66 squadre provenienti da 30 paesi per un totale di 330 concorrenti. Questi i numeri di World's Toughest Race: Eco-Challenge Fiji, una gara estrema raccontata da Bear Grylls dal 14 Agosto su Amazon Prime Video, un percorso di 671 chilometri senza sosta per undici giorni, 24 ore al giorno, attraverso centinaia di miglia delle isole Fiji, tra montagne, giungle e oceani. Tutto ciò rende questa gara la più dura al mondo, come evidenzia il titolo dello show creato dalla showrunner Lisa Hennessy e prodotto da Mark Burnett, che sottolinea l'importanza del gioco di squadra, della cooperazione, e basa le probabilità di successo sulla perseveranza.
Ne abbiamo parlato con Bear Grylls, punto di riferimento per i programmi che puntano sulla sopravvivenza in ambienti ostili e la resistenza. Una presenza abituale per questi contesti, che qui si limita al ruolo di osservatore e commentatore di quanto accade su schermo, confezionato da un team di lavoro esperto del settore e premiato agli Emmy.
Una produzione complessa
Ci racconti un po' questa esperienza? Qual è stata la parte più dura di questa produzione?
Bear Grylls: è stato interessante vedere quanto duramente tutti hanno dovuto lavorare per questo show. Ovviamente c'è tanta attenzione sulla gara, sull'avventura e quello che le squadre stanno affrontando, ma è incredibile guardare il dietro le quinte e quanto impegno ci voglia per costruire qualcosa di questa portata. Avevamo più di trecento concorrenti, ma tutto il team di lavoro nel complesso superava i mille quando vai ad aggiungere paramedici, piloti di elicotteri, volontari e tutto il resto. Sono undici giorni pienissimi, in cui mi sono sentito un po' in gara anche io e non riposo finché non sono tutti in salvo. Tanta gente coinvolta, tanti pericoli, tante condizioni ambientali diverse e così tante cose che possono andare storte, quindi finché l'ultima persona non è arrivata al traguardo, non ti puoi rilassare. La parte più dura l'hanno vissuta le squadre, ovviamente, e se qualcuno ancora dubita di quanto sia incredibile il corpo umano, il suo spirito e la sua capacità di lavorare insieme, ne può avere prova in World's Toughest Race.
Qual è la sfida maggiore per te? Lavorare con dei professionisti come per Eco-Challenge Fiji o con le celebrità?
Normalmente quando ci troviamo in zone selvagge, le celebrità sono inesperte. Raramente si sono trovate in situazioni del genere prima. In questo caso bisogna ricordare che abbiamo a che fare con i migliori atleti di questo tipo e le migliori squadre al mondo. Migliaia di persone si sono candidate per questa gara e rappresentare trenta diversi paesi e riunire gente di tutto il mondo pronta a gareggiare per la propria bandiera. È stata l'occasione per veder in azione i migliori del campo, ai limiti dell'umano.
Per quanto riguarda la natura e l'ambiente, qual è il posto più bello che hai visto in questa esperienza?
Fiji ha ospitato l'ultima Eco-Challenge 17 anni fa e tornare lì è stato iconico, qualcosa di simbolico, ma ci ha regalato anche un territorio incredibile. C'è tanta diversità dal punto di vista naturale, tra cascate, montagne, giungla, paludi, l'oceano e le pianure. Una diversità impressionante! Anche la gente è stata molto accogliente. Penso ai nostri concorrenti che venivano fuori da una giungla e trovavano questi piccoli villaggi pronti a dar loro aiuto e motivazione. Il posto giusto per fare la gara.
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La squadra al centro
Ci sono tante squadre diverse in questa gara. Qual è l'aspetto più importante per vincere?
