Alain Delon: faccia d'angelo a Locarno

La nostra intervista al divo europeo più amato dalle donne per lo sguardo ammaliante e la natura ribelle.

Come sostiene il direttore del Locarno Film Festival Olivier Pere, è difficile trovare un attore che meriti lo status di star più di Alain Delon. Il divo francese con gli occhi color del mare ha avuto una carriera assai prolifica e ha lavorato con alcuni dei registi più importanti della storia del cinema. Da Visconti ad Antonioni, da Losey a Godard, passando per Melville e Zurlini, nessuno come Delon è stato in grado di impersonificare la vera arte cinematografica infragendo il cuore di generazioni di donne in tutto il mondo. Classe 1935, un'adolescenza turbolenta alle spalle che lo ha segnato aiutandolo a interpretare gli affascinanti delinquenti che lo hanno reso celebre - non per nulla i ruoli per cui lo ricordiamo con maggior fervore sono quello del bandito marsigliese Roch Siffredi, protagonista di Borsalino, e di Frank Costello nel polar Frank Costello faccia d'angelo di Melville - lo schivo Delon arriva a Locarno per celebrare la sua arte con il Lifetime Achievement Award. Sempre affascinante, malgrado l'età che avanza, Delon arriva e intima subito il silenzio esclamando scherzosamente "So che con voi giornalisti non parleremo di cinema. Però se volete potete anche dormicchiare".

Alain, cosa pensi del cinema di oggi?
Alain Delon: Una volta si andava al cinema per sognare. Oggi non si sogna più, ma di recente ho visto un film in cui mi sarebbe piaciuto recitare, Quasi amici. Avrei voluto interpretare il disabile, ma nessuno ha avuto il coraggio di chiedermelo.

Quando hai deciso di diventare attore?
Una volta ho avuto occasione di vedere Sacha Guitry in Deburau. Non ero certo di cosa volevo fare nella vita, ero appena uscito dall'esercito e non avevo una formazione attoriale, ma quel film mi ha convinto.

Perché nella tua carriera hai interpretato poche commedie?
Perché non era il mio stile. Quando recitavo con Belmondo c'era una scena in cui lui passava davanti a una finestra e tutti ridevano. Quando passo io tutti erano seri. Ho una cattiva reputazione, così ho lasciato la commedia a Belmondo. Nel caso di Asterix alle olimpiadi, però, ho fatto un'eccezione.

Ieri sera hai dichiarato che non ami questo premio alla carriera che Locarno ti ha tributato e che ti sembra un premio da piede nella fossa. Hai paura di invecchiare?
No, non ho paura della vecchiaia, ma della malattia e dell'infermità. Non vorrei mai mostrarmi al pubblico che mi ha conosciuto e che mi ha amato indebolito o malato.

Cosa pensi della situazione politica francese?
Io sono amico personale di Sarkozy, sono sempre stato un uomo di destra e lo sapete tutti, ma non mi piace la politica. L'unica cosa che posso dire è che le uniche due categorie che non vanno mai in pensione sono i politici e gli attori.

Cosa ricordi della collaborazione con Luchino Visconti?
I miei rapporti con Visconti erano di grande rispetto, attenzione, sottomissione. Lui era un grande maestro e io mi sentivo in imbarazzo di fronte a lui. Prima di Visconti avevo lavorato con René Clément in Delitto in pieno sole. Visconti ha visto il film e ha detto: "Voglio quel ragazzo". Il periodo italiano per me è stato splendido, il cinema di oggi davvero non è la stessa cosa.

E il rapporto con Melville?
Il mio lavoro con Melville è paragonabile con quello di Visconti e Antonioni. Anche lui mi ha visto lavorare al cinema e mi ha scelto. Contrariamente a quanto dice la gente, non sono un attore difficile. Lo sono solo con gli imbecilli, ma con i grandi funziono perfettamente. Nel film di Melville tutti i vestiti e gli accessori che usavo erano dello stesso Melville. Quando mi trovo a lavorare con un regista che non sa dove mettere la macchina da presa, che è insicuro e non sa fare il suo lavoro mi innervosisco. I grandi registi sono estremamente precisi, dirigono l'attore, gli spiegano per filo e per segno cosa deve fare. Poi si mettono dietro la macchina da presa e diventano registi. Oggi ci sono pochi autori con questa visione.

