Jon M. Chu, regista di Wicked - Parte 2, racconta come la scena più intensa del film sia nata da un'improvvisazione inattesa di Ariana Grande e Cynthia Erivo. Un momento talmente autentico da convincere la produzione a demolire un set pur di catturarne la verità emotiva.
Un'improvvisazione che cambia il set e ridefinisce un titolo
Jon M. Chu non ha alcun dubbio: la parte più incisiva di Wicked - Parte 2 è nata per sbaglio, durante una semplice prova, quando Cynthia Erivo e Ariana Grande cominciarono a improvvisare un addio parlato, senza musica, abbracciate in un angolo della stanza.
Mentre seguivano l'istinto dei personaggi, posando le mani su una porta immaginaria, Chu iniziò a commuoversi. "L'abbiamo trovata nelle prove", racconta, ricordando il momento in cui Erivo disse a Grande "Vieni qui" trascinandola verso un angolo che non aveva alcuna funzione scenica.
Fu in quell'istante che il regista capì di avere tra le mani qualcosa di più potente di quanto il copione suggerisse. Confessa perfino di essersi dimenticato di interrompere la scena, lasciando proseguire le due attrici mentre modellavano una separazione che sembrava già scritta nell'aria. Quella spontaneità lo convinse a prendere una decisione tecnica piuttosto radicale: demolire una parete del set per ricreare, nel film, lo spazio emotivo che aveva dato origine al momento. "Dovevamo abbattere quel muro", ricorda. Gli avvertirono che così il set sarebbe diventato inutilizzabile, ma la risposta fu immediata: "Era il momento. Abbattete quel dannato muro."
Il risultato è la celebre inquadratura divisa, con Erivo e Grande appoggiate ai lati opposti di una barriera ormai distrutta, immagine diventata rapidamente il baricentro emotivo della pellicola. Chu considera questo passaggio il suo preferito nei due film, al punto da farne la chiave del titolo stesso: fu durante quel lavoro che capì che la seconda parte doveva chiamarsi For Good.
Confini linguistici, metamorfosi politiche e un finale che non vuole risposte
Per catturare la verità di quella scena, Chu ha perfino infranto una delle regole linguistiche di Oz, mantenute per decenni da Stephen Schwartz, autore delle musiche originali: "A Oz non puoi dire 'ti amo'", spiega il regista. Nessun God, nessun okay. Eppure, quando Erivo pronunciò spontaneamente "Ti voglio bene" rivolgendosi a Grande, Chu non volle tagliare la frase. "Era così umana", ricorda. Una linea che attraversava la finzione e arrivava dritta alla realtà. Schwartz, alla fine, approvò l'eccezione.
La traiettoria di questo secondo film prende forma soprattutto nella trasformazione di Boq, interpretato da Ethan Slater, che Chu definisce "la nascita di un mostro". Una mutazione che non è solo fisica: è il riflesso di un personaggio ignorato, assetato di riconoscimento, che trova voce davanti a una folla infuocata. "È quella la trasformazione completa", osserva Chu. "Lì perde davvero il cuore. Non quando diventa di latta, ma quando trova comunità nell'odio."
Chi segue il musical teatrale da vent'anni continua a chiedersi se Glinda sappia davvero che Elphaba è viva. Chu ha una risposta precisa, ma preferisce non rivelarla: "Ho un'idea definitiva in testa, ma voglio che ognuno la interpreti come vuole." Secondo lui la forza del finale risiede nel fatto che entrambe le protagoniste camminano verso un ignoto irrisolto: Glinda prova a diventare davvero "buona", Elphaba abbandona finalmente le ombre.
Il regista ammette anche che molte immagini politiche del film, dal potere della disinformazione alla frammentazione delle comunità, risuonano oggi più che mai. Non era intenzionale, dice, ma inevitabile: "La frase 'la verità non è una questione di fatti o ragione, è solo ciò su cui siamo tutti d'accordo' è stata scritta vent'anni fa. È questo il potere di una storia senza tempo: sembra sempre attuale." E il mondo, aggiunge, continua a raggiungere il film: "Ogni settimana diventa più rilevante."