"Chi sono io, in quanto donna? Non mi resta che trovare la risposta". Sì, anche grazie al movimento #MeToo, le disuguaglianze legate ai diritti delle donne - in campo sociale, civile, politico - si stanno un poco alla volta assottigliando. Poi, però, dietro gli slogan, gli spot, gli hashtag e dietro le dichiarazioni ad effetto, si nasconde ben altra verità. La strada è ancora lunga per una effettiva equality, e non bastano le parole per apportare una marcata svolta e un sacrosanto cambiamento.
E lo si capisce, appunto, dalle migliaia di parole che fluiscono in Woman, una testimonianza decisamente potente nonché effettivamente globale - più che un semplice documentario -, firmato dalla regista ucraina Anastasia Mikova e dal fotografo e ambientalista francese Yann Arthus-Bertrand. Globale perché l'opera, già presentata con successo alla Mostra del Cinema di Venezia 2019, fa letteralmente il giro del mondo, in una narrazione graduale e fluida che alterna centinaia di testimonianze. Occhi, sguardi, silenzi, parole. Decine e decine di donne, che, grazie al linguaggio narrativo, hanno uno spazio privato per parlare direttamente in camera, aprendosi come mai prima (forse) e aprendo - di riflesso - la nostra conoscenza e la nostra consapevolezza.
Woman, il documentario e la forza delle immagini
Woman, essenzialmente, è questo: parte di un progetto più ampio atto a dare voce a duemila donne di cinquanta nazioni diverse, che ripercorrono la loro provenienza famigliare, delineano la loro cultura e la loro professione, spiegano il loro rapporto con la fede, con l'amore e con qualsiasi sfumatura che abbia a che fare con la vita. Una celebrazione narrativa in cui la telecamera si poggia dolcemente sui loro volti, carpendone ogni minima venatura emozionale.
Donne diverse, culture diverse, tradizioni diverse. In mezzo, una fusione che si eleva grazie alla potenza ferma delle immagini, riconducendoci ad un cinema scevro dagli orpelli e concentrato solo sul messaggio finale. Un messaggio che passa trasversalmente alle ingiustizie, ai successi, alle speranze delle donne, illuminando di conseguente la comunicazione visiva, concentrata nell'ascolto sistematico ed empatico delle numerose protagoniste.
Yann Arthus-Bertrand: Human e il senso dell'essere umani nel mondo
Parole e fotografie in movimento
Per questo, Woman non si risparmia nell'affrontare con invisibile dinamismo qualsiasi argomento: si parte con una testimonianza che racconta di un abuso sessuale e si passa al tema della maternità o del matrimonio, finendo poi a parlare di libertà sessuale, di indipendenza, di felicità, di giovinezza, di vecchiaia. Del resto, sfidando i tabù locali, la regista ha spiegato direttamente che l'intenzione era proprio non fare eccezioni, senza aver paura di scavalcare i limiti culturali. Ma se la staticità visiva può scoraggiare la fruizione generale (nonostante sia una falsa suggestione, in quanto ogni testimonianza è ritmata e amalgamata in funzione di un buon ritmo), i lampi di luce che intervallano le testimonianze rendono Woman un'esperienza fotografica tridimensionale.
Già perché le dichiarazioni sono suddivise in capitoli, chiusi o introdotti dalle immagini che hanno per sfondo fattorie, strade, campi, paesaggi innevati, villaggi, zone di guerra, baracche, case, prati, chiese. Momenti suggestivi, arterie pulsanti di storie femminili, accompagnate dalla musica di Arman Amar. Insomma, delle vere e proprie fotografie in movimento, che danno al film di Anastasia Mikova e di Yann Arthus-Bertrand una vitalità funzionale sia al documentario sia alle storie presenti nei lunghi flussi di parole.
Per rendere tutto più coeso, i due registi hanno collaborato con due grandi nomi: il fotografo Peter Lindbergh (che ha realizzato il lavoro poco prima di morire), si è concentrato nel capire ed esplorare le donne in relazione al proprio corpo, e le ballerine del Bandaloop, che hanno messo in scena la forza e la leggerezza delle donne. Un'intesa perfetta e precisa: Anastasia Mikova e di Yann Arthus-Bertrand avevano girato nel 2015 un'opera simile, Human, replicando in Woman ora lo stesso senso umano, declinandolo però al femminile e ponendo, di conseguenza, l'equilibrio tra l'ascolto e il commento. Notevole.
Conclusioni
Concludendo la recensione di Woman, possiamo dire che quello diretto da Anastasia Mikova e Yann Arthus-Bertrand è un documentario decisamente atipico, concentrandosi sulle parole (molte) di decine e decine di donne - di estrazione geografica e culturale diversa - che raccontano se stesse in relazione argomenti diversi e universali. Ad intervallare le interviste, delle vere e proprie fotografie in movimento.
Perché ci piace
- Le donne intervistate.
- Le fotografie in movimento che intervallano le parole.
- La colonna sonora.
- Gli argomenti trattati, senza tabù.
Cosa non va
- Chi cerca un documentario "canonico" potrebbe rimanere deluso.