After Work, la recensione: fenomenologia del post-lavoro

La recensione di After Work, il documentario con cui Erik Gandini prova a immaginare una società post-lavorativa. Cosa faremo quando il nostro lavoro sarà completamente sostituito dalle macchine?

After Work, la recensione: fenomenologia del post-lavoro

Un androide comodamente seduto in riva al mare, con un libro in mano e un paio di cuffie in testa. Ha qualcosa di sublime e insieme inquietante l'immagine scelta per la locandina del nuovo film di Erik Gandini, ironia affilata e sguardo curioso nell'indagare le crisi del reale e mostrarne i possibili risvolti oscuri. Se il suo precedente documentario Videocracy metteva alla berlina il modello della tv commerciale in Italia legandolo indissolubilmente alla figura di Silvio Berlusconi, qui l'oggetto di riflessione è un futuro prossimo quando le macchine sostituiranno la maggior parte dei lavori umani. Nella recensione di After work proveremo ad analizzare la narrazione quasi distopica di Gandini, in bilico tra un presente frammentario e un domani incerto. In sala dal 15 giugno After Work non si accontenta di fotografare il contemporaneo, ma va oltre: decostruisce modelli e certezze, pone questioni cruciali che rimangono senza risposta, fa della provocazione il suo baricentro e catapulta lo spettatore in un mondo libero dal lavoro partendo da una domanda: cosa faremo quando non dovremo più lavorare?

C'è vita dopo il lavoro?

Non un pamphlet di sociologia, né l'ennesima riflessione sull'impatto massivo delle nuove tecnologie: se ne occupa già abbastanza l'attuale dibattito sul futuro del lavoro, alle prese con Intelligenze Artificiali sempre più performanti e un'automazione crescente. A Erik Gandini questa prospettiva non interessa, quello che invece fa con After Work è spingere lo sguardo oltre per esplorare il fenomeno da una prospettiva squisitamente umana ed esistenziale fino a chiedersi come possa essere una società "post-lavorativa". E parte da un dato di fatto: viviamo in una società dominata da un'etica del lavoro di stampo calvinista, in cui la certezza della salvezza passa per la necessità di "lavorare come un dannato", dall'"ansia teologica della dannazione" come la definisce la filosofa Elizabeth S. Anderson, una delle voci interpellate dal documentario. Ci viene insegnato fin dall'infanzia ad essere competitivi e orientati al risultato, il lavoro definisce le nostre identità, ma i dati ci dicono che nei prossimi quindici anni l'intelligenza artificiale potrebbe rimpiazzare la maggior parte dei lavori esistenti oggi.

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After Work: una scena del film

È qui che si inserisce la narrazione di Gandini, che prova a immaginare una ridefinizione del ruolo del lavoro nelle nostre vite davanti alla prospettiva di un'era di disoccupati tecnologici in cui i posti di lavoro diminuiranno in maniera costante. È possibile immaginare un mondo senza lavoro? O quantomeno affrancato dall'ideologia del workismo, dello "stakanovismo performativo" e dalla convinzione radicata che il lavoro debba essere il centro delle nostre esistenze, oltre il quale non esistono uno spazio e un tempo dello svago se non nella misura di piccoli ritagli? Il regista prova a esplorare le implicazioni umane di questa possibilità attraverso le testimonianze dirette di storie diverse provenienti dai quattro angoli del mondo: Kuwait, Corea del Sud, Usa e Italia. A fare da Virgilio la voce di Noam Chomsky, insieme a quelle di altri sociologi e filosofi.

Dalla Corea al modello americano: il lavoro come fulcro delle nostre vite

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After Work: una scena del film

Erik Gandini cerca le risposte in modelli molto distanti tra loro e costruisce un dibattito che moltiplica gli interrogativi e i mondi possibili, smontando l'etica del lavoro su cui le società moderne hanno istituito la cultura del "più è meglio". A partire dalla Corea del Sud dove il lavoro è diventata una delle principali cause del calo delle nascite, dell'alto tasso di suicidi e di rischio per la salute. A tal punto da spingere il ministro del Lavoro Kim Joung Jo a istituire il "Diritto al riposo", che riduce la settimana lavorativa da 68 ore a un massimo di 52, e a promuovere iniziative per far lavorare meno le persone come quella del "Pc-Off", che obbliga tutti i principali luoghi di lavoro a spegnere automaticamente i computer alle 18. E non mancano campagne pubblicitarie che dispensano consigli su tutte le attività alternative al lavoro a cui ci si potrebbe dedicare invece di attardarsi in ufficio.

