Io non sono una star: sono un attore. Ho combattuto per anni per far dimenticare alla gente di essere un bel ragazzo con un bel viso: è una dura lotta, ma ci riuscirò.
Un'ambizione più che legittima: ma se il viso è quello di Alain Delon, una battaglia del genere rischia di diventare un'impresa disperata. Del resto, perlomeno in Europa, forse nessun altro attore di quella stessa generazione ha avuto altrettanto beneficio dalla propria avvenenza. Certo, il cinema europeo degli anni Sessanta e Settanta non era affatto privo di sex symbol maschili, da Jean-Paul Belmondo a Marcello Mastroianni, da Jean-Pierre Léaud a Terence Stamp: nei loro casi, tuttavia, il sex appeal sembrava provenire piuttosto da una commistione tra fascino, carisma e talento.
Per Alain Delon, invece, il discorso è ben diverso. La prima cosa di cui il pubblico si accorgeva, inevitabilmente, era la sua bellezza: una bellezza dalle sfumature ambigue, virile ed efebica al tempo stesso, impreziosita da due splendidi occhi azzurri che bastavano già da soli a bucare lo schermo. E non a caso Delon, prima ancora di dimostrare le sue doti recitative, è stato innanzitutto un feticcio erotico, utilizzato con diabolica sapienza da registi quali René Clément e Luchino Visconti (il quale, dopo Delon, avrebbe ingaggiato non a caso un altro attore dall'aspetto e dalla bellezza molto simili, l'austriaco Helmut Berger).
Gli occhi azzurri di Alain, il divo malinconico
Per almeno due decenni, fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, Alain Delon (originario di Sceaux, nell'Île-de-France) è stato l'attore più amato in patria, capace di far registrare almeno due o tre milioni di spettatori a ciascuno dei propri film. Dopo un'adolescenza turbolenta (viene cacciato da ben sei scuole) e il servizio militare in Indocina durante la guerra, a ventun anni Delon, notato da un talent scout in virtù dei suoi lineamenti perfetti, approda al cinema. Nel 1958, appena ventiduenne, il giovane divide lo schermo con Romy Schneider, già famosissima grazie alla saga della Principessa Sissi, nel melodramma in costume L'amante pura, ambientato nella Vienna della Belle Epoque: il film registra un successo enorme e di colpo trasforma Alain Delon in una star. Sul set, manco a dirlo, nasce un'appassionata relazione fra Delon e la Schneider, i quali resteranno amici - e talvolta compagni di set - anche dopo la fine della love story (faranno scalpore le loro ardenti effusioni ne La piscina, dramma a tinte erotiche diretto da Jacques Deray nel 1969).
Delon, nel frattempo, occupa le cronache rosa pure con altre partner 'illustri', fra cui Nico, futura voce dei Velvet Underground (nel 1962 danno alla luce un figlio, Christian, che il padre rifiuta di riconoscere), la cantante Dalida e Nathalie Delon, a cui lo lega un matrimonio di breve durata, seguito da una lunga relazione con la collega Mireille Darc. Oggi, a ottant'anni, Alain Delon ha rinunciato definitivamente al cinema (nell'ultimo decennio, del resto, si era concesso solo un paio di apparizioni sul grande schermo): di lui rimane soprattutto l'icona, quella celebrata perfino dagli Smiths con la copertina del loro disco più famoso, The Queen Is Dead (un primissimo piano dell'attore dal film Il ribelle di Algeri). Attualmente, i media lo citano soltanto per le interviste cariche di malinconia, per le sue posizioni politiche vicine all'estrema destra e per i rapporti familiari tutt'altro che idilliaci: quelli ormai logorati con il secondogenito Anthony, nato nel 1964, e con il ventunenne Alain Delon Jr, il quale ha riservato per il padre parole al vetriolo, accusandolo di violenze fisiche contro di lui e la madre (l'ex modella Rosalie van Breemen).
Alain Delon, insomma, non sta vivendo con serenità il proprio "viale del tramonto", fra gravi problemi di depressione e la riluttanza a mostrare in pubblico la sua bellezza sfiorita. In fondo, però, il divo dagli occhi azzurri sembra aver vinto la sua battaglia sul contrasto fra bellezza e talento (o forse no?); e qualunque sia il giudizio in merito, la filmografia che ha costruito nel periodo d'oro della sua carriera rimane ancora oggi davvero impressionante. Pertanto, gli ottant'anni del divo francese ci offrono l'occasione di ripercorrere i momenti più alti di tale filmografia, rievocando dieci ruoli indimenticabili di colui che, non troppo tempo addietro, è stato il più grande sex symbol d'Europa...
