Da dove cominciare? Ci vorrebbe più tempo e più spazio. Bisognerebbe prenderla alla lontana, soffermarsi su ogni dettaglio, ogni inquadratura. Una scena che ne contiene dentro altre dieci; lo sfondo che si muove, che prende vita, elaborando il tema della paura attraverso l'idea e, successivamente, attraverso l'immagine. Come solo sa fare il grande cinema, efficace nel nascondere e nel mostrare. Azione, reazione e il terrore che, per volere del regista, diventa epico e scenografico (come nella splendida scena finale).

L'ha detto proprio Zach Cregger, Weapons sarebbe dovuto essere "più grande", "più contorto", "più bizzarro" rispetto al suo precedente film, Barbarian. Tutto giusto, tutto corretto. Spazzando via il dubbio, Cregger, se di horror parliamo, oggi non ha eguali. E il suo Weapons, che non cala mai nemmeno di un minuto (oltre due ore, mica poco), è probabilmente il migliore dell'anno, almeno rispetto ad un genere in eterna evoluzione che, però, funziona solo quando sa essere davvero originale. Ecco: se Weapons fosse uscito quarant'anni fa, forse, sarebbe oggi considerato accademia del cinema.
Weapons: dove sono finiti i bambini della professoressa Justine?
Le 2:17am. Tutti dormono. Villette a schiera, l'abusata e noiosa comunità di provincia di un'America formato standard, nel quale l'apparenza conta più della sostanza. La middle-class all'ennesima potenza. Alle 2:17am di un giorno feriale, ci dice una voce fuori campo, ha iniziato un "mistero senza soluzione". Diciassette ragazzini, tutti appartenenti alla classe della professoressa Justine Gandy (Julia Garner), escono di casa, correndo, per sparire nel nulla. Tutti, tranne uno, Alex (Cary Christopher), che l'indomani, regolarmente, si siede al banco, in attesa di una lezione che non inizierà mai.

La polizia brancola nel buio, i genitori sono sconvolti. I giorni passano, serve il capo espiatorio: la professoressa Justine pare perfetta per essere accusata di qualcosa che non ha commesso. Ecco, Weapons, scritto dallo stesso Cregger, alterna diversi punti di vista, ronzando attorno al mistero: prima seguiamo Justine; poi seguiamo Archer Graff (Josh Brolin), papà di uno dei bambini, e poi... Poi basta così. Sarebbe un peccato rovinare la sorpresa.
Il miglior horror del 2025? Forse
Se di horror parliamo, Weapons, al netto di un titolo fuorviante e pretenzioso (volutamente?), dosa al meglio ogni svolta inquietante, ogni momento di terrore, sfruttando l'archetipo del jumpscare e dell'allegoria (le porte che si aprono e i lunghi corridoi sono un marchio distintivo dell'autore). Il regista maneggia a dovere il materiale, lo eleva senza mai renderlo referenziale, né troppo cerebrale. Sì, ci divertiamo con Weapons (arrivando addirittura a ridere di gusto) e sì, ci terrorizziamo. Un film di grande impatto, che non nasconde quell'intrattenimento propedeutico fondamentale quando si vuol dialogare con il pubblico (non è un caso che lo script sembri omaggiare l'orrore pop di Stephen King).

Zach Cregger conosce le regole del gioco, e accetta di portarlo avanti onorando l'aspettativa e quindi la curiosità. Si biforca, allunga la digressione, tergiversa e poi colpisce quando è il momento giusto, tornando alla fatidica domanda: cosa è successo alle 2:17am ai bambini della professoressa Justine? L'autore sceglie di ragionare grazie al montaggio (Joe Murphy) e grazie alla musica (Ryan e Hays Holladay, con il supporto di Cregger), alternando il punto di vista come nei migliori romanzi thriller così da alzare la tensione, ricollegando i fili - e rilassando la musica - nell'ultima mezz'ora. Perché un horror non può essere solo un horror.

Dietro Weapons, tra l'altro, c'è molto da leggere: la scomparsa dei bambini è un MacGuffin alla Hitchcock. Ciò che viene enfatizzato altro non è che il concetto stesso che avvolge la paura, declinata come emozione primaria e primordiale. Come nelle vecchie favole, angoscianti e brutali, in cui l'orrore ha la forma definita di una figura intensa e riconoscibile, e per questo ancora più agghiacciante. In mezzo, l'incomunicabilità, il peso della famiglia, lo sguardo dei bambini, il giudizio frettoloso ed egoista degli adulti. Zach Cregger tiene a mente Il pifferaio di Hamelin e porta allora avanti un horror dai contorni classici eppure moderni, in grado di trasformarsi grazie alla sicurezza di un autore formidabile. Talmente sicuro di sé che, alla fine, si permette pure di citare Shining.
Conclusioni
Zach Cregger è l'autore del momento, e il suo Weapons, forse, è il miglior horror dell'anno. Inquieta, stupisce, intrattiene, diverte. Una storia originale, capace di far davvero paura, e capace di dialogare con il pubblico in un continuo botta-e-risposta che alterna diversi punti di vista, ricollegati in un finale da manuale. Da non perdere.
Perché ci piace
- La storia, funziona perfettamente.
- La regia sicura di Cregger.
- Il cast.
- Il finale.
Cosa non va
- Il titolo allegorio risulta forse troppo pretenzioso.