Come si fa a essere felici? A cosa serve il dolore? La religione ci aiuta davvero? Una semplice domanda non è per forza una domanda semplice. È una differenza sottile ma sostanziale. Una sfumatura su cui Alessandro Cattelan ha costruito il suo esordio su Netflix. Alessandro Cattelan - Una semplice domanda parte da profondi quesisti esistenziali a cui è impossibile dare risposte. E il bello di questa docu-serie di 6 episodi (da circa mezz'ora l'uno) è che non ha questa pretesa. Svuotato di presunzione ma consapevole del suo ego da mettere alla prova, Alessandro Cattelan continua a mettersi alla prova esplorando cose nuove lontano dalla sua comfort zone. Dopo l'addio a Sky e l'esperienza in Rai, eccolo approdare su Netflix come autore di se stesso in questa strana chimera. Non certo una serie tv, non proprio un documentario, non del tutto semplici interviste, ma una summa di tutto questo.
Un mix intrigante, non sempre dosato e riuscito alla perfezione, ma capace di passare dalla battuta ironica alla riflessione esistenziale da un momento all'altro. Perciò preparatevi al retrogusto agrodolce in questo show insolito. Ne abbiamo parlato direttamente con Alessandro Cattelan. Ovviamente a suon di semplici domande.
La video intervista ad Alessandro Cattelan
La sindrome dell'Impostore
Ogni format ha la sua struttura. Alessandro Cattelan: una semplice domanda sembra averne una prestabilita, salvo poi rimescolare sempre le carte in tavola. L'idea è questa: partire da una domanda e poi andare a caccia di risposte intervistando una figura più o meno legata a quel tema. E così ecco Roberto Baggio che racconta la sua idea di felicità, Paolo Sorrentino alle prese con il concetto di religione e Gianluca Vialli che ci parla di dolore. Al fianco di queste chiacchierate spontanee (e consapevoli che spontanee per davvero non potrebbero esserlo mai) Alessandro Cattelan si mette a nudo con le sue insicurezze e i suoi dilemmi più intimi. Perché, sì, persino lo showman più apprezzato della tv italiana ha dei turbamenti. Un pretesto semplice (ma non banale) per scardinare una volta per tutta il delirio egocentrico dei nostri tempi. Cattelan ha l'onestà intellettuale di mettersi in discussione, parlando persino della Sindrome dell'Impostore. Perché che senso ha essere famoso per gente che non conosci? Quanto è giusto fare qualcosa soprattutto per piacere agli altri? Tutte domande che rimangono sullo stomaco. Indigeste ma di vitale importanza per diventare per lo meno consapevoli.
EPCC di Alessandro Cattelan e la televisione specchio della realtà
Fuori dalla comfort zone
Per stanare il proprio Ego e smussarne gli angoli, serve fare soprattutto una cosa: muoversi, uscire dal proprio recinto e scendere dalle torri in cui ci rintaniamo assieme alle nostre presunte sicurezze. Da questo punto di vista lo show di Cattelan è una bella boccata d'ossigeno, perché si sposa a meraviglia con lo spirito curioso di un uomo affamato di storie altrui. Grazie ad anni e anni di interviste, Cattelan ha la grande capacità di mettere ogni interlocutore a proprio agio e di instaurare subito un legame intimo a suon sorrisi, battute ben piazzate e qualche stoccata che ogni tanto affonda il colpo quando meno te lo aspetti. Per quanto la costruzione del format sia lampante (e dichiarata in apertura del primo episodio) l'effetto è quello di una naturalezza calcolata molto piacevole, con le "interviste" che diventano subito chiacchierate tra amici davanti a una birra o a un caffè. E non è un caso che ogni episodio si beva in sorso.