1. Delitto in pieno sole (1960)
Quasi quarant'anni prima de Il talento di Mr. Ripley, il magnifico romanzo di Patricia Highsmith incentrato sulla figura dell'infido Thomas Ripley veniva portato al cinema da René Clément in un eccellente thriller psicologico dal titolo Delitto in pieno sole. E Alain Delon, all'epoca neppure ventiquattrenne, offre una superba incarnazione dell'affascinante e ambizioso Tom Ripley, un giovane americano spedito in Italia per persuadere un suo amico, il ricco Philippe Greenleaf (Maurice Ronet), a tornare negli Stati Uniti; ma dopo essere entrato nelle grazie di Philippe, Tom decide di uccidere l'uomo e di rubare la sua identità, per poter vivere un'esistenza di libertà e di privilegi. Se il film di Anthony Minghella rende esplicito il sottotesto omoerotico della relazione fra Tom e Philippe, quello di Clément invece pone maggiormente l'accento sulla differenza di classe; ciò nonostante, Delitto in pieno sole resta comunque dominato dalla dirompente sensualità del suo protagonista.
2. Rocco e i suoi fratelli (1960)
Il 1960 è senz'altro l'anno d'oro della carriera dell'astro nascente Alain Delon, che oltre a Delitto in pieno sole fu il protagonista di uno dei massimi capolavori nella storia del cinema italiano: Rocco e i suoi fratelli, straordinario ritratto familiare in forma di moderna tragedia ad opera del regista Luchino Visconti, ispirato ad alcuni racconti de Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori. Delon presta il volto a Rocco Parondi, secondo di cinque fratelli che, dalla Lucania, si trasferiscono a Milano insieme alla madre Rosaria (Katina Paxinou) in cerca di fortuna; Rocco e suo fratello Simone (Renato Salvatori), legati da un comune destino, iniziano l'attività di pugili e si innamorano entrambi della prostituta Nadia (Annie Girardot). Melodramma appassionato e amarissimo affresco dell'Italia negli anni del Boom economico e dell'emigrazione interna, Rocco e i suoi fratelli conquistò il Leone d'Argento al Festival di Venezia 1960 e ottenne un successo clamoroso; mentre Delon, nei panni di un ragazzo del Sud benevolo e ingenuo, unito a Simone da un affetto viscerale, divenne un idolo anche per il pubblico italiano.
3. L'eclisse (1962)
La felice sintonia fra Alain Delon e il nostro cinema proseguì, due anni più tardi, con una delle pellicole più dense e fascinose della produzione di Michelangelo Antonioni: L'eclisse, terzo capitolo della "trilogia dell'incomunicabilità", ambientato in una Roma notturna, spettrale e dai contorni quasi metafisici. Vincitore del Premio della Giuria al Festival di Cannes 1962, L'eclisse ruota attorno alla figura di Vittoria, interpretata da Monica Vitti: una donna in preda a uno stato di apatia e di alienazione, che dopo la separazione dal proprio compagno si lascia irretire da Piero (Alain Delon), un agente di cambio incontrato alla sede della borsa. Di grande suggestione, nel film, i momenti di tenerezza fra Vittoria e Piero (incluso il memorabile bacio che i due si scambiano attraverso un vetro), ma anche la magistrale macrosequenza finale, da annoverare fra i momenti più belli del cinema di Antonioni.
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4. Il Gattopardo (1963)
Altra pietra miliare degli anni Sessanta, Il Gattopardo, kolossal a sfondo storico ambientato in Sicilia fra la spedizione dei Mille e la costituzione del Regno d'Italia, rappresenta un altro vertice della filmografia di Luchino Visconti. Basato sull'omonimo romanzo pubblicato cinque anni prima da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, in cui venivano narrati il declino dell'antica aristocrazia del Meridione e le contraddizioni del neonato Stato italiano, Il Gattopardo si aggiudicò la Palma d'Oro come miglior film al Festival di Cannes 1963 e riportò uno strepitoso successo in tutta Europa. Mentre al cuore dell'opera vi è la figura di Don Fabrizio, il Principe di Salina, interpretato dal grande Burt Lancaster, Alain Delon si rivelò un'ottima scelta di casting per il ruolo del nipote di Don Fabrizio, Tancredi Falconieri, sostenitore della causa garibaldina e fidanzato con la bellissima e ricca Angelica Sedara (Claudia Cardinale). Stupefacenti la ricostruzione d'epoca e la sontuosa messa in scena di Visconti.
5. Frank Costello faccia d'angelo (1967)
È nel 1967 che Alain Delon si trasformò di colpo in un volto simbolo del polar, il genere del poliziesco francese dai risvolti noir, grazie alla sua partecipazione a uno dei titoli più apprezzati di questo filone: Frank Costello faccia d'angelo. Opera che inaugurò il sodalizio fra Delon e uno dei maestri del cinema francese, Jean-Pierre Melville, il film è costruito attorno al personaggio di Jef Costello (Frank nella versione italiana), un sicario professionista - il samurai del titolo originale, Le Samouraï - determinato e metodico, che commette un omicidio con la complicità della fidanzata Jane Lagrange (Nathalie, la moglie di Delon) ma si ritrova con la polizia alle calcagna. L'antieroe Jef Costello, ombroso, solitario, con il volto impenetrabile e l'iconico impermeabile grigio, è entrato negli annali del cinema francese come uno dei personaggi più celebri nel repertorio dell'attore; a lui si ispirerà Jim Jarmusch per il suo film più famoso, Ghost Dog - Il codice del samurai.
