La prima riflessione che sorge spontanea scrivendo la recensione di 47 Metri: Great White riguarda le strategie scelte per la distribuzione italiana: nel nostro paese, infatti, il film di Martin Wilson esce con una prima parte di titolo che suggerisce un legame, per quanto sottile, con i due lungometraggi di successo usciti nel 2017 e 2019 e diretti da Johannes Roberts. In realtà hanno in comune solo i produttori esecutivi, e non c'è nemmeno il basilare fil rouge dell'immersione, dato che in questa sede gli squali prendono d'assalto un gruppo di persone in superficie. Insomma, uno stratagemma puramente commerciale, forse per migliorare le sorti in sala di un film altrimenti piuttosto anonimo, che negli Stati Uniti ha optato per la formula ibrida del cinema e dell'on demand in contemporanea, come spesso capita per molti horror non prodotti e/o distribuiti dalle major hollywoodiane.
Aereo vs. squalo
47 Metri: Great White è ambientato nei pressi di un atollo isolato, dove uno squalo bianco attacca una coppia in vacanza, divorando lui mentre lei sparisce in acqua. Qualche giorno dopo, l'australiano Charlie Brody (Aaron Jakubenko) e la sua compagna americana Kaz Fellows (Katrina Bowden, alias Cerie di 30 Rock), che si guadagnano (poco) da vivere portando in giro i turisti con un idrovolante, organizzano un nuovo viaggio intorno all'atollo con tre passeggeri. Una volta arrivati, trovano il cadavere dell'uomo divorato e decidono di indagare sulla scomparsa della donna, attirando l'attenzione dello squalo che manda fuori uso l'idrovolante provocandone il progressivo affondamento. I cinque malcapitati devono sopravvivere tra un canotto di salvataggio e le acque, nel tentativo di raggiungere la terraferma prima che il loro avversario carnivoro riesca a riempirsi la pancia con ciascuno di loro. A complicare ulteriormente le cose c'è un piccolo dettaglio personale legato alla relazione tra Charlie e Kaz: quest'ultima, infatti, ha appena scoperto di essere in dolce attesa...
Da Lo Squalo a 47 metri: affogare nel terrore più profondo
Minaccia digitale, delusione reale
Il film esce sulla cresta dell'onda del rinato filone degli squali che ultimamente, tra sala e video (sia fisico che digitale), si è ritagliato un discreto spazio dalle ambizioni più serie rispetto a una decina d'anni fa quando al massimo si poteva sperare in bizzarri ibridi tra creature varie in produzioni dozzinali (a livello di qualità e budget) con la partecipazione dietro le quinte del re dei B-movie, Roger Corman. Oggi, tra franchise nuovi e ritorni di proprietà di decenni passati (vedi i due sequel di Blu profondo), il più noto predatore subacqueo è diventato un antagonista ricorrente dell'horror con la stessa ubiquità di icone come Freddy Krueger, Michael Myers e Pinhead, e in questa sede c'è un rimando, in realtà ai limiti del sacrilego per il tipo di produzione in cui viene scomodato, al passato nobile del sottogenere: il protagonista maschile di cognome fa Brody, come la famiglia al centro de Lo squalo e i suoi tre sequel. L'unico ammiccamento in una produzione che per il resto si prende molto, forse troppo, sul serio.
Lo Squalo - la saga: un terrore lungo 45 anni
E proprio quel fare serioso pesa su una storia che, come puro meccanismo di suspense, avrebbe anche una certa efficacia, dato che l'Australia - principale paese di produzione della pellicola - si è creata uno spazio di tutto rispetto in questo ambito (nel caso specifico degli squali basti pensare a Shark, divertimento tridimensionale presentato fuori concorso a Venezia nel 2012). E il predatore digitale è davvero imponente, grazie a una CGI ben impiegata, ma deve vedersela con personaggi umani che occupano il grosso del minutaggio e risultano insipidi per l'intera durata del film. Particolarmente desolante è il caso di Katrina Bowden, talentuosa attrice comica che qui è completamente sprecata in un ruolo che richiede una presenza drammatica incapace di sfruttare le doti della performer (in ambito horror, seppure in un contesto non del tutto riuscito, era usata meglio in Piranha 3DD). Mentre lei lotta per rimanere in superficie e raggiungere la terraferma, il film per lo più sprofonda, potendo contare solo sull'ingannevole italiano per attirare il suo eventuale pubblico.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di 47 Metri: Great White, sottolineando come si tratti di un horror acquatico che sfrutta la forza di un brand per farsi notare nel mercato italiano. E purtroppo quel titolo nostrano è l'unico vero punto di forza di una produzione anonima che nuota nei cliché e affonda tra personaggi umani insopportabili.
Perché ci piace
- Lo squalo in CGI è notevole.
- Le scene in cui il pescecane attacca i protagonisti sono girate bene.
Cosa non va
- I personaggi umani sono scritti piuttosto male.
- Katrina Bowden non convince particolarmente come interprete drammatica.