che apparentemente pare senza pietà, per il suo corpo e per la sua psiche. Ma è solo un'illusione, è solo la barriera da superare per arrivare alla verità: esiste un mondo del non-senso che è più sensato di quello che noi reputiamo tale.
Il tutto senza dimenticare gli enormi significati politici di quel film, con il più forte che schiacciava il più debole, con la simbologia del totalitarismo, i predatori descritti come seduttori di ignare folle (le ostrichette curiose) o vanesi egocentrici armati di una spietata volontà.
Il Tricheco, la Regina di Cuori, Biagio Lucertola, Libeccio, i fiori altro non erano che la rappresentazione più ultima del male, dell'intolleranza e odio verso il diverso che dai tempi dell'epoca Vittoriana, avevano insanguinato il mondo.
Ma vi era anche il materializzarsi visivo dell'inconscio, di quella violenza in esso seppellita che animava l'identità di un paese che proprio in quegli anni era strangolato dal Maccartismo.
Il film d'animazione ebbe forse il difetto di rendere il personaggio più interessante, lo Stregatto, quasi una sorta di disinteressato clown, a dispetto della sua natura filosofica e mitologica, del suo muoversi con passo prismatico nell'iter.
Tuttavia, non si può negare che ancora oggi, il film sia ricordato come uno dei più disturbanti, allucinati e inquietanti film d'animazione di sempre, il che poi forse spiega perché si dovette attendere così tanto per vederlo rivalutare.
La riscoperta negli anni della contestazione
Alla fin fine, quel viaggio di Alice, quella ricerca del Bianconiglio, non fu molto apprezzato dalla critica dell'epoca, che si concentrò più sulle differenze rispetto all'opera di Carroll, che sul geniale intreccio che quel film aveva offerto al pubblico. Non erano ancora pronti per un film così innovativo. Fu infine ai tempi della contestazione, nel 1968, che Alice nel Paese delle Meraviglie conobbe una seconda giovinezza, venendo preso ad esempio e modello, dalle nuove generazioni, che in esso videro un'opera di rottura verso l'ordine costituito, una metafora della ribellione giovanile verso lo sterile mondo dei padri. La Disney non gradì molto, soprattutto per ciò che riguardava la connessione tra il viaggio di Alice e l'uso di droghe, tanto che l'opera finì addirittura al centro di dibattiti inerenti la psichedelia, con la controcultura che fece sua l'eredità di quel film così disallineato rispetto all'America degli anni '50. Il dibattito è acceso in merito da decenni, e non è privo di fondamento, soprattutto in relazione con i disturbi di cui soffriva Carroll, affetto probabilmente da emicrania con aura, così come con il suo stile di vita che nell'Inghilterra vittoriana era definito come bizzarro e anticonformista. Di certo, non si può negare che a più di 70 anni, questo film d'animazione abbia acquisito sempre più importanza, attualità e potenza evocativa, quasi ingannando il tempo, le mode, i cambiamenti della società. Lo ha fatto parlandoci dell'isolamento dell'individuo, della mancanza di un senso ultimo delle cose o meglio ancora della sua essenza nascosta dentro il sogno, dell'essenziale che è invisibile agli occhi, di come il non-senso sia una risorsa incredibile per arrivare alla verità ultima.