A scuola tra i filari
Max vive a Londra e lavora nella city. E' uno squalo della finanza, incurante di essere additato come uno spregiudicato, insensibile bastardo da chiunque lo conosca.
Il giorno in cui conduce con successo un'audace manovra finanziaria, viene raggiunto dalla notizia che lo zio Henry è morto. In qualità di unico erede dovrà recarsi in Provenza, a prendere possesso della tenuta e dei vigneti ereditati.
Per una serie di eventi fortuiti sarà trattenuto in Francia, mentre in patria sarà temporaneamente sospeso dall'incarico a causa di operazioni finanziarie illecite.
La permanenza provenzale gli penetrerà ogni giorno di più sotto pelle, fino ad innamorarsi della bella proprietaria del ristorante del paese e iniziare a pensare ad una nuova vita lontano dai grigiori d'oltre Manica.
In tandem con Marc Klein, Ridley Scott gira, produce ed adatta al grande schermo il best-seller di Peter Mayle, sua vecchia conoscenza dai tempi degli spot pubblicitari in BBC. Sceglie ancora Russel Crowe come protagonista, convertendolo stavolta in attore comico, dimenticando antichi fasti da "gladiatore". Un'affascinante vicenda di vini misteriosi ed ariose tradizioni francesi, supportate dalle romantiche musiche di Marc Streitenfeld, gettonatissimo nell'ultima Hollywood sono il pretesto per fare un film in cui "un inglese parla dei francesi, per come gli inglesi pensano che i francesi siano".
Risultato: una deludente vicenda in cui il talento di Scott è buttato alle ortiche nel tentativo di rendere divertente Crowe come mettendo un tutù ad un orso bruno. Goffo ed impacciato in scene fantozziane, guidando spericolato una SMART o annaspando in una piscina fangosa, l'appesantito giuggiolone australiano fa dimenticare in fretta l'Oscar per A Beautiful Mind ed ogni altra positiva prova d'attore, abbandonandosi ad un'irritante macchietta offensiva per qualunque inglese della city o francese vinaiolo.
L'adattamento dal libro non approfondisce i misteri del "vin du garage" che si sospetta essere prodotto in segreto a La Siroque, limitando la vicenda ad una stucchevole storia d'amore alquanto banalotta: lei ritrosa e bellissima lo detesta, ma finisce per esserne affascinata. Perde pertanto smalto anche l'interpretazione di Albert Finney/Zio Henry che compare in numerosi flash-back come vecchio saggio che ritorna a guidare i passi dello scellerato "Maximilione" sulla retta via.
A corollario, fascinose interpreti femminili di tiepido impatto.
Per fortuna ci pensa lo scenario di filari di viti e castelli retrò a consolare lo spettatore che farà fatica a riconoscere in questo educato narratore, il geniale autore di Blade runner e Alien. Meglio dire addio a forti sentimenti senza sperare in sconvolgimenti emotivi ed abbandonarsi ad una patinata commediola buonista, in cui il cattivo torna buono e rinuncia a cifre milionarie in cambio di una solare squattrinata francesina.
E se la mente torna a quel Io ballo da sola non appena fa capolino sullo schermo la cugina americana in shorts e sacco a pelo, non si può evitare di fare il tifo per l'unico personaggio autentico: la perfida segretaria di Max, spegiudicata e concreta a partire dal linguaggio colorito e dai consigli politically incorrect che elargisce a tempo debito al suo capo come una viscerale coscienza maligna.