Perché hai rinunciato a recitare in Vendicami, omaggio a Melville diretto da JohnnyTo?
Io ho rifiutato il film perché non mi piaceva la storia. Alla fine lo ha interpretato Johnny Hallyday, ma non mi pare che sia stato un gran successo. Però mi piace molto Johnnie To. Se domani arrivasse da me con un grande soggetto accetterei subito di lavorare con lui.

Il lavoro del regista per te è molto importante e lo hai sempre valorizzato.
Sì, questo però è accaduto nella seconda parte della mia carriera e non all'inizio. Io sono un tipo istintivo. Per esempio per me Clement è von Karajan e io sono un primo violino. E' il regista che conta, non l'attore, che è uno stumento nelle sue mani. Oggi elencare dieci registi validi è difficile.

Molti tuoi film contengono echi della tragedia greca.
La mia vita è stata piuttosto tragica fin quando ho iniziato a fare il cinema perciò ho trasposto la mia sofferenza nell'arte. Ho conosciuto il pericolo, ho fatto la guerra in Indocina, poi il cinema è venuto a cercarmi. Io non ero nato per fare cinema, nessuno dei miei familiari conosceva qualcuno che lavorasse nel cinema. E' stato il mestiere che mi ha chiamato a sé.

Metteresti a disposizione la tua intelligenza per produrre film?
In realtà ho già prodotto molti film, più di trenta, a partire dagli anni '60. Ora è un po' troppo tardi perché mi sto dirigendo a grandi passi verso la fine.

In quale dei personaggi che hai interpretato ti identifichi di più?
Non ce n'è uno solo, potrei dire Rocco, potrei dire quello de Il gattopardo o La piscina. Sono tutti nel mio cuore. Mi hanno chiesto se mi manca il cinema. Non mi manca perché ho avuto tutto, ho conosciuto tutto, ho sperimentato tutto. Il cinema manca a chi non ha avuto l'occasione di conoscere tutto, ma io preferisco vivere con i ricordi che ho piuttosto che fare altro.

Quale è la differenza tra l'industria americana e quella europea?
Davanti a una macchina da presa non c'è alcuna differenza. Io amo la macchina da presa e credo che sia reciproco. Mi hanno proposto di fare due film negli Stati Uniti e gli americani desideravano che restassi in America. Io però non vivevo bene là, mi mancava troppo Parigi. Mi sarebbe piaciuto lavorare con Sam Peckinpah, ma non volevo stare lì perciò ci ho vissuto solo due anni.

Hai lavorato due volte con Burt Lancaster, in America e in Europa. Che esperienza hai vissuto con lui?
Recitare con lui è stato come recitare con Jean Gabin. Erano i miei maestri e i miei idoli. Ho amato anche John Garfield che ha fatto le stesse cose di Marlon Brando vent'anni prima. Mi sarebbe anche piaciuto lavorare con Brando, anche in un ruolo molto piccolo, ma non c'è mai stata l'occasione.

Hai dei rimpianti rispetto alla tua carriera?
Una cosa mi manca: vorrei fare un film in Cina e uno in Giappone, ma non mi è mai capitato. Fate presto perché non c'è molto tempo. Qualche anno fa Johnnie To preparava un film in Francia e voleva incontrarmi. Sono andato a trovarlo in hotel e lui era impegnato in una conferenza stampa. L'ha interrotta, mi ha fatto entrare, mi è corso incontro e si è inginocchiato ringraziandomi per la mia carriera. So che verrà a Locarno nei prossimi giorni, perciò ditegli che ho parlato di lui.

Quale ruolo ti piacerebbe interpretare?
Qualsiasi ruolo, basta che sia buono.

Abbiamo parlato dei tuoi colleghi maschi. E tra le donne quali ammiri di più?
E' una domanda molto difficile. Per prima non posso che citare Romy Schneider e poi ho sempre amato molto Shirley Maclaine. Devo loro molto, ma oggi come oggi non riesco più a guardare un film come La piscina, dove recitavo con Romy, perché mi fa troppo male.