Non è da tutti riuscire a far fermare il Festival di Sanremo. È qualcosa che possono fare solo i grandi. Alberto Tomba ci è riuscito. Era il 1988, sabato sera: mentre all'Ariston andava in scena il Festival della Canzone Italiana, a Calgary, in Canada, era mattina, e si stava svolgendo la prova di slalom speciale le Olimpiadi invernali. E così il Festival si fermò per far seguire a tutti, in diretta, la seconda manche di Tomba: fu medaglia d'oro, la seconda di quelle Olimpiadi. C'è anche questo momento nel bel documentario che vi raccontiamo nella recensione di Alberto Tomba: Vincere in salita, di Tommaso Deboni, che trovate in streaming su Netflix. Un documentario da vedere, perché ricostruisce la carriera di un campione unico come Alberto Tomba e, allo stesso tempo, ci mostra Alberto com'è oggi, e la sua passione per l'alpinismo. È la storia di un campione diverso dagli altri che, più di trent'anni fa, ha conquistato l'Italia da nord a sud e ha fatto appassionare tutti allo sci. Alla fine degli anni Ottanta, in Italia, a qualsiasi latitudine, tutti sapevano e parlavano di sci, discutevano di intermedio e di inforcate. E tutti, la domenica mattina, guardavano le gare della Coppa del Mondo.
Quello slalom parallelo di Natale del 1984
Alberto Tomba: Vincere in salita inizia dalla fine, dalla passione di Alberto Tomba di oggi. Dallo sci alpino è passato all'alpinismo, alla scalata dei monti innevati con gli sci. Pensateci: cambia tutto. Uno è discesa, velocità, riflessi. L'altro è salita, resistenza, pazienza. Quel "vincere in salita" di cui parla il titolo è ovviamente una metafora: perché Alberto Tomba, per farsi strada nello sci, ha dovuto sempre combattere contro tutto e tutti, perché era qualcosa di diverso. E perché si vince in salita, cioè grazie agli allenamenti. Pensiamo a quello slalom parallelo di Natale del 1984, in cui un diciottenne Alberto Tomba, ancora in squadra B, batte tutti i più forti e, alla fine, vince anche sul numero uno, Roberto Erlacher. Un bolognese che batte tutti gli azzurri della squadra A, un cittadino che va più forte di tutti gli atleti di montagna. Alberto Tomba era una sorpresa per tutti, uno che arriva dalla pianura e che vince dove una volta vincevano i montanari. Loro erano chiusi, parlavano tra loro in tedesco. Alberto era un tipo espansivo, comunicativo. Era un'altra storia. Un personaggio fuori dagli schemi.
The Last Dance, la recensione: Signore e signori, Michael Jordan e gli dei del basket
Delle gambe che sono una cosa mai vista
Ma Alberto Tomba era diverso anche tecnicamente. Sciava in modo diverso da come si faceva allora. Aveva una forza esplosiva, una velocità senza pari. "Ha delle gambe che sono una cosa mai vista", diceva di lui Giorgio D'Urbano, il preparatore atletico, come racconta il pallavolista Ivan Zaytsev. Aveva dei difetti, in gigante spesso arretrava, ma compensava con una potenza unica. Era un Ufo che è arrivato sul pianeta sci da un altro mondo. Guardando le sue gare, abbiamo visto cose che voi umani non potete nemmeno immaginare: rientrare in traiettoria dopo essere praticamente uscito, con un colpo di reni, o rialzarsi, e andare a vincere, dopo essere caduto.
27 novembre 1987: inizia la leggenda
La storia raccontata in questo documentario è una storia di trionfi e di battute d'arresto, dove i primi sono molti di più delle seconde, in una carriera durata 12 anni, ad altissimi livelli. Da quello slalom parallelo di Natale la carriera è continuata con il bronzo ai mondiali a Crans Montana in gigante. Ma è l'anno dopo che Alberto Tomba esplode. Dal 27 novembre 1987 inizia a vincere in slalom speciale in Coppa del Mondo. Due giorni dopo vince in gigante. Non si sarebbe più fermato. Ai mondiali di Vail, in Colorado, nel 1989, non si ripete, non vince nessuna medaglia. Alterna grandi annate ad altre in cui vince di meno, ma è sempre tra i protagonisti. Trova sulla sua strada grandi rivali: Marc Girardelli, Pirmin Zurbriggen, anche il carneade americano Paul Accola che, in una stagione, le azzecca tutte.