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After Work: una scena del film

Una carrellata di testimonianze che trova la sua sintesi perfetta nell'immagine di una giovane donna seduta accanto all'anziano padre incollato alla scrivania davanti al Pc: "Mio padre non ha niente oltre al lavoro, è la sua identità", dice. Sgobbare fino a quattrodici ore al giorno non gli pesa, anzi lo rende felice, lo ha fatto per la sua famiglia e quella è l'unica forma di gratificazione che conosce, gli riempie la vita di senso. E non va meglio negli Stati Uniti, la "No Vacation Nation", dove nel 2018 i lavoratori hanno rinunciato a ben 578 milioni di ore di ferie, in nome del "superlavoro". "Sono così occupato... ho un sacco di cose da fare" è il mantra ricorrente in una società in cui lavorare è al centro di tutto e dove, in un'ipotetica scala delle qualità richieste a un lavoratore, l'etica dell'assiduità e dell'ambizione ha la meglio sull'istruzione. Gli imperativi sono efficienza ed engagement a prescindere da ciò che si fa, confessa Pa Sinyan, manager di Gallup che non esita a individuare in Hitler "il leader più efficiente al mondo".

L'AI come opportunità per riscoprire le proprie passioni

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After Work: una scena del film

Il lavoro come schiavitù modernizzata: ma cosa succederà quando le macchine sostituiranno l'uomo? Se lo chiede anche Elon Musk: "Molte persone trovano il loro scopo nel lavoro. Dove troveranno uno scopo senza un lavoro?". Forse, come spiega Chomsky qualche sequenza prima, la tecnologia potrebbe rappresentare al contrario la possibilità di riconquistare uno spazio di libertà e creatività perduta: "Può liberare da lavori noiosi e stupidi e permettere alle persone di dedicarsi a lavori più creativi". Non sembra essere un problema invece per la ricca ereditiera Rory, che di lavorare non ha bisogno e per non annoiarsi cerca sempre qualcosa da fare: "Si pensa spesso che la gente ricca si annoi, io non mi annoio mai".

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After Work: una scena del film

Una coralità di voci e esperienze fino al Kuwait dove la maggior parte delle persone che lavorano, sono impiegati pubblici: la presenza del petrolio ha favorito lo sviluppo di un modello lavorativo tale per cui il settore pubblico è caratterizzato da un notevole esubero di personale per assenza di compiti da svolgere, ma ai cittadini invece di lavorare meno viene chiesto di far finta di lavorare in cambio di un reddito garantito. E se il segreto abitasse nella possibilità di riscoprire lo spazio dello svago e rivalutare la concezione del tempo? Qual è il nostro scopo sulla terra? Cosa faremmo se avessimo tutti un reddito base? La risposta è un silenzio assordante adagiato sui volti dei protagonisti contriti in un grande interrogativo.

Conclusioni

Come già ampiamente detto nella recensione di After Work, Erik Gandini non si accontenta di fotografare il contemporaneo, ma va oltre decostruendo modelli e certezze, ponendo questioni cruciali che rimangono senza risposta, a partire dalla domanda sul nostro futuro lavorativo: cosa faremo quando non dovremo più lavorare? La provocazione e l'ironia tagliente rimangono il baricentro della narrazione.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.4/5

Perché ci piace

  • Un viaggio in giro per il mondo per analizzare l’etica del lavoro e immaginare una società post-lavorativa.
  • Una struttura a tesi che propone un approccio esistenziale e umano.
  • Una narrazione dai tratti distopici su un futuro che forse stiamo già vivendo.

Cosa non va

  • Non sempre il ritmo sarà in grado di mantenere alta l'attenzione dello spettatore. Non aspettatevi risposte.