A Different Man, recensione: un elegante j'accuse all'opportunismo umano (e artistico)

Una sceneggiatura di marmo che riflette sul concetto di identità, ramificandosi verso le tipiche tonalità di un nevrotico dramedy newyorkse. Dirige Aaron Schimberg. Sebastian Stan fuoriclasse. Al cinema dal 20 marzo.

I 'due' Sebastian Stan nell'artwork di A Different Man

L'ipocrisia, l'opportunismo artistico, il senso stesso della nostra identità, oltre ogni ingannevole apparenza. Senza essere mai ridondante, ma anzi sfruttando con dovere e intelligenza lo spazio cinematografico (mettendo sullo stesso piano immagini e parole), Aaron Schimberg scrive e dirige A Different Man, un altro dei riuscitissimi titoli A24 (ormai brand mondiale), nonché un altro esempio di quanto Sebastian Stan sia, attualmente, tra i migliori attori contemporanei.

A Different Man
Sebastian Stan in A Different Man

Attore sublime, estremo nelle sue scelte: dopo la Marvel, Stan ha intrapreso un percorso di liberazione professionale non indifferente. Nemmeno a dirlo, valore aggiunto del film. Rimbalzato da un festival all'altro - dal Sundance a Berlino -, A Different Man di Schimberg (al terzo lungometraggio) contrappone l'ineluttabilità di uno sguardo con le vanesie peculiarità degli esseri umani (indagando l'elemento stesso del mostro agli occhi della società), agganciandosi ad una sceneggiatura marmorea, elegante, ed efficace nelle sue ramificazioni tonali.

A Different Man: il valore della faccia

In una New York dipinta dal DOP Wyatt Garfield come se fosse quella del miglior Woody Allen (che incontra Noah Baumbach) si aggira Edward, con il sogno di fare l'attore. Ma se un attore lavora con la faccia, la sua è oltremodo caratterizzante essendo afflitto e marcatamente condizionato da una neurofibromatosi che gli ha scombussolato i connotati. Gli unici ruoli che trova sono quelli per scadenti spot di sensibilizzazione. Parla poco, dorme male e vive da solo in un appartamento disordinato come il suo viso. Abituato ad essere considerato un freak, si avvicina alla dirimpettaia Ingrid (Renate Reinsve) che, guarda caso, scrive opere teatrali.

Renate Reinsve Sebastian Stan In A Different Man
Renate Reinsve e un irriconoscibile Sebastian Stan

Conscio di non avere possibilità con la drammaturga (che si rivelerà un personaggio terrificante), Edward accetta di sottoporsi ad una cura sperimentale: quando il suo volto torna a respirare, diventando canonico, fingerà in qualche modo di essere un'altra persona (un agente immobiliare playboy), tornando da Ingrid (che non lo riconosce), intanto impegnata a realizzare una pièce off-Broadway proprio su di lui (lo crede morto suicida). Quando ottiene la parte (di se stesso), ecco arrivare Oswald (interpretato da un folgorante Adam Pearson) che, beffardamente, finirà per rubargli il ruolo. Anch'esso afflitto da neurofibromatosi, ha reagito in modo diametralmente opposto, vivendo una vita assolutamente normale, in netto contrasto alla chiusura emotiva di Edward.

Una nevrotica ed elegante commedia newyorkese

Aaron Schimberg sceglie un jazz imprevedibile (colonna sonora firmata da Umberto Smerilli) per addentrarsi nelle nevrosi di un aspirante attore, enfatizzando il concetto di maschera e di metamorfosi. A Different Man è un film di cambiamenti, che riflette sull'impreparazione ad essi: Edward, quando "guarisce", diventerà un'estensione di sé, venendo ingannato da quell'apparenza che ha inseguito per tutta la vita (con omaggi a Dietro la maschera di Bogdanovich e The Elephant Man di Lynch).

A Different Man Scena Film
Adam Pearson in scena

Di contrasto, come detto, c'è il contesto della maschera (la stessa che utilizza poi Edward, modellata sul suo precedente volto), fondamentale per smascherare (appunto) le ipocrisie e il conformismo legato ad un pensiero comune (e quindi anche un pensiero artistico), tanto insensibile quanto opportunistico. Per questo, si rivela nevralgica la figura di Ingrid (la splendida Renate Reinsve continua a riempire la sua filmografia con personaggi diremmo discutibili), innamorata solo di sé e di una scadente imitazione della vita, e trattata dal regista secondo un metro stilistico che resta il più possibile coerente rispetto al linguaggio scelto.

Ovvero, A Different Man, a metà tra l'onirico e il surreale (eppure basato sul concetto della carne come specchio identificativo), ma strutturato come se fosse il più tipico dramedy newyorkese, sposta più e più volte i pensieri che frullano nello script, come quando riflette sul senso interpretativo e sul mestiere dell'attore: una persona colpita da neurofibromatosi dovrebbe essere interpretata effettivamente da qualcuno con la stessa malattia, oppure può essere in qualche modo replicata da un volto, diremmo, normalizzato? Chiaro che le risposte sono sospese, e come in ogni grande film che si rispetti ammiccano al giudizio del pubblico. In mezzo, come se fosse un segnalibro perso tra le pagine, i due atti del film (si compensano a vicenda) allungano e plasmano l'idealizzazione dell'identità, generata da un'apparenza effimera, e per questo soggetta a quei costanti cambiamenti che, a guardar bene, non sono altro che una prospettiva diversa di ciò che siamo sempre stati.

Conclusioni

Aaron Schimberg sviluppa in meno di due ore una sceneggiatura di marmo che riflette sul concetto di identità, legandosi per toni e colori al classico dramedy newyorkese. Il tema del doppio, il tema dell'identità e il gancio dell'opportunismo umano e artistico, per un film di assoluto valore cinematografico. Sebastian Stan sempre più attore fuoriclasse.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • Sebastian Stan è incredibile.
  • Il tono volutamente sfuggente e nevrotico.
  • I colori e la musica.
  • Una certa eleganza.

Cosa non va

  • Forse la seconda parte soffre rispetto alla prima.