Mi chiamo Francesco Totti, la recensione: È il nostro The Last Dance
La chimera: la Coppa Del Mondo
E proprio questi sciatori sono stati il principale degli ostacoli verso la conquista di quella che è stata a lungo la sua chimera, la Coppa del Mondo. Non le coppe di specialità, quella generale. Tomba faceva solo due specialità, slalom speciale e gigante, mentre gli altri facevano anche super g, discesa libera e combinata. Così Zurbriggen e Girardelli, che facevano tutte le specialità, e facevano gare oculate per fare i piazzamenti e prendere punti, spesso lo superavano. Ma, anche per Tomba, arriva il momento di sfatare il mito: è la stagione 1994-95, quella delle 11 gare vinte in serie, la stagione in cui Tomba è imbattibile. È la stagione più bella insieme a quella del 1988, e arriva la Coppa del Mondo assoluta. Finalmente la chimera era stata raggiunta. Nel 1996, in Sierra Nevada, arrivano ancora due ori ai mondiali. E il 16 marzo 1998, a Crans Montana, arriva l'ultimo slalom vinto anche per suo nonno, che era appena scomparso. E poi il ritiro.
Quella sera a Sanremo
Quella sera a Sanremo, nel 1988, in cui Miguel Bosé e Gabriella Carlucci annunciano che fermeranno il Festival, non è un fatto banale. È una metafora che spiega chi era in quegli anni Alberto Tomba. Pur a distanza di migliaia di chilometri, pur sulle nevi del Canada, Alberto Tomba vince anche sul palco dell'Ariston. È un segno del suo essere una star globale, uomo di spettacolo e non solo di sport, personaggio capace di uscire dal circuito bianco dello sci ed arrivare ovunque. Quella di Alberto Tomba è anche la storia di una passione, come quella del fan club di Castel De' Britti che lo seguiva in tutto il mondo: quelli che a Calgary ci arrivarono in aereo, ma non di linea, con un cargo. Quel signore che a ogni gara arrivava con il tartufo, e che Tomba trovava in mezzo alla folla. Alberto Tomba vinceva per sé, certo, ma vinceva per tutti loro.
Underwater: Federica Pellegrini, la recensione: La divina, la donna e l'atleta
Alberto racconta se stesso nel suo ambiente naturale
Alberto Tomba: Vincere in salita, a livello di racconto, fa una scelta non banale. In un cinema sportivo che alterna le immagini di repertorio alle interviste in spazi chiusi, questo documentario sceglie di riprendere Alberto Tomba, per l'intervista principale, in alta montagna. Così Alberto racconta se stesso nel suo ambiente naturale. A volta da fermo, scrutando l'orizzonte. A volta in movimento, mentre scala le montagne, anche con un po' di fiatone. Perché la fatica è parte integrante di ogni successo. Se qualche piccolo difetto si può trovare al film, forse servirebbe qualche grafica in più per riassumere, accanto ai luoghi minuziosamente appuntati di ogni gara, anche gli anni e le medaglie, o le coppe, vinte. Ma sono dettagli.
Alberto Tomba era cinema, era un continuo thriller
Tra le cose che vediamo c'è un curioso spot della Barilla che richiama il cinema di James Bond, con tanto della musica di John Barry e Monthy Norman, e Alberto che indossa lo smoking sotto la tuta da sci. Ma Alberto Tomba era continuamente cinema. Le rimonte erano il suo forte: niente era mai perduto dopo una prima manche sbagliata. Alberto Tomba era un atleta cinematografico. Ogni gara era un film, era un thriller, perché in ogni discesa c'era suspense. Quello di Alberto Tomba era un mondo dove ogni cosa era possibile.
Conclusioni
Come vi abbiamo spiegato nella recensione di Alberto Tomba: Vincere in salita, il documentario racconta la storia di un campione diverso dagli altri che, più di trent'anni fa, ha conquistato l'Italia da nord a sud e ha fatto appassionare tutti allo sci.
Perché ci piace
- La storia di un campione unico come Alberto Tomba.
- La forte personalità del protagonista, sempre sincero e comunicativo.
- La scelta di partire dall'Alberto di oggi, e di riprenderlo in montagna, il suo ambiente naturale.
Cosa non va
- Qualche didascalia in più, a ricostruire le date e le vittorie, oltre ai luoghi, sarebbe stata utile.