Se quest'anno vi è capitato di aprire qualche rivista musicale, o qualche sito, avrete già letto le liste dei migliori dischi usciti nel 1971. Se pensate a molti dei dischi che avete, a quelli fondamentali, vedrete che molti sono usciti in quell'anno. La recensione di 1971: L'anno in cui la musica ha cambiato tutto, la docuserie di Asif Kapadia e James Gay-Rees in streaming dal 21 maggio su Apple TV+, non può che partire da questa riflessione. Il 1971 è stato un anno decisivo. Molte delle star del rock, del pop, del soul, erano in stato di grazia. E tutto intorno a loro il mondo era una polveriera che stava esplodendo. Gli artisti non potevano che assorbire il clima intorno a loro, e poi restituire al mondo il loro messaggio, di speranza, di lotta, di rivoluzione. 1971: L'anno in cui la musica ha cambiato tutto è una di quelle serie importanti, monumentali, addirittura solenni per come racconta il raccordo tra l'arte e il mondo, per come prova a racchiudere in otto ore un'epoca. Ma questa solennità, l'importanza della materia trattata, è anche il suo limite. Perché tende a volte a far perdere ritmo, freschezza, al racconto.
Marvin Gaye e John Lennon
1971: L'anno in cui la musica ha cambiato tutto inizia con uno degli artisti simbolo dell'impegno in musica, quel Marvin Gaye, una splendida voce soul, che, in quell'anno, aveva deciso che la sua musica non doveva essere solo intrattenimento. Vedeva troppe persone che tornavano dal Vietnam in una cassa e allora gli venne spontaneo quel grido, "che cosa sta succedendo?" che diede il titolo a uno dei suoi album e a una delle sue canzoni più famose, What's Going On?. What's Happening? è il titolo dell'episodio 1, in cui assistiamo anche alla storia di John Lennon e Yoko Ono, che avevano fatto dell'impegno sociale e del pacifismo la loro bandiera, che avevano scritto canzoni come I Don't Wanna Be A Soldier, Imagine, Happy Xmas, e di George Harrison, che aveva organizzato il famoso concerto per il Bangladesh. Scorrono le immagini di Muhammad Ali, un personaggio che aveva travalicato lo sport per diventare un simbolo, e Richard Nixon, il loro grande nemico. Ascoltiamo Nixon battersi contro le canzoni che incitano all'uso di droghe nell'episodio 2, The End Of The Acid Dream, un viaggio nella controcultura, che spazia da Sly And The Family Stone ai Doors, dai Rolling Stones a Timothy Leary, passando per la strana storia del successo del musical Jesus Christ Superstar.
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David Bowie ed Elton John
Changes, che dà il titolo all'episodio 3, è una delle canzoni più famose di David Bowie, e anche il brano simbolo della serie (ricorre nella sigla) che racconta un anno di cambiamenti. E nel racconto c'è quel periodo di transizione di David Bowie, che nel 1971 arrivò in America per promuovere il suo album The Man Who Sold The World: capelli lunghi e vestiti femminili, era un artista ancora non a fuoco e cantava canzoni di Jacques Brel a feste private. Da cui tutti, anche lui, una volta se ne andarono per raggiungere una festa di Andy Warhol. Da Bowie si passa ad altri simboli del glam rock, come Marc Bolan e i suoi T-Rex, e anche un giovanissimo Alice Cooper che canta la bellissima Eighteen. Tutto si fa più delicato nell'episodio 4, Our Time Is Now, in cui si parla di cantautori e cantautrici più intimiste: come Joni Mitchell e Carole King, ragazze con il piano, una grande voce e un grande cuore, e autrici di album storici come Blue e Tapestry. È impossibile non innamorarsene: ascoltate la versione voce e piano di You Make Me Feel Like A Natural Woman che Carole King aveva scritto per Aretha Franklin. Ma ci sono anche James Taylor, allora compagno della King, ed Elton John, che, dietro a quei pantaloni corti e quelle camicie a stelle a cui il pubblico non era abituato, aveva una grande sensibilità, in grado di scrivere capolavori come Tiny Dancer e Your Song. Si parla anche dei diritti LGBT, e conosciamo quella Holly che "veniva da Miami, F.L.A.", di cui cantava Lou Reed in Walk On The Wild Side.
Dalle Black Panthers ai Rolling Stones e i Doors
The Revolution Will Not Be Televised, il titolo dell'episodio 5, prende spunto da una canzone di Gil Scott-Heron, e ci porta nel mondo delle Black Panthers e della lotta per i diritti dei neri, i padri del movimento Black Lives Matter. Ascoltiamo artisti come The Last Poets e Curtis Mayfield, e i primi brani rap che, accanto al soul, diventavano l'espressione di protesta dei neri americani. E riviviamo le storie degli attivisti come Angela Davis e George Jackson, cantato da Bob Dylan in un brano che prende il titolo dal suo nome. Exile, l'episodio 6, inizia con i Rolling Stones e la loro Sister Morphine, e non serve spiegare come il collegamento sia con la guerra del Vietnam. E da lì arriviamo a Jim Morrison e i suoi Doors e ancora a Sly And The Family Stone.
