Questa non è un'isola, ci dev'essere un paese, qualcosa di abitato andando verso Sud.
Essere o non essere l'erede di Lost? Questo è il problema. È quello che sembra chiedersi Yellowjackets, drama al femminile arrivato quasi un po' in sordina su Sky Atlantic e NOW, dove dal 19 gennaio è disponibile il finale di stagione (la serie è già stata rinnovata per un secondo ciclo di episodi). Si è dimostrato una vera sorpresa seriale a cavallo fra il 2021 e il 2022, potendo quindi entrare nel cuore degli spettatori di entrambe le annate. Uno sviluppo e un ritmo che denotano subito grande qualità ma che non ingranano subito la marcia, e quando la fanno non c'è n'è più per nessuno. Quindi in questo articolo, arrivati alla summa di fine stagione, cercheremo di spiegare perché secondo noi Yellowjackets è l'erede di Lost senza essere l'erede di Lost. Se continuate nella lettura di questo articolo, vi avvisiamo che ci potrebbe essere qualche piccola anticipazione.
L'erede di Lost al femminile
La trama di Yellowjackets è presto detta: un gruppo di ragazze di una squadra di calcio femminile nel 1996, dopo essersi qualificata per le nazionali è in volo insieme a coach e accompagnatori ma l'aereo precipita in un luogo angusto e misterioso e per un anno e mezzo le adolescenti sono costrette a sopravvivere al limite dell'umanità, e solo poche di loro si salveranno e torneranno a casa sane e salve. 25 anni dopo, la loro vita è inevitabilmente segnata da quell'evento scioccante e nonostante cerchino di pensarci il meno possibile continua a fare parte di loro e a indirizzarne il comportamento, tanto più che alcuni strani avvenimenti riportano alla luce quanto accaduto laggiù: "quello che succede nei boschi (non) rimane nei boschi".
Yellowjackets (che prende il nome dalla squadra protagonista) alterna quindi flashback del passato nel '96 prima e dopo lo schianto, a sequenze ambientate oggi nel 2021 per raccontare in parallelo questi legami dei personaggi con ciò che erano e ciò che sono diventati. Tutto questo non può non portare alla mente quella pesante eredità che Lost ha lasciato nella serialità, nella struttura non solo temporale ma anche narrativa, dato che ogni episodio è monografico e dedicato a un personaggio in particolare, anche se ovviamente tutte le storyline proseguono e collimano. Andando in onda sul via cavo, il serial ha potuto alzare l'asticella su ciò che poteva far vedere in tv la serie di ABC - sia come linguaggio sia come scene esplicite (ad esempio episodi di cannibalismo). Inoltre, nonostante le somiglianze, risulta inevitabilmente una serie più matura e soprattutto con un approccio diverso, perché innanzitutto seguiamo le protagoniste anche nel presente e quindi sappiamo che alcune di loro - non tutte - sono sopravvissute e sono tornate nel "mondo reale" dovendo raccogliere i cocci della propria vita, e poi perché il grosso del cast è femminile ed è su di loro che punta tutta la narrazione. Non che i personaggi maschili siano poco interessanti, ma è sulle giocatrici della squadra, adolescenti e adulte, che gli autori Ashley Lyle e Bart Nickerson si sono sbizzarriti nel sviscerare tutte le sfaccettature possibili dell'universo femminile, giovane e maturo, e di cosa accade quando lo stesso fa gruppo. E di cosa succede quando viene spinto al limite e quindi fa uscire l'istinto più primordiale, complice un luogo ameno e avverso che possiede anche un elemento al limite del soprannaturale, che acuisce la propria presenza mistica man mano che gli episodi proseguono.
