Quando al cinema l'attualità e i problemi sociali si uniscono alle storie d'amore spesso a emergere dai film è una spinta al dibattito o alla polemica, che finisce per opprimere gli spunti narrativi più interessanti. Non è quello che succede nella commedia Dalla vita in poi in uscita in 70-80 copie il 19 novembre, data posticipata rispetto a quella annunciata ad aprile, quando l'attenzione sarebbe stata distolta dal film La nostra vita di Daniele Luchetti. A venir messa a dura prova con un ruolo inconsueto e una storia ispirata a fatti veri è la giovane Cristiana Capotondi, alle prese con il personaggio di Katia, una donna affetta dalla distrofia muscolare che si lega a un detenuto nerboruto, Filippo Nigro, ex dell'amica coatta Rosalba, interpretata da Nicoletta Romanoff. A dirigere un cast così promettente è il regista televisivo Gianfrancesco Lazotti, che stamattina durante la conferenza stampa romana ci ha raccontato com'è nata l'idea di portare sul grande schermo la storia complicata di una donna che nella vita affronta la malattia riuscendo a dare forza a chi le sta intorno e ad amare un uomo che sta ancora scontando la pena carceraria.
Questo film rappresenta un progetto inconsueto nel panorama cinematografico italiano. Avete dovuto affrontare particolari difficoltà?
Pierpaolo Paoluzzi, produttore: E' stato piuttosto facile perché c'era un'amicizia con il regista. Lui venne da me proponendomi questa storia. Sapevo solo che ci sarebbe stata Cristiana e questo mi ha invogliato. Lei ci ha creduto per prima in questo progetto e io l'ho seguita.
Signor Lazotti come si è documentato sulla storia di Katia?
Gianfrancesco Lazotti: Ho conosciuto Katia tanti anni fa: lei veniva sempre sul set di Linda e Il Brigadiere che stavo girando perché era affascinata da Nino Manfredi. Siamo diventati amici e per un periodo è stata anche una mia collaboratrice.
Gianfrancesco Lazotti: I ritratti che bisognava raccontare! La storia è solo un prestesto e la detenzione e la malattia fanno solo da sfondo perché non volevamo fare un film sociologico o di denuncia. Mi colpivano le personalità dei tre personaggi e gli attori li hanno completato, non a caso hanno vinto a Taormina anche i premi come migliori attori.
Che tipo di cambiamenti ha apportato nella versione cinematografica rispetto alla storia vera?
Gianfrancesco Lazotti: Katia esiste, ci ha raccontato la sua storia e ci ha colpito. Non sappiamo quanto la sua storia sia precisa, ma noi siamo andati in un'altra direzione. Gli spettatori vedranno il film dimenticando che la protagonista è su una sedia a rotelle: verranno coinvolti da una storia d'amore.
La protagonista della storia ha già visto il film? Come ha reagito?
Gianfrancesco Lazotti: Katia ha visto il film e si è convinta che tutto quello che c'è nel film fosse successo realmente. Ma non è così.
Il film sviluppa un tema impegnativo come la distrofia muscolare, che viene però trattato senza pietismo e che ha per protagonista un personaggio molto intraprendente. Cristiana come hai lavorato perché Katia non passasse per la solita vittima?
Cristiana Capotondi: Il racconto era tutto nella scrittura con un personaggio pensato senza falsi pietismi: Dalla vita in poi è una storia romanzata, ma è ispirato a una storia vera. Io ho conosciuto la vera Katia, ma ho cercato di prendere le distanze dalla malattia che, malgrado sia un elemento molto doloroso, influisce positivamente nella vita di un personaggio che cerca di vivere la sua vita da protagonista. Volevamo che in Katia s'identificassero tutte le donne accomunate dall'amore piuttosto che dalla malattia.
Cristiana di solito come scegli i film a cui partecipare?
Cristiana Capotondi: Avevo letto la sceneggiatura due anni fa, ho richiamato Lazotti e gli ho detto che volevo il ruolo di Katia. Non penso ci siano tanti copioni scritti così. Io sono una spettatrice famelica e tento sempre di fare film che vorrei vedere da spettatrice. Cerco sempre personaggi ironici e che evolvano. Sono un'amante dell'epico e credo che questo film rientri in qualche modo in questo genere perché la malattia e la detenzione spingono i due protagonisti al limite.
Gianfrancesco Lazotti: Con Cristiana e Nicoletta abbiamo fatto le prove come si fa a teatro, prima di andare sul set perché bisognava lavorare molto sui personaggi. I tre attori sono a tutti gli effetti coautori del film.
Filippo Nigro: La prima cosa che ho chiesto al regista è stata sapere se la prigione era solo uno sfondo, questo mi ha aiutato poi a modulare il tono del mio personaggio, che si riassume nella battuta "I sentimenti non si dicono, si provano". E' un personaggio che non ha un'evoluzione comunicativa, ma attraverso Katia cresce e sceglie di affrontare le cose con più impegno.
Nicoletta Romanoff: Anch'io ho incontrato la vera Katia, una donna dal carattere solare e forte, e mi ha colpito che lei non si occupasse solo di se stessa ma di tutta la sua famiglia. Col mio personaggio ho voluto sottolineare che Rosalba dipenda da Katia, perché l'ho visto nella realtà: paradossalmente Rosalba aiuta fisicamente Katia, ma poi è Katia a fare da mamma all'amica, a rimetterla sulla retta via.
Ci raccontate com'è avvenuto l'incontro col regista?
Filippo Nigro: Non ho fatto un provino tradizionale, ma un giorno ho incontrato Gianfrancesco, che mi ha dato la sceneggiatura da leggere e poco dopo ero già nel cast. Mi piaceva molto la sceneggiatura: mi ha colpito immediatamente. Avevamo lavorato insieme anni fa sul set de I ragazzi del muretto, ma lui non mi aveva riconosciuto.
Nicoletta Romanoff: Anch'io sono stata colpita subito dalla storia e mi piaceva il fatto che il regista mi avesse offerto un personaggio insolito come questa coatta.