6. Il clan dei siciliani (1969)
Il più grande successo in patria di Alain Delon in qualità di protagonista, con quasi cinque milioni di spettatori (superato soltanto, tre anni prima, da Parigi brucia? di René Clément, che era però un film corale), fu Il clan dei siciliani, pellicola che riunì sullo schermo tre fra i volti più amati del cinema francese di differenti generazioni: Delon, infatti, venne affiancato da Lino Ventura e dal leggendario Jean Gabin. Tratto da un romanzo di Auguste Le Breton e diretto da Henri Verneuil, Il clan dei siciliani è un gangster movie teso e incalzante in cui Delon veste i panni di Roger Sartet, un ardito criminale appartenente a un clan di origine italiana capitanato dal boss Vittorio Manalese (Jean Gabin); dopo essere evaso dal carcere Roger progetta una rapina a un'esibizione di gioielli a Roma, ma verrà braccato dal Commissario Le Goff (Lino Ventura).
7. Borsalino (1970)
Appena un anno dopo Il clan dei siciliani, Alain Delon tornò a furoreggiare al box office francese (e non solo) con un altro gangster movie in cui calzava il ruolo dell'antieroe di turno: Borsalino, cult movie diretto da Jacques Deray. Ambientato a Marsiglia all'inizio degli anni Trenta, Borsalino mette in scena la parabola di due malavitosi che stringono una proficua alleanza, diventando in breve tempo i padroni della città. L'idea vincente fu quella di affiancare i due attori più popolari del cinema francese: Alain Delon prestò il volto all'ex galeotto Roch Siffredi, mentre a Jean-Paul Belmondo fu affidato il personaggio del suo alleato ed amico François Capella. Per Delon, co-produttore del film, Borsalino si rivelò uno degli apici della propria carriera (oltre quattro milioni e mezzo di spettatori in Francia), ma la convivenza fra i due divi fu tutt'altro che semplice: Belmondo pretese che il numero dei suoi primi piani fosse identico a quello di Delon e arrivò addirittura a fare causa alla produzione poiché, nei titoli di testa, il nome del collega compariva prima del proprio.
8. I senza nome (1970)
Secondo dei tre film interpretati da Alain Delon per Jean-Pierre Melville, I senza nome costituisce uno dei vertici della produzione del regista francese, amatissimo da generazioni di cinefili e di cineasti (Michael Mann prenderà spunto dalla pellicola di Melville per il suo Heat - La sfida). Ancora un poliziesco e ancora la storia di una rapina per Delon, ormai divo incontestato del polar e qui nel ruolo di Corey, un criminale coinvolto nel progetto per la rapina a una gioielleria a Place Vendôme, in combutta con il fuggiasco Vogel (Gian Maria Volonté) e l'ex poliziotto alcolizzato Jansen (Yves Montand); a dare loro la caccia è però il Commissario Mattei (Bourvil). Noir esemplare per la ricercatezza della messa in scena, I senza nome è un'opera memorabile in particolare in virtù del disegno dei protagonisti: antieroi solitari uniti fra loro da un vincolo di amicizia e di lealtà, e che rispondono a un codice morale paragonabile a quello degli antichi samurai. Due anni dopo Delon interpreterà anche l'ultimo film di Melville, Notte sulla città.
9. La prima notte di quiete (1972)
Il ritorno di Alain Delon nel cinema italiano avvenne nel 1972 con il film più apprezzato nella carriera del regista Valerio Zurlini, La prima notte di quiete, un dramma sentimentale collocato nella cornice di una plumbea Rimini invernale. Il divo francese si cala nella parte di Domenico Dominici, supplente di letteratura in un liceo classico che convive con Monica (Lea Massari), ma subisce l'attrazione per una delle sue studentesse, Vanina Abati (Sonia Petrova), una ragazza che sembra celare un'oscura doppia vita e con la quale Domenico stringe un'appassionata relazione clandestina. Amaro ritratto di una generazione priva di punti di riferimento e ripiegata in un'inesorabile malinconia, La prima notte di quiete offrì a Delon l'occasione di mettersi alla prova con un ruolo più complesso rispetto ai suoi consueti personaggi.
10. Mr. Klein (1976)
È forse la performance più solida e intensa di Alain Delon, che oltrepassata la soglia dei quarant'anni rifiutò di adagiarsi sulla propria statura di sex symbol per cimentarsi anche con un ruolo più controverso e sgradevole: quello di Robert Klein, collezionista d'arte e usuraio nella Parigi del 1942, sottoposta all'occupazione nazista. Il film, Mr. Klein, diretto dal grande regista americano Joseph Losey, propone un'acuta riflessione sull'ambiguità morale della Francia rispetto alle persecuzioni antisemite e all'Olocausto, in un racconto che assume inquietanti risvolti kafkiani: Klein, uomo amorale e dedito unicamente al proprio piacere, scoprirà infatti l'esistenza di un suo omonimo di origine ebraica, ritrovandosi intrappolato in un paradossale scambio di identità. Ricompensato con tre premi César, tra cui quello come miglior film, Mr. Klein rimane una delle più convincenti prove drammatiche nell'intero repertorio di Alain Delon.