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L'erede di Lost che non è l'erede di Lost
Yellowjackets è quindi una storia che ricorda ma si discosta non solo da Lost, ma anche ad esempio dal vero incidente aereo del '72 che coinvolse una squadra di rugby uruguaiana nelle Ande. Il climax narrativo che porta al finale - e soprattutto al nono episodio, rivelatore e ricco di plot twist come faceva Il Trono di Spade sulla HBO - preme l'acceleratore da metà stagione in poi, da quando le varie storyline e la caratterizzazione dei personaggi risulta più chiara e avvincente, le atmosfere si fanno più cupe, l'elemento mystery che gioca su ciò che lo spettatore non sa (chi è sopravvissuto e chi no e come e quando sono morti gli altri) e i colpi di scena sono sciorinati con una sapienza narrativa impeccabile. Puntando sull'appuntamento settimanale più che sul binge watching. Il casting di questa serie è un altro dei suoi elementi di forza, perché si trattava di scegliere parallelamente due controparti che sarebbero state ugualmente presenti, adolescenti e adulte: ognuna delle attrici è riuscita a dare al proprio personaggio delle sfumature interessanti e stimolanti, a volte anche solo con uno sguardo e un tono alla propria battuta.
La serie forse ci ha già consegnato il personaggio e la coppia dell'anno appena iniziato, con Melanie Lynskey e Sophie Nélisse a interpretare Shauna e Warren Kole e Jack Depew nei panni di Jeff: i due sono coloro che offriranno più sorprese, plot twist e soddisfazioni agli spettatori. Shauna è una madre e moglie casalinga stanca della vita e apparentemente poco rispettata dalla figlia. Ci sono poi Tawny Cypress e Jasmin Savoy Brown nei panni di Taissa, la più determinata, competitiva e scettica delle Yellowjackets nonché la prima lesbica del gruppo, oggi sposata con un figlio e candidata come prima senatrice nera. Juliette Lewis e Sophie Thatcher interpretano Natalie, additata come la "fattona" e "quella facile" del gruppo ma in realtà piena di traumi ben prima del disastro aereo e con molte più frecce nel proprio arco, mentre entra ed esce dai centri di riabilitazione. Christina Ricci e Sammi Hanratty danno quel tono burtoniano a Misty, "la stramba" della squadra e assistente del coach, di cui è infatuata. Infine sono altrettanto importanti anche le altre ragazze della squadra, capitanate da Jackie (Ella Purnell), la migliore amica di Shauna e la "fidanzatina d'America" la cui vita sembra apparentemente perfetta prima dell'incidente.
Lostalgia canaglia
Proprio come diceva una delle protagoniste di The Wilds, la serie young adult di Amazon che per certi versi ricorda Yellowjackets ma ancora una volta se ne discosta: "È stato traumatico. Ma essere un'adolescente... quello era il vero inferno". Qui il presente da adulte è importante tanto quanto il passato adolescente ed è anche questa la forza narrativa dello show, rendendolo distante da Lost e allo stesso tempo appetibile per tutte le età. Il serial di Showtime è un romanzo di formazione gettato nella giungla della vita - letterale e metaforica - un coming of age che ci ricorda quanto un evento traumatico porti conseguenze per coloro che sopravvivono ma soprattutto quanto feroce possa essere l'adolescenza stessa, il periodo in cui il nostro corpo cambia insieme ai nostri pensieri, i nostri sentimenti e durante il quale tutto è sentito al massimo. Se inserito in una cornice ancestrale come quella dei boschi che sembrano richiamare antichi dèi di Madre Natura, tutto viene amplificato ancora di più arrivando a toccare vette impensabili.
Ciò che si chiede allo spettatore è di iniziare un viaggio - ancora una volta letterale e metaforico - da cui alla fine uscirà con un bagaglio emotivo altrettanto arricchito. Questo anche grazie alla fotografia cangiante e alla colonna sonora scelta accuratamente, dal tema principale stridente come l'adolescenza, ai brani vintage mescolati a canzoni più moderne per rimbalzare tra le epoche del racconto, il trauma subito delle protagoniste e il loro presente ingarbugliato. Yellowjackets più che l'erede di Lost è la vita stessa, che è in fondo una lotta per la sopravvivenza. A tutte le età.