Musica a tutto volume, l'eccitazione della seduzione, l'euforia dell'alcol mescolata a quella di un nuovo incontro: una ragazza (Matilde Gioli) e un ragazzo (Matteo Martari) si incontrano in un locale di Roma, l'attrazione reciproca è palpabile, la voglia di proseguire la serata altrove li porta a prendere la macchina. Roma però, oltre a scorci notturni di rara bellezza, offre anche insidie, come la difficoltà di trovare parcheggio. La ricerca del posto miracoloso che porterebbe i due protagonisti a concludere rapidamente la serata, si trasforma in un viaggio alla scoperta di se stessi, in cui i loro mondi collidono e si fanno sempre più chiari.
Secondo film di Ivan Silvestrini dopo Come non detto (2012), 2night racconta una notte speciale nella vita di due ragazzi, che, illuminati dalle luci notturne della città, scoprono un'affinità che fino a poche ore prima era insospettabile. Nelle sale dal 25 maggio, abbiamo parlato di questo viaggio alla scoperta dell'altro con il regista.
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Tutto accadde in una notte
I protagonisti del film raggiungono una nuova consapevolezza nell'arco di una notte: bastano davvero poche ore per cambiare il corso di un'esistenza? "Credo di sì: secondo la mia esperienza, la vita delle persone scivola in modo uguale per lungo tempo e poi, da un momento all'altro, cambia radicalmente" ci ha detto Silvestrini, continuando: "Questo può succedere in particolare se siamo aperti alla vita, se ci diamo delle possibilità e rischiamo un po'. In questo film ci sono due persone che scelgono di fidarsi l'uno dell'altra, si avvicinano velocemente e si mettono in gioco emotivamente: questo porta sicuramente a mettere completamente in discussione la loro vita nell'arco di una notte".
Perché è così difficile stabilire un contatto umano? "Non so se c'è una risposta univoca a questa domanda. Sicuramente è difficile aprirsi agli altri: la vita ci insegna ad avere paura, perché quando ci apriamo spesso rimaniamo delusi e feriti e quindi a volte magari continuiamo ad aver voglia di incontrare altre persone carnalmente, perché è un nostro istinto, ma non siamo poi necessariamente portati ad aprirci con queste persone, a mostrare chi siamo veramente. In questa storia i personaggi si avvicinano inizialmente a causa di un'attrazione fisica e poi l'impossibilità, che tutti conosciamo, di trovare parcheggio a Roma, li porta a conoscersi molto più del previsto e a scoprire di più i rispettivi mondi. Questo ci fa vedere come due persone, dall'inizio di una serata fino all'alba, sono completamente diverse da come le abbiamo conosciute in principio".
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Il volto umano: il più bel paesaggio del cinema
Confinati in uno spazio ristretto come l'interno di una macchina, i due protagonisti sono molto vicini e vengono inquadrati di conseguenza, con primissimi piani e la telecamera sempre puntata sui loro volti. Stare così addosso alle facce di un attore aiuta a dare una luce particolare a un personaggio? "Citando Bergman, credo che il volto umano sia il più bel paesaggio che il cinema abbia da offrire:" ci ha detto il regista, spiegando meglio: "La scelta di questi volti era fondamentale in un film del genere, gli attori non solo dovevano essere bravi, ma le loro facce dovevano essere piene di curiosità, sempre un po' diverse, dotate di magnetismo, perché avremmo dovuto guardarle per tutto il tempo. Credo di aver fatto la scelta giusta con Matilde e Matteo: sono straordinariamente curiosi da guardare. Il fatto di stargli così vicino nasce sia dalla mia ossessione di raccontare le sfumature più piccole e indicibili tra una battuta e l'altra, sia dal fatto che muoversi in macchina crea un'atmosfera sospesa, dove i nostri corpi spariscono nell'oscurità: l'unica cosa illuminata dalla luce esterna sono i nostri volti, ogni volta che siamo in macchina di notte facciamo esperienza di questa sensazione, di guardare le persone solo attraverso i loro volti".
Il cinema come punto di contatto
Un film può fare avvicinare le persone? Secondo Silvestrin: "Assolutamente sì: sono molto curioso di sapere come gli uomini e le donne che vedranno questo film, specialmente le donne, si rapporteranno al personaggio di Matilde. Sono curioso di scoprire se si sentiranno simili a lei, se penseranno che lei fa quello che si vorrebbe fare ma non si ha il coraggio di fare, o se invece la giudicheranno. Anche questo può succedere: se la giudicheranno voglio sapere perché. Il film può portare a parlare delle proprie inibizioni, delle proprie paure nei confronti del proprio desiderio della altre persone, specialmente in un mondo in cui la donna spesso viene giudicata se non rientra negli archetipi di madre o prostituta: tutto ciò che c'è nel mezzo, o che comunque prova a vivere la sessualità come un atto divertente viene giudicato, spesso dalle donne stesse. Mi chiedo come questo film, che parla anche di questo aspetto, possa aprire un dialogo su questo argomento tutto sommato ancora, purtroppo, tabù: se in qualche modo questo potrà avvicinare le persone sarò felice".
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Dalla macchina di 2Night a quella di Monolith
Il regista romano ha diretto anche un altro film con al centro una macchina, Monolith, progetto che si accompagna all'omonimo fumetto scritto da Roberto Recchioni e Mauro Uzzeo, disegnato da Lorenzo Ceccotti, che ha curato anche gli storyboard della pellicola, che uscirà in sala ad agosto: "È il mio destino: sono condannato a parlare di macchine!" ci ha detto sorridendo Silvestrini, spiegando al differenza sostanziale tra le due opere: "Sono due macchine molto diverse: quella di 2Night è molto più accogliente, è una sorta di casa in movimento, mentre quella di Monolith diventa un ventre oscuro e ha un significato differente".