L'Italia è un paese in cui dal gioco del calcio non ci si salva, lo abbiamo bene in mente nel produrci nella recensione de Il campione, film d'esordio di Leonardo D'Agostini; fa parte del nostro DNA culturale eppure è un mondo a parte, esagerato, grottesco, spesso incomprensibile a chi, come chi scrive, non è mai riuscita a lasciarsi ammaliare da un colpo di tacco o da una progressione micidiale. Il campione parla di calcio solo tangenzialmente, ma allo stesso tempo ne racconta i paradossi da un'angolazione del tutto inedita, illuminando la solitudine di un ragazzo giovanissimo che, grazie al suo talento, si trova ad essere oggetto di un interesse mortifero, di una tossica e soffocante venerazione.
Perché se quello interpretato, con misura millimetrica, da Stefano Accorsi è un personaggio toccante e ben scritto, ma certamente non rivoluzionario, la sorpresa, la vittoria, la triplete del film di D'Agostini è il suo giovane campione straricco, viziato e scavezzacollo. Se avete sempre guardato con fastidio e disprezzo a queste superstar dai piedi magici e dai capricci insopportabili, preparatevi a riflettere... oltre che a godervi un bel film.
Da Borg McEnroe a I, Tonya: quando il cinema si appassiona ai grandi duelli sportivi
La vocazione dell'insegnante
La trama de Il Campione si apre con Christian Ferro, a vent'anni già idolo della Curva Sud: palleggio da funambolo, visione di gioco geniale, piglio da leader, ma il carattere e la disciplina sono un problema. Il ragazzo ne combina una dopo l'altra, furti, ubriachezza molesta, risse, distruzione di auto di lusso e chi più ne ha più ne metta. Per il presidente della Roma la questione del ritorno di immagine è più importante dei suoi assist e dei suoi gol, e, non essendo riuscito a controllare il suo fuoriclasse con multe, minacce e blandizie, decide di tentare un'alternativa: metterlo sui libri.
Così entra in scena il professor Valerio Fioretti, competente e squattrinato, che, essendo misteriosamente inconsapevole dell'identità del giovane campione e poco sensibile al suo magnetismo e alla sua arroganza, sembra essere l'unico insegnante equipaggiato per l'impresa. A motivarlo, un mensile sostanzioso e un generoso bonus nel caso si riesca a tagliare, a giugno, il traguardo della maturità, ben più remoto di quello dello scudetto. Più difficile è convincere il giovane a concentrarsi su qualcosa che non siano gli schemi di gioco, il divertimento e le belle ragazze, ma il presidente fa sul serio, e dopo la prima domenica in tribuna CF24 si decide a dare una chance al suo aspirante pedagogo; l'ostinato e coscienzioso Fioretti, dal canto suo, trova proprio nell'intelligenza tattica di Christian la chiave per superare i suoi problemi d'apprendimento.
Tra un allenamento e l'altro, tra un trionfo all'Olimpico e un'indagine delle cause della prima guerra mondiale, questi due personaggi che non potrebbero essere più lontani anagraficamente, economicamente ed umanamente, si aprono l'uno all'altro con gradualità e naturalezza, per scoprire di avere qualcosa in comune. Qualcosa di doloroso, oscuro, incomunicabile, che tuttavia ci accomuna tutti: perché se, come sa un bravo insegnante, ognuno impara con i suoi ritmi e i suoi tempi, è anche vero che ognuno guarisce a modo suo dalla stessa ferita.
Il dolore in rimonta
Prodotto da Matteo Rovere e Sydney Sibilia, tra i principali alfieri del cinema italiano giovane, moderno e coraggioso, Il campione gode, soprattutto nella prima parte, di una scrittura fresca e brillante, che sembra avvicinare i personaggi dall'esterno, rispettosa e quasi guardinga, per scoprire la loro fragilità solo quando loro stessi sono pronti a rivelarla l'uno all'altro, e per poi abbracciare con naturalezza toni più drammatici. D'Agostini mette a frutto in maniera eccellente le qualità dei suoi interpreti, utilizzando alla perfezione i magnifici tempi comici di Andrea Carpenzano, la sua capacità di aprire al personaggio profondità vertiginose e dolenti.
Perfettamente in sintonia con il più esperto Stefano Accorsi, il giovane attore romano, dopo averci convinto in un ruolo drammatico nell'ottimo La terra dell'abbastanza, ci conquista senza mezze misure in questo ruolo gustoso e complesso. La sua ironia e il suo autocontrollo, l'umiltà nel rispedire al mittente i paragoni imbarazzanti con attori dal curriculum impressionante, ci sembrano solo ulteriori garanzie del fatto che questo fuoriclasse a ventitré anni la maturità l'ha già conseguita. Non ci resta che accomodarci sulla poltroncina e assistere al contributo radioso che darà al nostro cinema. Insieme, speriamo, a Leonardo D'Agostini.
Conclusioni
Con la nostra recensione de Il campione, abbiamo cercato di incuriosirvi quanto ci ha incuriosito un film che, nella sua prima parte, è scritto con brillantezza e humour e vive di tempi comici felicissimi. Nella seconda, con gradualità e pudore, si apre a toni drammatici e rivela profondità sorprendenti nei personaggi e nelle loro vicende; il resto lo fa la bravura degli interpreti, il veterano Stefano Accorsi misurato e toccante, e Andrea Carpenzano, un giovane attore irresistibile dal futuro luminosissimo. E e non siamo riusciti a convincervi a correre al cinema, è certamente colpa nostra e non di Leonardo D'Agostini.
Perché ci piace
- La prospettiva inedita e intelligente sul mondo del calcio e la capacità di raccontare la solitudine di un giovane campione.
- L'alchimia tra i protagonisti e la bravura degli interpreti, un Accorsi sgualcito e commovente, e l'irresistibile Carpenzano, capace di dare uno spessore sorprendente al suo fuoriclasse viziato.
- La freschezza e la brillantezza della sceneggiatura di Giulia Steigerwalt.
- La maturità del regista (all'esordio in un lungometraggio) nel gestire i cambi di ritmo e nell'evitare i cliché e le possibili trappole della storia di un'amicizia improbabile.
Cosa non va
- Nella seconda parte il film ha uno sviluppo un po' convenzionale, ma la forza dei personaggi ci fa passare sopra alla cosa senza problemi.
- Qualche scena in più sul campo da calcio non avrebbe guastato.