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Aretha Franklin e gli Who, per tornare a Bowie
Respect, ci avvisa il titolo dell'episodio 7. E non serve dire che ascolteremo Aretha Franklin. Ma anche James Brown, Ike And Tina Turner e molti altri artisti di colore che, in quel momento, arrivavano in televisione con i loro show, cambiando la percezione degli afroamericani nel pubblico, e contribuendo all'orgoglio della cultura black in America. L'episodio 8 si chiama invece Starman. E anche, qui, come potete immaginare, veniamo trasportati in Inghilterra e torniamo a seguire la storia di David Bowie, che porterà a compimento la sua trasformazione in Ziggy Stardust, l'uomo delle stelle. Ma l'Inghilterra del 1971 sono anche gli Who e il loro album Who's Next: assisteremo al lavoro con i nastri e i primi sintetizzatori che daranno vita a Baba O'Riley, uno dei loro brani simbolo. Ma il viaggio in Inghilterra è anche l'occasione di scoprire le culture giovanili, come gli skinheads e la musica ska.
L'enciclopedia di Asif Kapadia
Come potete capire, la serie di Asif Kapadia, un maestro quando si parla di documentari (Senna, Amy - The Girl Behind the Name e Diego Maradona sono opera sua) è una sorta di enciclopedia. È un'opera certosina, che racchiude centinaia di interviste, audio e video, e di spezzoni rari e preziosi di concerti e di altri fatti. È un'opera multimediale, perché ogni puntata ha una serie di spunti, che sono una sorta di link aperti: ognuno può partire da lì e andare a studiarsi il proprio percorso, il proprio artista, il genere che vuole approfondire. A seconda delle inclinazioni, è normale trovare storie che già si conoscono (quella di Lennon e Bowie, ad esempio), ma anche altre meno note.
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Il racconto dei racconti
1971: L'anno in cui la musica ha cambiato tutto è un racconto dei racconti, una serie che racchiude dentro di sé tante storie e tanti altri film. Guardando gli episodi vi verrà immediato pensare a U.S.A. contro John Lennon, o a Rocketman, il film su Elton John, e poi a Stardust, il film su David Bowie non ancora uscito nelle sale italiane. Vi verranno in mente il recente Judas and the Black Messiah e le tante storie sulle Black Panthers, ma anche i tanti capolavori sul Vietnam come Apocalypse Now e Platoon. Fino ai biopic come The Doors, e ai musical come Dreamgirls. Qui dento c'è tutto. Addirittura, quando si parla degli skinhead, Arancia meccanica di Stanley Kubrick.
Quel ritmo che a volte manca...
La serie di Asif Kapadia ha il pregio di mandare in sovraimpressione i testi delle canzoni più importanti, e di scrivere a lato dello schermo ogni canzone che state ascoltando. Proprio la monumentalità, la solennità dell'opera, però, rende a volte difficile la fruizione del racconto. Dopo tutto, un'enciclopedia non è un libro che si legge tutto d'un fiato, ma si centellina poco alla volta. Il volere sempre contestualizzare, raccontare tutto toglie ritmo e freschezza al racconto. E per un racconto sulla musica, su quella musica, non avere un ritmo adeguato, non avere certi guizzi, è una cosa piuttosto singolare. È comunque una serie da vedere e da far decantare, su cui riflettere. Proprio in questo momento in cui, a causa della pandemia, è stata fermata, accantonata, dimenticata, è importante vedere questa serie per capire, ancora una volta, quale sia la potenza della musica.
Conclusioni
Nella recensione di 1971: L'anno in cui la musica ha cambiato tutto vi abbiamo spiegato come sia una di quelle serie importanti, monumentali, solenni per come racconta il raccordo tra l'arte e il mondo. Ma questa solennità, l'importanza della materia trattata, è anche il suo limite. Perché tende a volte a far perdere ritmo e freschezza al racconto.
Perché ci piace
- Gli artisti che racconta, le loro canzoni, le loro storie non hanno bisogno di presentazioni.
- L'ambizione di tracciare un raccordo tra l'arte e il mondo, la musica e la società dell'epoca.
- Il fatto che sia piena di spunti, e che faccia venire voglia di scoprire ancora di certi personaggi.
Cosa non va
- Il carattere enciclopedico dell'opera fa sì che la sua fruizione non sia facile e immediata.
- Il voler raccontare tanto, e tutto insieme, a volte si riflette nel ritmo della serie.
- Alcune storie, è inevitabile, sono state già raccontate molte volte.