Per vincere questa gara, è fondamentale essere una squadra incredibile. Questa la prima cosa, perché è un evento per squadre e ci sono poche competizioni al mondo in cui se un membro del gruppo cede, è la fine della gara. Questo è lo spirito della World's Toughest Race, bisogna essere uniti perché si è più forti insieme. Abbiamo visto squadre decidere le proprio sorti proprio su questa dinamica di gruppo, ostacolati da uno dei loro membri in difficoltà e incapaci di far funzionare il meccanismo. Ma quando lo vedi funzionare è incredibile e ispirante, ti rendi conto di quanto la somma delle parti sia tanto più grande dei singoli individui. Quindi questa è la prima regola: essere una grande squadra. In secondo luogo, bisogna essere resilienti. Bisogna avere una grande determinazione e non cedere mai. In più sono necessarie grandi doti di navigazione, perché non c'è GPS e ci si sposta con la bussola, vecchio stile. E poi c'è bisogno di un pizzico di fortuna, che non è mai da trascurare.
Hai dato dei consigli ai concorrenti di questa competizione?
Gliene ho dati molti. Ho passato molto tempo con le squadre prima della gara e ho sottolineato proprio quello che dicevo prima: dovete essere una squadra. Tanto lavoro di squadra per prendersi cura di ogni singola persona nei momenti di difficoltà, quando conta veramente. Essere amici, lasciarsi alle spalle l'ego e sostenersi a vicenda. A volte proprio quelle vulnerabilità e quell'onestà sono le qualità che fanno una squadra. E poi la resilienza: bisogna superare il dolore, la sofferenza, accettarla in un certo senso e interiorizzarla, capire che è parte del gioco e che non si riesce a essere efficienti se si perde tempo ad assecondarla. Bisogna andare avanti, non sprecare energia in inutili discussioni e prendere buone decisioni nei momenti più duri. Stare attenti all'orientamento. Essere la tartaruga e non la lepre: a volte ci sono squadre che vanno avanti per giorni senza dormire e poi cedono, ma bisogna pensare sulla lunga distanza perché la natura selvaggia è sempre pronta a colpirti a tradimento. Questi sono i consigli che ho potuto dare sulla base della mia esperienza in situazioni al limite.
Tra preoccupazioni e futuro
Qual è stata la tua principale preoccupazione durante lo show? Ci sono stati momenti di questa gara in cui sei stato preoccupato per qualcuno?
La mia preoccupazione più grande è sempre di portare tutti in salvo alla fine. Con tante persone in gara, disseminate su un territorio così ampio e con condizioni ambientali non sempre semplici, ci sono tante cose che possono andare storte e causare disastri. A volte bastano tre o quattro cose apparentemente innocue e ti ritrovi con un disastro. Ci sono stati diversi momenti in cui abbiamo avuto squadre intrappolate su un precipizio e l'impossibilità di inviare elicotteri, o con tempeste e livello dell'acqua che saliva pericolosamente. C'è stata anche un'occasione in cui siamo stati costretti a fermare la gara, ma credo sia stato solo per qualche ora. È molto raro che succeda, ma c'era la vita dei concorrenti in gioco. Basta un niente in una gara come World's Toughest Race: ti distrai un attimo, ti fai un taglio che sembra poco importante e il giorno dopo ti ritrovi la gamba gonfia e infetta. Si può morire per sciocchezze del genere.
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Se potessi cambiare qualcosa di questa serie, che sia l'ambientazione o il format, per una seconda edizione, che cambieresti?
Andare alla Fiji è stato magnifico per la diversità tropicale e ci ha regalato dei posti spettacolari, ma mi piacerebbe fare l'opposto per la prossima volta e andare in un luogo freddo e inospitale, perché mette alla prova le persona in modo completamente diverso. Anche le squadre che sono andate molto bene in questa gara potrebbero trovare le loro certezze stravolte in un posto del genere.
Un posto in particolare?
È presto per parlarne, perché siamo concentrati su questa edizione, ma posso dire che al momento le nostre squadre sono al lavoro per trovare altri posti incredibili.